Myanmar, alcuni manifestanti a Yangon Myanmar, alcuni manifestanti a Yangon 

Myanmar: l'escalation della violenza sgomenta l'Onu

Continua il bagno di sangue nel Paese asiatico dove 149 manifestanti pacifici sono stati uccisi dall'inizio del colpo di Stato. Intanto ieri, on line, la Giornata di preghiera per la pace. Sul ruolo della Chiesa per la mobilitazione delle coscienze, l’intervista all’esperto di Asia Stefano Vecchia, e un'analisi di Ugo Papi sulla situazione nel Paese

Antonella Palermo e Elvira Ragosta – Città del Vaticano

Il bilancio delle vittime nell'ex Birmania sale vertiginosamente. La cifra di 149 morti giunge oggi, da Ginevra, dall'Alto commissariato Onu per i diritti umani, il quale precisa che si tratta di un dato prudente. Ci sarebbero, infatti, notizie di ulteriori uccisioni che non si è ancora in grado di confermare. Decine di migliaia di giovani continuano a scendere in strada sebbene le forze di sicurezza sparino per uccidere da settimane. 

Guterres: violazione diritti umani, si torni al percorso democratico

Il Segretario generale Guterres esprime "sgomento" per quanto sta accadendo nel Paese. In una nota del Palazzo di Vetro, si sottolinea che "l'uccisione dei manifestanti, gli arresti arbitrari e la denunciata tortura dei prigionieri violano i diritti umani fondamentali e si oppongono chiaramente alle richieste del Consiglio di Sicurezza di moderazione, dialogo e ritorno al percorso democratico del paese". La violenza dell'esercito contro i manifestanti è "immorale e indifendibile", secondo il dipartimento di Stato americano. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, da Tokyo ha accusato l'esercito di "repressione brutale".  Dal canto suo, la Cina ha esortato i militari a fermare la violenza, punire gli autori degli attacchi alle fabbriche e proteggere il popolo e la proprietà cinese.

L'esodo dalla zona industriale di Yangon

Intanto, continuano gli scioperi generali, la legge marziale nell'ex capitale e un nuovo stop al traffico internet per impedire al dissenso di organizzarsi. Prosegue pure l'esodo degli abitanti dalla zona industriale di Yangon dove negli ultimi giorni si sono susseguite proteste e la dura reazione delle forze di sicurezza. Domenica sono state date alle fiamme diverse fabbriche cinesi. Il quotidiano The Irrawaddy ha pubblicato foto degli abitanti che lasciano la zona, incolonnati nel traffico su motociclette e tuk-tuk stipati. Centinaia di giovani in lutto si sono riversati in strada al funerale dello studente di medicina Khant Nyar Hein, ucciso a Yangon domenica, il giorno più sanguinoso delle proteste. I partecipanti al lutto hanno cantato: "La nostra rivoluzione deve prevalere". Alcune famiglie hanno detto ai media che le forze di sicurezza avevano sequestrato i corpi dei loro cari, ma che avrebbero comunque potuto tenere un funerale. 

Ma quanto spazio c'è per la moderazione e l'allentamento delle tensioni nel Paese? Risponde il giornalista Ugo Papi, esperto dell'area:

Ascolta l'intervista a Ugo Papi

Il ruolo dell'Asean 

"Le parole di Guterres sono parole molto chiare - commenta Papi – ma la situazione rimane complicata. La comunità internazionale si è abbastanza mobilitata. Un ruolo importante lo avrà l'Asean (Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico), piuttosto che i Paesi occidentali, Paesi come l'India, la Cina, ma anche il Giappone, la Corea, che in questi anni molto hanno aiutato il Myanmar. In questi casi le posizioni sono molto prudenti, come è tradizione dei Paesi asiatici, ma la diplomazia cercherà di fare il possibile insieme a una mobilitazione interna che continua". Aggiunge che la leader Aung San Suu Kyi rimane una figura che ancora riesce a catalizzare le energie giovani. "Il fatto che rimanga detenuta fa di lei di nuovo un simbolo per la libertà - spiega - lei resta molto popolare, se consideriamo che i consensi per lei a novembre hanno superato l'80%, proprio questo ha scatenato la reazione dei militari". "La consapevolezza di procedere sulla strada della democrazia è altissima – sottolinea ancora Papi - e questo viene confermato dalle elezioni ripetute. Il Paese vuole continuare nella strada dell'apertura e sarà difficile per i generali riportare il Paese all'isolamento dei decenni passati". 


Il ruolo di Aung San Suu Kyi e il blocco di internet

Il blocco alle connessioni è anche la ragione per cui la terza udienza del processo contro Aung San Suu Kyi, prevista per ieri a porte chiuse ma in teleconferenza, è stata rinviata al 24 marzo. La leader, Premio Nobel per la pace e di fatto capo del governo civile defenestrato con il golpe di un mese e mezzo fa, deve rispondere di almeno quattro capi d'imputazione: importazione illegale di walkie-talkie, mancato rispetto delle restrizioni legate al coronavirus, violazione di una legge sulle telecomunicazioni e incitazioni ai disordini. San Suu Kyi è detenuta in isolamento e senza accesso al suo legale. A un mese e mezzo dal golpe, è ormai difficile capire quale possa essere la via d'uscita per una giunta militare che ha enormemente sottostimato il rigetto popolare. Con il blocco di internet c'è il rischio di non conoscere abbastanza di eventuali altre stragi che potrebbero scatenarsi anche in zone più periferiche del Paese? "E' così - aggiunge Papi - ma il blocco del web oggi è un'arma a doppio taglio: gli stessi militari sono costretti a chiudere e aprire di continuo perché con internet ormai funziona l'economia di un paese. Hanno bisogno comunque di avere la rete quando serve e questo permette a chi protesta di mandare immagini in diretta. Quindi sarà difficile, anche sotto questo profilo, tornare al passato.

I danni per l'economia

Gli scioperi stanno paralizzando ampi settori dell'economia e potrebbero minare la capacità delle famiglie povere di nutrirsi, ha avvertito il Programma Alimentare Mondiale, che ha rilevato un aumento del prezzo del riso fino al 35% in alcune zone del nord. "La situazione è molto preoccupante perché il Myanmar veniva già - come gli altri Paesi dell'area e del mondo - da un anno di profonda crisi dovuta alla pandemia. A questo oggi si aggiunge l'instabilità politica e influirà molto sull'evoluzione dell'ex Birmania, che pure era diventata uno dei Paesi più in corsa, con un tasso di crescita del Pil del 6-7%".

La Chiesa prega per la pace

Il Global Day of Prayer di ieri, celebrato online, è stato preceduto da un accorato appello del cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon, che esorta a camminare sulla strada del dialogo, della giustizia e della pace. Su quanto sta accadendo nell’ex Birmania la Chiesa ha avuto un ruolo importante nel mobilitare le coscienze e continua a pregare e a chiedere la pace. Oltre all’appello del cardinale Bo per la preghiera di oggi, ricordiamo il forte impatto che ha avuto la foto, che ha fatto il giro del mondo sul web, di suor Ann Nu Thawng, la religiosa cattolica saveriana che si è inginocchiata nei giorni scorsi di fronte agli agenti durante le manifestazioni supplicandoli di non sparare sui giovani che protestavano pacificamente.

Nell’intervista a Vatican News, Stefano Vecchia, esperto di Asia, parla proprio dell’importante ruolo della Chiesa:

Ascolta l'intervista a Stefano Vecchia

"E' un ruolo a cui non ha mai rinunciato e che cerca di rinnovare in questa situazione: “Anche oggi il cardinale Bo in occasione della giornata di preghiera ha ricordato come sia il tempo di mettere fine alle violenze e ascoltare la popolazione”. “Quello della Chiesa - continua Vecchia - è un ruolo rilanciato in quest’occasione anche dalla partecipazione di religiosi alle manifestazioni proprio in questo spirito di pace e contro la violenza che ha sicuramente una forte presa sui birmani, che sono buddisti ma non hanno mai mancato di vedere nella Chiesa cattolica un elemento di equilibrio, di rivendicazione di principi morali essenziali che dovrebbero guidare anche il Paese”.

 

Aggiornamento del 16 marzo 2021, alle ore 15.00

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15 marzo 2021, 13:55