Niger, non si fermano le violenze contro i civili
Elvira Ragosta – Città del Vaticano
Cresce l’insicurezza in Niger, Paese saheliano tra i più poveri al mondo. Secondo le informazioni di testimoni e fonti di sicurezza, gli attacchi si sono verificati lunedì scorso nella regione di Tillabéri. Il primo raid è avvenuto nel pomeriggio e ha preso di mira un autobus che viaggiava da Banibangou a Chinégodar, uccidendo una ventina di passeggeri. Poi sono seguiti altri attacchi da parte di banditi nei villaggi vicini in cui le vittime civili sono state circa 30. Situata nella cosiddetta area dei "tre confini" tra Niger, Burkina Faso e Mali, la regione di Tillabéri è da anni teatro di sanguinose azioni di gruppi jihadisti legati ad Al Qaeda e al sedicente Stato islamico. Il 2 gennaio, tra il primo e il secondo turno delle elezioni presidenziali, erano state 100 le persone uccise negli attacchi a due villaggi nel comune di Mangaïzé. Raggiunta telefonicamente in Niger, Morena Zucchelli, capomissione Coopi, ong presente nel Paese dal 2012 e che opera anche nell’area colpita, racconta a Vatican News che la regione è sotto attacco dal 2018 e che gli attacchi sono più violenti in questo periodo perché non si è ancora concluso il processo elettorale cominciato lo scorso settembre e che ha visto la contestazione di alcuni dei dati già riportati. “Gli attacchi che si succedono – continua la cooperante - fanno comunque seguito a un grosso problema relativo alla presenza di miliziani del sedicente Stato islamico, che sono presenti nell’area. Anche l’ultimo episodio si inserisce nella logica di destabilizzare del Paese. In quest’ultimo caso gli attacchi vengono dal Mali e non sono stati ancora rivendicati ufficialmente”.
Perché si colpiscono i civili
Anche in questo caso ad essere uccisi sono stati dei civili inermi e questo, spiega Zucchelli, è il motivo per cui ci sono moltissimi sfollati nella regione, dove persone e famiglie scappano per proteggere i proprio figli, perché i gruppi armati sono alla ricerca di giovani da arruolare. “La maggior parte delle volte i civili vengono colpiti per motivi di denaro. A volte – aggiunge – perché sono andati a votare, nonostante questi gruppi avessero dato indicazione di non farlo; oppure perché hanno riaperto una scuola e i gruppi armati non vogliano che si riaprano scuole in cui si fa formazione all'occidentale. Ma normalmente sono episodi legati al pagamento di fondi che i gruppi armati chiedono per lasciare in pace la popolazione”.
Altre zone a rischio insicurezza contro i civili
Quella al confine con Mali e Burkina Faso non è l’unica zona instabile del Niger. Ci sono altre due regioni particolarmente difficili, quella di Diffa e quella di Maradi, entrambe al confine con la Nigeria. In queste zone Coopi cerca di prestare supporto alla popolazione con diversi progetti di protezione alla popolazione. “Cosa vuol dire protezione in questi momenti– ammette la capomissione di Coopi - è molto complicato si cerca di aiutare le popolazioni sfollate con alimenti e medicine. Nel Paese ci sono quasi di 300mila sfollati interni, in più ci sono i rifugiati provenienti da altri Paesi, soprattutto Nigeria, Mali e Burkina Faso”.
I progetti di Coopi
La missione di Coopi in Niger conta su circa 300 operatori locali e una ventina provenienti dall’estero. “Attualmente - conclude Zucchelli - a causa del dramma di sfollati e rifugiati, c’è una grande pressione in alcuni centri sanitari che non riescono più a rispondere e noi portiamo avanti soprattutto progetti in ambito sanitario e di supporto psicologico, soprattutto per i bambini. Abbiamo dei progetti di educazione di emergenza perché i minori sfollati non riescono a proseguire gli studi e cerchiamo di fare dei corsi di alfabetizzazione”. Oltre al sostegno medico ed educativo, la ong supporta la popolazione anche nel settore della nutrizione, in particolare nelle regioni di Diffa e Tillabéri che sono notoriamente denutrite.
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