Ciad, il presidente Dèby, che corre per un sesto mandato Ciad, il presidente Dèby, che corre per un sesto mandato 

Urne aperte in Ciad per le presidenziali

Nel Paese africano della tormentata regione saheliana, il presidente Déby, salito al potere con un colpo di Stato nel 1990 ed eletto per la prima volta nel 1996, corre per un sesto mandato. L’analisi della situazione socio-economica e della minaccia del terrorismo, nell'intervista a Marco di Liddo, del Centro studi internazionali: “Se paragoniamo il Ciad ai Paesi vicini, il pericolo jihadista sembra meno grave”

Elvira Ragosta – Città del Vaticano

Sembrano poche le incognite per le elezioni presidenziali di oggi in Ciad. Il Paese africano vedrà probabilmente la riconferma di Idriss Déby Itno, al potere da oltre trent’anni. Saranno sei i candidati, tra cui per la prima volta una donna, a sfidarlo. Delle 16 candidature inizialmente presentate, sette sono state invalidate, tre aspiranti hanno deciso di non partecipare e hanno chiesto ai loro simpatizzanti di boicottare le elezioni, anche se i loro nomi rimarranno sulle schede. Da un lato si registra la debolezza delle opposizioni e dall’altra il divieto delle “marce pacifiche per l’alternanza” che esse provano a organizzare da mesi, mentre la polizia antisommossa è accusata di disperdere le manifestazioni indette ogni sabato, tanto che Human Rights Watch ha accusato le forze di sicurezza di aver messo in atto "una repressione implacabile". Dalle Nazioni Unite giunge, intanto, l’invito al Paese a "rispettare i diritti civili e politici, inclusa la libertà di riunione e la libertà di espressione" durante le elezioni.

Di Liddo: in Ciad una crisi umanitaria meno nota, ma grave

“Il Ciad – spiega a Vatican News l’analista del Centro studi internazionali (Cesi), Marco di Liddo - è un Paese dove esiste una emergenza umanitaria ed economica meno conosciuta rispetto ai Paesi vicini, ma non per questo meno grave. La popolazione deve affrontare le problematiche legate all'impatto del cambiamento climatico e in generale ha un suolo che, a parte il petrolio, produce poco. Tali criticità sociali – spiega - sono tenute sotto controllo da un sistema politico che è stato accusato da più parti di essere autoritario e talvolta caratterizzato da forti componenti repressive”.

Ascolta l'intervista a Marco Di Liddo

La minaccia jihadista

Inserito in un contesto regionale caratterizzato dal pericolo jihadista, il Ciad stesso è stato oggetto di attacchi ed è impegnato nella lotta al terrorismo. Nel 2015, di fronte alla minaccia del gruppo nigeriano di Boko Haram, ha inviato le sue truppe in Nigeria per avviare una risposta militare regionale. Dal 2017, inoltre, partecipa alla forza anti-jihadista del G5 Sahel (con Mauritania, Mali, Niger e Burkina Faso), sotto la guida francese, mentre è del 2020 l’offensiva dell’esercito ciadiano contro Boko Haram, dopo l’uccisione di un centinaio dei suoi soldati nell'area del lago Ciad. Di Liddo rimarca che il pericolo jihadista in Ciad appare meno pronunciato, se paragonato ai vicini Paesi del Sahel, quali Burkina Faso, Mali e Niger. “Questa caratteristica – spiega - è figlia soprattutto dell'imponente opera di controllo da parte delle Forze armate e degli apparati di sicurezza del Governo, che riescono a prevenire a spegnere i potenziali focolai di minaccia jihadista sul nascere. Tuttavia, si tratta di un equilibrio fragile che può essere rotto in qualsiasi momento”.  

Il contesto socio-economico

Grande e povero Stato, seppure produttore di petrolio dal 2003, il Ciad è classificato dall’Onu al 187.mo posto su 189 Paesi per Indice di sviluppo umano. Secondo i dati della Banca mondiale, inoltre, presenta uno dei più alti tassi di mortalità materna in Africa centrale, mentre un bambino su cinque muore in Ciad prima del quinto anno. Nel 2018 il 42% della popolazione, che ammonta a quasi 16 milioni di abitanti, viveva al di sotto della soglia di povertà. In un Paese in cui quasi il 40% del Prodotto interno lordo proviene dal petrolio, che garantisce anche il 60% delle entrate allo Stato, la crisi del prezzo del greggio ha avuto forti ripercussioni sull’economia. Inoltre, nel 2020 il Pil reale si è contratto dello 0,6%, dopo una crescita del 3% nel 2019, secondo l'African Development Bank, a causa della sospensione della produzione petrolifera e della chiusura delle frontiere per la pandemia di Covid-19.

Un Paese dalle due dimensioni

“Parliamo di un Paese – dice ancora l’analista del Cesi (Centro studi internazionali) - come tanti in Africa, in cui convivono due dimensioni parallele. La prima è quella della grande maggioranza della popolazione che dipende dalle attività del settore primario, che purtroppo vive sotto la soglia di povertà, e dall'altra abbiamo un'industria, quella legata all'energia, che garantisce un flusso finanziario al Paese, ma i cui introiti spesso sono gestiti in maniera paternalistica e nepotistica dalle élite di potere”. “Ciononostante -  conclude Di Liddo - , il Ciad riesce a proiettare un'immagine di stabilità che risulta fondamentale nella politica regionale e che vede nel Ciad uno dei Paesi pilastro del G5 Sahel e del contrasto alle minacce alla sicurezza nella regione”.

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11 aprile 2021, 08:00