Rifugiati: 70 anni fa la Convenzione di Ginevra sullo status dei migranti forzati
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
La Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 è considerato il documento internazionale fondamentale che regola ancor oggi l’approccio degli Stati nei confronti di chi cerca accoglienza a causa di situazioni insostenibili nel Paese d’origine. Firmata da 144 Stati contraenti, la Convenzione definisce il termine di “rifugiato” e specifica tanto i diritti dei migranti forzati quanto gli obblighi legali di protezione da parte degli Stati.
Proteggere la vita e la libertà di ciascuno
Il principio fondamentale su cui si basa la Convenzione di Ginevra del 1951 è quello del non-refoulement, che afferma che nessun rifugiato può essere respinto verso un Paese in cui la propria vita o libertà potrebbero essere seriamente minacciate. Oggi è ormai considerato una norma di diritto internazionale consuetudinario. L’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, svolge il ruolo di guardiano della Convenzione e del Protocollo del 1967 sullo statuto dei rifugiati. Conformemente alla legge, gli Stati devono cooperare con l’organismo per garantire che i diritti dei rifugiati siano rispettati e protetti. Chiara Cardoletti, responsabile dell’Unhcr per i rapporti con Italia, Santa Sede e San Marino, nell’intervista a Vatican News, ricorda il periodo storico (erano passati pochi anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale) in cui nacque l’intesa di Ginevra, un periodo in cui si registrarono nel mondo movimenti di milioni di rifugiati.
L’attualità della Convenzione
Coloro che hanno stilato la Convenzione, che è del 1951, hanno cercato di adeguarla alle esigenze dell’epoca, ovvero come i rifugiati dovevano essere trattati, ma anche guardando al futuro, immaginando – afferma Chiara Cardoletti – scenari sociali che avrebbero potuto accadere decenni dopo e che, di fatto, stiamo effettivamente vivendo oggi. La realtà attuale, a differenza di 70 anni fa, è fatta di conflitti locali, persecuzioni e altre emergenze dalle quali milioni di persone fuggono. E’ chiaro, afferma la rappresentante dell’Unhcr, che oggi la Convenzione, nella sua applicazione, debba essere interpretata in modo flessibile, rispettando pur sempre lo spirito con cui gli autori la hanno stilata. Un’altra cosa che è cambiata rispetto al passato, riferisce Chiara Cardoletti, è che chi fugge lo fa di solito in Paesi vicini a quello d’origine. Spesso si tratta di Nazioni in via di sviluppo, dove si registra una grande solidarietà nei confronti dei rifugiati. Lo stesso non si può dire avvenga nei Paesi più sviluppati, in cui una serie di normative rende estremamente complicata l’accoglienza e l’integrazione dei migranti. Un’altra cosa che è cambiata è quello che il fine del lavoro che l’Unhcr fa. Negli anni ’90 e fino all’inizio del secolo, spiega Cardoletti, l’obiettivo primario era quello di rendere possibile il rimpatrio del rifugiato nel Paese d’origine. Oggi, di fronte al perdurare delle emergenze che ne hanno causato la fuga, si lavora molto di più per garantire l’inserimento sociale stabile nei Paesi di accoglienza.
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