Onu, cresce la fame nel mondo a causa del Covid
Benedetta Capelli e Andrea De Angelis - Città del Vaticano
E’ una prima valutazione globale in tempo di pandemia e gli esiti sono drammatici. Cresce del 18% il numero di persone che soffrono la fame, quasi una su tre al mondo. Oltre 2miliardi di uomini e donne non hanno avuto accesso ad un'alimentazione sana nel 2020, un aumento di quasi 320 milioni di persone in un anno. In più una persona su 10 è denutrita. La pandemia fa impennare un trend che già si era registrato perché – spiegano dall’Onu - ha messo in luce “le vulnerabilità che si sono formate nei nostri sistemi alimentari a causa di fattori importanti come conflitti, eventi climatici estremi, rallentamenti e flessioni economiche”. L'emergenza sanitaria - sottolineano le Nazioni Unite - ha colpito i Paesi a basso e medio reddito ma gli effetti peggiori arrivano dagli scenari del mondo che già sono in sofferenza.
I dati allarmanti
Il report, frutto dell'impegno congiunto di Fao, Ifad, Unicef, World Food Programme e Organizzazione Mondiale della Sanità, ricorda che più di metà di tutte le persone sottoalimentate (418 milioni) vive in Asia, oltre un terzo (282 milioni) vive in Africa ma qui si stima che la prevalenza della sottoalimentazione sia di oltre due volte superiore a quella di ogni altra regione. Sono 60 milioni poi le persone che soffrono la fame in America Latina e nei Caraibi. In grave sofferenza i bambini, nel 2020 erano più di 149 milioni quelli sotto i cinque anni con un ritardo della crescita più di 45 milioni quelli deperiti. Si allarga anche la disuguaglianza tra uomini e donne: nel 2020 l'insicurezza alimentare ha riguardato 11 donne ogni 10 uomini.
Fase critica
In questa che, nel rapporto, viene definita "fase critica", si confida nell'azione internazionale, guardando con speranza ai prossimi appuntamenti riguardanti la sicurezza alimentare. "Quest'anno abbiamo l'opportunità senza precedenti di compiere progressi - si legge - attraverso la trasformazione dei sistemi alimentari grazie al Vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari, al vertice 'Nutrizione perla crescita' e alla Cop26 sui cambiamenti climatici". Lontano l'obiettivo "Fame zero" entro il 2030, a pesare sul mancato raggiungimento anche il fatto che circa 30 milioni di persone soffriranno per gli effetti duraturi della pandemia.
Un problema strutturale
"Un incremento simile era purtroppo atteso, ma il problema è strutturale. Questi nuovi dati sono sì legati alla pandemia, ma da intendere come un'amplificazione, il peggioramento di una situazione già fragile". Lo afferma nell'intervista a Radio Vaticana - Vatican News Roberto Sensi, Responsabile Programma Povertà Alimentare di ActionAid Italia.
"Sono numeri - prosegue - che vanno letti in prospettiva, il contesto dell'insicurezza alimentare mostra una situazione globale difficile, dove le conseguenze dei cambiamenti climatici e dei conflitti hanno un impatto enorme, esacerbato dall'emergenza sanitaria legata al coronavirus". Un incremento "non necessariamente contingente, la sensazione è che questi numeri difficilmente cambieranno nel breve periodo". Il che implica "un ulteriore allontamento dall'obiettivo Fame Zero fissato per il 2030".
Le soluzioni
In che modo si può invertire la rotta, quali le strade da percorrere prima che sia troppo tardi? "Servono politiche pubbliche, questo è il punto fondamentale", sottolinea Sensi. Politiche che devono muoversi in tre direzioni ben precise. "Innanzitutto occorre garantire sistemi alimentari sostenibili, perché l'agricoltura e la produzione di cibo sono responsabili di un terzo delle emissioni di gas serra. Allo stesso tempo le politiche devono garantire un cibo sano per tutti, dunque insieme alla transizione ecologica serve quella che noi chiamiamo transizione giusta". Infine c'è un terzo livello di azione, altrettanto importante. "Bisogna riportare i sistemi alimentari nei loro territori, devono essere territorializzati perché la sostenibilità sociale ed ambientale si costruisce a partire dalle comunità di riferimento. Negli ultimi trent'anni - conclude - abbiamo sradicato i mercati dai territori e questo li ha resi sempre più insostenibili".
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