L’arcivescovo di Lima: ascolto e dialogo per sanare le divisioni del Perù
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
“Ascoltare in modo profondo il popolo che va valorizzato perché espressione di speranza, perché movimento poetico sociale, come ha spiegato spesso Papa Francesco”. Monsignor Carlos Castillo Mattasoglio, arcivescovo di Lima, indica un percorso commentando quanto si sta vivendo in Perù. Il nuovo presidente dovrebbe entrare in carica il 28 luglio ma, dopo il ballottaggio del 6 giugno, ancora non c’è stata la sua proclamazione. Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente ed esponente della destra, ha segnalato frodi e irregolarità nel voto, che cade nel bicentenario dell’indipendenza del Paese. Si sta indagando ma gli osservatori internazionali ritengono che le elezioni siano state regolari.
La differenza con l’altro candidato, rappresentante della sinistra, Pedro Castillo sarebbe di 40mila schede a favore di quest’ultimo: una differenza minima ma che ha scatenato polemiche e dubbi. Castillo, insegnante e agricoltore, ha raccolto i voti delle regioni rurali degli altipiani andini e della foresta amazzonica, un consenso che ha provocato dichiarazioni anche razziste contro gli indigeni, il 26% della popolazione peruviana.
Il campanello d’allarme
“Non c’era bisogno di questa polarizzazione così critica”: afferma l’arcivescovo di Lima che spiega come le due parti siano l’espressione di un Paese diviso tra le periferie e le città. Qui è forte, afferma, la propaganda politica mentre nelle zone più lontane “arriva un’informazione diversa”. Il voto è stato quindi la rappresentazione di un malcontento popolare, “un campanello di allarme”. Monsignor Castillo ricorda i timori di una parte della popolazione sulla figura del candidato di sinistra ma anche la strumentalizzazione di alcuni della stessa religione e sottolinea che la strada per superare la polarizzazione l’ha indicata Papa Francesco.
Il popolo, vero soggetto di speranza
“E’ la strada di una grande prospettiva per il mondo, ma è molto importante per l'America Latina - afferma l’arcivescovo di Lima - e che consiste nel considerare che i poli oltre che opposti sono anche complementari”. Ricordando che, al di là degli schieramenti, la Chiesa lascia libertà di scelta invitando ad operare secondo coscienza, il presule ribadisce l’importanza del dialogo sociale, “la capacità di parlare e di ascoltare i movimenti profondi del popolo che deve essere valorizzato perché vero soggetto di speranza”. I movimenti popolari che Francesco ha definito poetici, “annunciano una nuova epoca, un nuovo modo di vivere e bisogna essere attenti a loro, credo che questa – sottolinea monsignor Castillo - sia una strada eccellente”.
In un recente documento la Chiesa peruviana ha chiesto che si favorisca “l’umanizzazione della politica” ed è questa, secondo monsignor Castillo, la via intrapresa. L’arcivescovo di Lima ricorda che uno dei mali del Perù è la corruzione e per cambiare serve “ascoltare e convertire, essere capaci di dire che non si può sottomettere una popolazione, emarginarla”. “I lavoratori in campagna – spiega – lavorano come matti e i prezzi delle loro cose sono bassissimi, non c'è un minimo di compensazione”.
La Chiesa del Perù
Guardando alla realtà della Chiesa locale, monsignor Castillo ricorda che è formata da tanti vescovi di periferia, che nell’emergenza coronavirus le Caritas si sono attivate riorganizzandosi in fretta. C’è stata anche una grande “fantasia” nello stare accanto, attraverso i social, a chi aveva bisogno. “E’ una Chiesa che sta lavorando per la trasparenza anche sul fronte degli abusi, seguendo le indicazioni del Papa. E’ importante – afferma l’arcivescovo- contrastare una mentalità che in passato ha sottovalutato. Dobbiamo riscrivere una storia diversa, bisogna rieducare e per questo sto chiedendo di avviare dei corsi, delle riflessioni interne soprattutto in risposta alle vittime che per la Chiesa hanno il primo posto”.
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