Tunisia, Antoniazzi: al Paese serve speranza, Dio non ci abbandona
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
"Speriamo nell'operato del nuovo presidente, nella spinta dell'orgoglio nazionale dei tunisini che non si sono mai arresi finora e nella fede di questo popolo". In sintesi così l'arcivescovo di Tunisi monsignor Ilario Antoniazzi guarda al momento delicato che attraversa il Paese nordafricano: c'è un primo ministro licenziato domenica scorsa dal presidente Kais Saied per l'inefficienza e il disaccordo nella gestione pubblica, le attività parlamentari sono congelate, l'esercito è in strada per garantire la sicurezza, è imposto il coprifuoco notturno e il divieto di spostamenti. Sullo sfondo un'emergenza sanitaria senza precedenti e una grave crisi economica con ampie fasce di povertà, ma anche una comunità internazionale che teme instabilità e una svolta autoritaria.
La gente non ne poteva più della situazione passata, ma è troppo presto per capire come andranno le cose e difficile intendersi sul termine "democrazia" afferma, tracciando un quadro dell'attualità nel Paese, monsignor Antoniazzi. Di certo - ammette - c'è tanta speranza perchè da oltre un anno c'era un vuoto di autorità e nessuno sapeva la direzione da prendere: basti pensare che siamo stati senza ministro della sanità in piena pandemia e mentre l'economia è a rotoli. Per questo ora la gente scende in piazza contenta perchè spera in questa nuova piccola rivoluzione che - chiarisce - non è un colpo di Stato. Il presidente c'è, conosce la Costituzione e ha giurato di combattere la corruzione e di essere il garante di quanti saranno giudicati".
Quali timori e quali speranze per il Paese
Dunque, alla domanda se sia fondato o meno il timore internazionale che si perdano le conquiste democratiche del passato, l'arcivescovo invita a riflettere sulla parola stessa "democrazia" e ammette che il timore c'è in merito alla libertà di espressione, specie guardando ad alcuni provvedimenti presi dal presidente con la chiusura di alcune radio e canali televisivi. La parola democrazia - riflette - non so se esisteva propriamente prima, mancava in realtà un leader vero dopo la rivoluzione dei Gelsomini che guidasse il Paese in una direzione, e forse si è confusa la parola democrazia con la libertà di fare ciò che si vuole. Non è così".
Orgoglio nazionale e fede del popolo tunisino: è su questo che oggi la comunità cristiana è impegnata per restituire speranza ad un Paese che fatica a trovarla. "Questo popolo con difficoltà oggi - spiega l'arcivescovo - crede al suo futuro. Quando vedo i tunisini che scappano verso Lampedusa, vorrei dire che non fuggono da guerra e fame, ma dalla mancanza del futuro che non vedono. E la pandemia ha sicuramente molto aggravato la situazione. Gli ospedali sono pieni, l'ossigeno mancante ha causato molti morti. I vaccini non ci sono e la gente non ci crede. In pochi portano la mascherina per strada e questo ha gravato sul turismo e quindi sull'economia. Migliaia di persone hanno perso il lavoro e ora è ancora peggio col coprifuoco notturno che impedisce molte attività.
Serve sostenere la fede del popolo: Dio non ci lascia soli
E allora a cosa guardare? Anche con Ben Ali, il popolo non si è mai arreso, non ha mai ceduto e si è sempre ripreso, ricorda l'arcivescovo. Allora sono state le donne - ricorda monsignor Antoniazzi - a ribellarsi. "Il popolo tunisino non è gente stupida, molti i letterati. Occorre attrarre l'attenzione sulle loro capacità e non contare troppo sugli altri, in generale sul senso di orgoglio di essere tunisini e poi sulla fede in Dio. I tunisini sono un popolo molto credente: dire loro che c'è un Dio che non li abbandonerà mai,serve, serve perchè ci credono in Dio. A volte - conclude- mi domandano se Dio c'è in questo momento di difficoltà e io rispondo riferendomi alla pagina evangelica della tempesta, quando Gesù dorme sulla barca. Lui c'è e se anche sembra che dorma sulla barca della nostra vita, dobbiamo sapere che c'è".
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