Rapporto Cesvi: il mondo ha sempre più fame
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Nel 2020, sono 155 milioni le persone che sono state colpite dalla denutrizione, 20 milioni in più rispetto all’anno precedente, ed entro il 2030 c’è il rischio che ben 47 Paesi non riusciranno a ridurre la piaga della fame. Proprio nel 2030 era fissata la data per il raggiungimento dell’obiettivo della “Fame Zero”, uno dei più importanti Millennium Goals stabiliti dall’Onu. Sono questi i dati preoccupanti contenuti nel Rapporto della fondazione Cesvi, Cooperazione e Sviluppo, reso noto oggi. Secondo il documento, è “fondamentale spezzare il circolo vizioso tra fame e conflitti. Senza sicurezza alimentare non ci sarà pace duratura. Senza pace non elimineremo la fame nel mondo”.
Una preoccupante inversione di marcia
I conflitti armati, ma anche pandemia e cambiamento climatico rischiano di polverizzare tutti i seppur lenti progressi compiuti negli ultimi anni scorsi. Dopo anni col segno meno, nel 2020 la percentuale di popolazione denutrita nel mondo è tornata a salire: sono 155 milioni le persone in stato di insicurezza alimentare acuta, 20 milioni in più rispetto al 2019. L’ emergenza coinvolge soprattutto le nazioni più povere e, secondo l’Indice Globale della Fame 2021, in 47 Paesi in particolare la fame resta eccezionalmente elevata con scarse possibilità di ridurla a livelli bassi entro la fine del decennio.
La ricaduta sulle giovani generazioni
L’analisi del Cesvi ha preso in considerazione 116 Paesi, per i quali sono considerati quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni. Africa subsahariana e Asia meridionale sono le regioni con i livelli di fame più alti al mondo. La prima zona, in particolare, registra i tassi di denutrizione, arresto della crescita infantile e mortalità infantile più alti al mondo. Un terzo dei bambini soffre ancora di arresto della crescita. Forse ancora più preoccupante – afferma il rapporto – è che l’Africa è l’unica regione del mondo per la quale si prevede un aumento delle persone denutrite da qui al 2030. In coda alla drammatica classifica troviamo la Somalia, dove si registra un livello di denutrizione definito “estremamente allarmante” seguìto da nove Paesi con un livello “allarmante”, ovvero Ciad, Madagascar, Repubblica Centroafricana, Repubblica Democratica del Congo e Yemen, Burundi, Comore, Siria e Sud Sudan. Infine per altri 37 Paesi la fame risulta “grave”. È il caso di Afghanistan, Haiti, India, Pakistan, Sudan, Etiopia, Nigeria e Venezuela. Rispetto al 2012, la fame è aumentata in dieci Paesi.
Guerra e fame, un legame sempre più stretto
Sempre più numerosi e prolungati, i conflitti armati restano la principale causa della fame nel mondo. Nel 2020 erano 169 quelli attivi. Non a caso otto dei dieci Paesi con livelli di fame “allarmanti” o “estremamente allarmanti” coincidono con teatri di guerra: dalla Repubblica Democratica del Congo alla Nigeria, dal Sud Sudan alla Siria, fino a Yemen e Somalia. Fame e guerra sono legate a doppio filo. I conflitti violenti hanno un impatto devastante sui sistemi alimentari, poiché ne pregiudicano ogni aspetto, dalla produzione al consumo. E l'insicurezza alimentare duratura è tra le principali eredità di una guerra. Allo stesso tempo, l'aumento dell'insicurezza alimentare può condurre a conflitti violenti.
L’effetto della pandemia sulla fame
Un discorso a parte va fatto per l’incidenza della pandemia da coronavirus sulla denutrizione nel mondo. Sebbene non siano ancora apprezzabili appieno gli effetti della pandemia sull’aumento della fame, si legge nel rapporto Cesvi, già oggi appare evidente come lo shock economico che è derivato dal Covid abbia pregiudicato la sicurezza alimentare. Si stima che il numero di persone in situazione di insicurezza alimentare acuta sia aumentato di quasi 20 milioni nel 2020 rispetto all'anno precedente e, secondo la FAO, per effetto della pandemia nel 2030 le persone denutrite saranno 657 milioni, circa 30 milioni in più. E’ dunque “necessario intervenire sulle conseguenze drammatiche della pandemia, come anche sugli effetti devastanti del cambiamento climatico. Senza perdere l’obiettivo sulle cause profonde, a cominciare da povertà, disuguaglianze e sistemi alimentari insostenibili”. Questo il commento della presidente di Fondazione Cesvi, Gloria Zavatta, in occasione della presentazione dell’Indice della Fame.
Urgente invertire la rotta
La trasformazione dei sistemi alimentari è necessaria per contrastare gli effetti dei conflitti e dei cambiamenti climatici e simultaneamente garantire la sicurezza alimentare e nutrizionale. E invertire la rotta si può, afferma il rapporto Cesvi. Anche in un ambiente globale ostile è possibile rompere i legami tra conflitto e fame e sfruttare a pieno il potenziale dei sistemi alimentari per far progredire la pace. Allo stesso tempo è indispensabile affrontare i conflitti a livello politico e implementare il diritto umanitario internazionale sanzionando chi vìola il diritto umano al cibo, per esempio ricorrendo alla fame come arma di guerra o inibendo l'accesso
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