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Le tensioni in Myanmar sono all'ordine del giorno Le tensioni in Myanmar sono all'ordine del giorno 

Myanmar, l'appello di una suora: aiutateci a costruire la democrazia

Da Milano, una religiosa birmana delle Suore della Riparazione interviene stasera al Centro PIME nell'incontro "Myanmar, crisi dimenticata" che inaugura un percorso di avvicinamento al Festival della Missione 2022. Il Papa ci ha consolato come una madre consola i suoi figli nel dolore - racconta - ora non ci abbandonate

Antonella Palermo - Città del Vaticano

"Buonasera, Suor Beatrice. Come sta?". "Vorrei essere nel mio Paese". Così si apre la conversazione telefonica con la religiosa delle Suore della Riparazione che a Vatican News offre qualche anticipazione della sua testimonianza di stasera 10 novembre, al Centro Pime di Milano, nell'ambito dell'incontro “Myanmar, crisi dimenticata”. In questa occasione di solidarietà con il popolo birmano, ci sarà anche la senatrice Albertina Soliani, già presidente dell’Associazione Parlamentare Amici della Birmania, amica personale di Aung San Suu Kyi. Si tratta di un primo appuntamento - organizzato in collaborazione con l’arcidiocesi di Mila­no, AsiaNews e le Suore del­la Riparazione - che inaugura un percorso di avvicinamento al Festival della Missione 2022 dal titolo: “Vivere per-dono”.

Le religiose hanno dovuto sospendere molte attività

Suor Beatrice è una delle oltre 380 Suore delle Riparazione birmane che, dentro e fuori il loro Paese, condividono il dramma di un conflitto civile innescato dal colpo di Stato dello scorso primo febbraio. Dal 1895 sono presenti soprattutto nei villaggi più remoti del Myanmar dove i missionari del Pime le introdussero per intraprendere un cammino di condivisione con le popolazioni locali, e in particolare con le donne, che continua ancora oggi. Attualmente, le religiose sono 13, delle 16 diocesi birmane, con 62 conventi. A seguito delle rappresaglie sono state sospese alcune fra le moltissime loro attività, svolte nelle scuole, nei centri sanitari e nelle prigioni.

Oltre 250mila sfollati in condizioni disperate

A metà settembre, riferisce l’agenzia AsiaNews, circa trentamila persone sono state costrette a fuggire dalla regione centrale di Magwe a causa di scontri tra esercito e forze di difesa popolare. Negli stessi giorni, migliaia di civili hanno dovuto abbandonare le loro case, spesso date alle fiamme nello Stato Chin, e si sono rifugiate oltre il confine della vicina India. Dopo che lo scorso settembre il governo-ombra, formato da oppositori in esilio, ha invitato la popolazione a ribellarsi alla giunta militare, c’è stata una recrudescenza degli scontri in tutto il Paese. Sono circa 250mila gli sfollati che vivono in condizioni umanitarie disperate. I militari avrebbero accettato un cessate-il-fuoco sino alla fine dell’anno per garantire la distribuzione degli aiuti, ma non stanno rispettando l’impegno. 

Suor Beatrice: nonostante tutto, non chiudiamo la porta a chi bussa

Suor Beatrice Maw è in Italia dal 2007, prima per necessità di studio, poi le hanno chiesto di restare a Milano con l'incarico di responsabile di una comunità dove c'è anche una scuola per l’infanzia. In Myanmar è rimasta fino alla professione religiosa occupandosi di una struttura educativa e poi della cura degli anziani. A Yangoon le religiose gestiscono una casa dove accolgono più di 200 anziani: buddisti, musulmani, induisti, cristiani. Lì ha vissuto tre anni. 

Ascolta l'intervista a Suor Beatrice Maw

Nelle ultime settimane quali sono i racconti che le giungono dal suo Paese?

Il 5 novembre un proiettile da un cannone è entrato nella nostra casa e fortunatamente non è esploso, per grazia. Proprio oggi ho sentito un amico nella capitale dove sono morte otto persone, compresi dei soldati. Una mia amica, che abita sempre là, mi ha detto che dall’alto del suo palazzo di otto piani vede sempre delle persone che spiano, ingaggiati dai militari e passano le informazioni all’esercito. Mi raccontava di aver visto un signore che era seduto al bar e poi d’improvviso si è messo a sparare, poi è andato via come se non avesse fatto nulla. E’ drammatico ammazzare persone. Chi è sul campo vive una tensione continua, giorno e notte.

I vostri conventi come sopravvivono?

In Birmania ci sono sette Stati, in due dei quali abbiamo tanti conventi. Quelli che abitano là provano a scappare: se lo fanno non lasciano però le persone che alloggiano da loro. Ci sono anziani, donne e bambini che rischiano la vita. Nonostante questa situazione sempre più grave, noi teniamo le nostre porte aperte. Ammalati, bambine, anziani finché abbiamo possibilità. Assicuriamo sempre una mano a chi chiede. Nessuna persona che bussa è respinta se ha bisogno di riparo.

Che fine hanno fatto le manifestazioni di piazza con tanti giovani?

Non sono finite ma sono cambiate. Non possono proprio manifestare in modo pacifico, rischiano troppo. Ci sono tuttavia forme di protesta: i ragazzi tra di loro si intendono in modo che appena esce in strada qualcuno con una bandiera, chi è pronto si mette a seguirla in modo estemporaneo. Tante volte loro si organizzano di notte bruciando vari materiali per illuminare le strade.

Che ricordo ha della Messa celebrata da Papa Francesco in Vaticano per i fedeli birmani lo scorso 16 maggio?

C’ero anch’io. Davvero un popolo è stato accolto nel dolore. Io ho sentito proprio che è stato come una madre che consola i figli, senza fare distinzione, ha abbracciato tutti noi. Tutti noi eravamo consolati dalla presenza del Santo Padre, soprattutto dall’affetto e dall’attenzione che ci ha dato.

Mi raccontava di un episodio che ha riguardato il fratello di una sua consorella…

Sì, lei ci raccontava che circa un mese fa ha perso uno dei fratelli. Era uno sfollato, si trovava con i suoi figli nella foresta. Ha provato a tornare nella sua casa per prendere una zanzariera. Ad un certo punto i bambini non lo vedevano tornare più. Si sono messi a cercarlo ma lui era già stato ammazzato. Il suo corpo ridotto a brandelli, nemmeno si trovavano più gli arti. Una notizia tristissima.

Ricordiamo tutti l’immagine di Suor Anne Rose che in ginocchio per strada cercava di fermare i militari. Quali frutti ha realizzato quel gesto, a distanza di tempo?

Non potrei dire a cosa sia servito. Ma posso dire che quella volta era presente anche mia nipote. Lei raccontava che, proprio grazie a questa religiosa, lei è riuscita a scappare. Oggi ancora ha grande ammirazione per questa donna. La seconda volta, nonostante quel gesto estremo, due persone sono rimaste uccise. Quando sono state diffuse le foto, io ho cercato subito di contattare i nipoti che seguivano le manifestazioni. Ero in apprensione, una nipote mi diceva di essere in processione per il funerale di una vittima musulmana che aveva bisogno di essere seppellita subito. Ha dato coraggio anche a me, che vivo qui, sapere di questa sollecitudine.

Che futuro vede per il suo Paese?

Avremo un futuro sereno e giusto quando avremo la democrazia. Nonostante tutto, ci dà incoraggiamento la fermezza del popolo che si è unito nei suoi vari gruppi etnici per la lotta. Fra poco, vinceremo e ricostruiremo.

Che appello si sente di fare in una fase in cui poco o per nulla ormai si parla della vostra situazione?

Io vorrei appellarmi a tutti i governi e a tutte quelle associazioni che, soprattutto, ci avevano conosciuto invitando il nostro Paese a non rimanere in silenzio, di aiutarci a venire fuori da questa situazione assurda. Speriamo di ricostruire la democrazia, la libertà e la pace. Senza l’aiuto degli altri Paesi, non ce la faremo da soli.  

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10 novembre 2021, 09:00