Firenze, le tre Pietà di Michelangelo in dialogo
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
La sofferenza di una madre di fronte alla morte del figlio; la fatica fisica e l’intimo travaglio spirituale dello scultore che libera forme rimaste prigioniere nel marmo e genera capolavori senza tempo. C’è tutto questo nelle Pietà di Michelangelo Buonarroti, un soggetto che la maggior parte delle persone indentifica nel capolavoro della Basilica Vaticana, ma che invece fu tradotto in scultura almeno tre volte dal grande maestro rinascimentale nel corso della sua lunga vita.
Insieme per la prima volta
Per la prima volta le tre Pietà sono poste a confronto. L’occasione è offerta dalla mostra allestita nella Sala della Tribuna di Michelangelo presso il Museo dell’Opera del Duomo di Firenze dal 24 febbraio al prossimo 1 agosto e che vede coinvolti in un grande lavoro di squadra l’Opera di Santa Maria del Fiore, i comuni di Firenze e Milano, i Musei Vaticani, il Museo dell’Opera del Duomo, il Museo Novecento Firenze, il Castello Sforzesco, la Fabbrica di San Pietro.
Firenze, capitale della pace
In autunno l’esposizione si sposterà nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano, ma è significativo che per la prima tappa sia stato scelto il capoluogo toscano che dal 23 al 27 febbraio diviene capitale della pace ospitando l’incontro dei vescovi e dei sindaci “Mediterraneo. Frontiera di Pace” a cui prende parte Papa Francesco nella giornata conclusiva.
Dialogo ed evangelizzazione
“Pensando ad un progetto da presentare in questa importante occasione e durante il periodo della Quaresima – spiega Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani - è venuto subito in mente il tema della Pietà. Il Museo dell’Opera di Firenze ha infatti appena concluso il restauro della Pietà Bandini. Abbiamo voluto metterla in dialogo con i calchi di altre due Pietà conservati ai Musei Vaticani: la Pietà vaticana e la Pietà Rondanini”. Non potendo spostare gli originali, “i calchi si confermano straordinari mezzi di evangelizzazione e di trasmissione di valori spirituali ad un ampio pubblico”.
Il sangue
“Non vi si pensa quanto sangue costa” scriveva Dante nel canto ventinovesimo del Paradiso riferendosi al sacrificio di Cristo per la Redenzione dell’uomo. “Non vi si pensa quanto sangue costa” scrive anche Michelangelo Buonarroti sul legno della croce disegnato a carboncino su carta nella Pietà per Vittoria Colonna, conservato a Boston. Quanto sangue, quanto lavoro, quanto intimo raccoglimento spirituale dietro le tre Pietà!
L’ambizione giovanile
La prima versione risale agli anni giovanili. Michelangelo ha appena ventitré anni e a ridosso del giubileo del 1500, il cardinale Jean Bilhères de Lagraulas, capo di una delegazione inviata da Carlo VIII di Valois, gli commissiona “una Vergine Maria vestita con Cristo morto, nudo in braccio”. L’opera, scolpita tra il 1488 e il 1489 per l’antica San Pietro e, dopo nove spostamenti all’interno della Basilica, collocata oggi nella navata laterale nord della Basilica, impressionò subito il pubblico per la bellezza del corpo di Cristo, un uomo di trentatré anni, sorretto amorevolmente dalla Madre, avvolta in un profluvio di panneggi. È raggiante nella sua bellezza, luminosa visione di grazie e umiltà. Sul petto della Vergine Michelangelo lascia inciso il suo nome: “Michelangelus Bonarotus Florentinus Faciebat”.
Il miracolo
Nel corpo intatto del “più bello tra i figli dell’uomo” è l’immagine del risorto, colui che vince la morte. “Certo – scrive Vasari - è un miracolo che un sasso, da principio senza forma nessuna, si sia mai ridotto a quella perfezione, che la natura a fatica suol formar nella carne”.
Meditazione sulla morte
Nel 1547, trascorsi molti anni dall’opera vaticana, Michelangelo torna sullo stesso soggetto. Lo scenario politico è profondamente mutato dopo il sacco di Roma, il crollo della Repubblica di Firenze e il rientro dei Medici. Il dolore per la morte dell’amica Vittoria Colonna ha segnato profondamente l’anziano scultore che riflette sempre di più sul destino umano, sulla morte e resurrezione di Cristo, lavora in preda a frequenti crisi depressive, medita sulla propria morte e sul giudizio divino. Il suo tormento è impresso nella Pietà Bandini. Michelangelo si ritrae nella figura di Nicodemo.
Le martellate sul marmo
La durezza del marmo è una sfida: nel tentativo di variare la posizione delle gambe di Cristo, l’artista provoca la rottura di un arto. Qualche anno dopo prende volontariamente a martellate la scultura rompendola in più punti. Alla morte del Maestro nel 1564 si pensò di utilizzare il gruppo per la tomba a Firenze in Santa Croce. L’opera invece divenuta proprietà del banchiere Francesco Bandini, fu acquistata nel 1674 da Cosimo III de’ Medici che la destinò ai sotterranei di San Lorenzo. Dal 1981 si trova nel Museo dell'Opera del Duomo.
La preghiera degli ultimi anni
Spirituale, una preghiera prima ancora che un’opera d’arte è l’ultima Pietà che prende il nome dai marchesi Rondanini che ne divennero proprietari nel 1744. Progettata tra il 1554 e il 1555 fu lavorata da Michelangelo fino alla morte. Parti condotte a termine si alternano ad altre lasciate incomplete. La mano dell’artista sembra non riuscire a restituire quanto l’occhio interiore dell’uomo di fede ha potuto contemplare. La pietra è trasfigurata dalla luce: Cristo esausto scivola verso la tomba e con il figlio anche la Madre. L’apparente distacco dei due corpi dal suolo suggerisce una riflessione sui misteri della Resurrezione e dell’Assunzione.
Michelangelo e la fede
“Michelangelo fu un uomo di altissima spiritualità e profonda fede. La Pietà Vaticana, nitida, netta, lucida prova del perfezionismo giovanile, è posta accanto alle altre due versioni: insieme testimoniano l’evoluzione del suo pensiero cristiano e della sua spiritualità”, conclude Barbara Jatta curatrice insieme a Sergio Risaliti, Claudio Salsi, e Timothy Verdon, rispettivamente direttori del Museo Novecento di Firenze, dell’ dell’Area Soprintendenza Castello Sforzesco di Milano e del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze.
Contemplare le Pietà
Prendendo la parola nel corso della presentazione della mostra alla stampa, questa mattina il cardinale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori ha voluto evidenziare tre aspetti legati alla contemplazione della Pietà, un soggetto non citato nella Bibbia, ma che è espressione della religiosità popolare: sulla croce Gesù affida Giovanni, il discepolo che ci rappresenta tutti, a Maria. “C’è una continuità tra Maria che accoglie Cristo e Maria che accoglie ognuno di noi”, ha detto: “Maria è anche la Chiesa e quindi la Pietà testimonia l’accoglienza della Chiesa nei confronti di ogni uomo”. Nelle Pietà di Michelangelo, ha osservato ancora il porporato, “i due corpi di Maria e Gesù sono un tutt’uno: è un invito all’unità tra gli uomini”. Infine – ha osservato Betori – il grembo che a Betlemme ha donato al mondo il Bambino è lo stesso che ce lo mostra morto, prima della Resurrezione: “Gesù è il grande dono di Dio all’umanità e Maria sta lì a mostrarcelo”.
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