No alla discriminazione razziale, anche in tempo di guerra e pandemia
Andrea De Angelis - Città del Vaticano
Il razzismo a volte è fatto anche di silenzi. Sguardi eloquenti che non riescono a nascondere un giudizio discriminatorio. Le parole poi rinforzano concetti che sono quanto di più basso l'umanità possa esprimere. Ogni anno il 21 marzo si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. Una ricorrenza che, in tempo di pandemia e con più di una guerra in corso - l'Ucraina, ma si pensi anche a Etiopia, Siria e Yemen - assume un significato particolare.
Cosa accadde 62 anni fa
La Giornata viene celebrata ogni anno in questa data per ricordare cosa successe il 21 marzo del 1960 in Sudafrica. In pieno apartheid, la polizia apre il fuoco su un gruppo di dimostranti di colore uccidendone 69 e ferendone circa il triplo. Un episodio drammatico, di indelebile memoria e passato alla storia come il massacro di Sharpeville. Proclamando questa Giornata internazionale nel 1966, con la Risoluzione 2142, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha sottolineato la necessità di un maggiore impegno per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. Una missione di certo non esaurita.
Il ricordo di Desmond Tutu
La Giornata arriva a meno di tre mesi dalla morte dell'arcivescovo anglicano Desmond Tutu, scomparso lo scorso 26 dicembre all'età di 90 anni. Simbolo della lotta all'apartheid in Sudafrica, vinse il Nobel per la pace nel 1984. Il comitato del più noto premio internazionale citò il suo "ruolo come figura unificante nella campagna per risolvere il problema dell'apartheid in Sudafrica". Due anni dopo, divenne la prima persona di pelle nera a guidare la Chiesa Anglicana in Sudafrica: era il 7 settembre 1986. L'arcivescovo è stato un uomo di pace, servitore di Cristo e ispirato anche al concetto africano di ubuntu, che indica una visione della società nella quale ogni persona è chiamata a svolgere un ruolo importante, con una naturale attenzione all'altro e, di conseguenza, alla promozione e al mantenimento della pace.
Le parole di Papa Francesco
“Il razzismo è un virus che muta facilmente e invece di sparire si nasconde, ma è sempre in agguato. Le espressioni di razzismo rinnovano in noi la vergogna dimostrando che i progressi della società non sono assicurati una volta per sempre”. È quanto scriveva esattamente un anno fa Papa Francesco sul suo profilo twitter in questo giorno. No al razzismo, sì all'accoglienza dei migranti. No ai nazionalismi, sì ai valori europei e alla pace. Questi i contenuti del messaggio di Francesco nella sua udienza con i partecipanti all'Assemblea plenaria della Pontificia accademia delle Scienze sociali del maggio 2019. "La Chiesa - diceva il Papa - osserva con preoccupazione il riemergere, ovunque nel mondo, di correnti aggressive verso gli stranieri, specie gli immigrati, come pure quel crescente nazionalismo che tralascia il bene comune". "Così - aggiungeva - si rischia di compromettere forme già consolidate di cooperazione, si insidiano gli scopi delle Organizzazioni internazionali e si ostacola il conseguimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile" fissati dall'Onu. E ancora, nel discorso ai partecipanti alla conferenza Xenofobia, razzismo e nazionalismo populista nel contesto delle migrazioni mondiali, nel settembre 2018 il Papa affermava:
Viviamo tempi in cui sembrano riprendere vita e diffondersi sentimenti che a molti parevano superati. Sentimenti di sospetto, di timore, di disprezzo e perfino di odio nei confronti di individui o gruppi giudicati diversi in ragione della loro appartenenza etnica, nazionale o religiosa e, in quanto tali, ritenuti non abbastanza degni di partecipare pienamente alla vita della società. Questi sentimenti, poi, troppo spesso ispirano veri e propri atti di intolleranza, discriminazione o esclusione, che ledono gravemente la dignità delle persone coinvolte e i loro diritti fondamentali, incluso lo stesso diritto alla vita e all’integrità fisica e morale. Purtroppo accade pure che nel mondo della politica si ceda alla tentazione di strumentalizzare le paure o le oggettive difficoltà di alcuni gruppi e di servirsi di promesse illusorie per miopi interessi elettorali. La gravità di questi fenomeni non può lasciarci indifferenti. Siamo tutti chiamati, nei nostri rispettivi ruoli, a coltivare e promuovere il rispetto della dignità intrinseca di ogni persona umana, a cominciare dalla famiglia – luogo in cui si imparano fin dalla tenerissima età i valori della condivisione, dell’accoglienza, della fratellanza e della solidarietà – ma anche nei vari contesti sociali in cui operiamo.
Assolutamente intollerabile
Lo scorso giugno, intervenendo al dibattito urgente convocato oggi all’Onu di Ginevra nell’ambito della 43ma sessione del Consiglio per i diritti umani, sul tema "attuali violazioni dei diritti umani di ispirazione razziale, razzismo sistemico, brutalità della polizia e violenza contro la protesta pacifica", l’Osservatore permanente della Santa Sede, l’arcivescovo Ivan Jurkovič, ha esortato tutti gli Stati a “riconoscere, difendere e promuovere i diritti umani fondamentali di ogni persona”, definendo la discriminazione razziale "assolutamente intollerabile". Infatti “tutti i membri della famiglia umana, fatti a immagine e somiglianza di Dio”, ha rimarcato, sono “uguali nella loro intrinseca dignità, a prescindere da razza, nazione, sesso, origine, cultura o religione” di appartenenza. Citando le parole di Papa Francesco, Jurkovič ha ricordato che “non è possibile tollerare o chiudere gli occhi di fronte a qualsiasi tipo di razzismo o forma di esclusione sociale e pretendere nel contempo di difendere la sacralità della vita umana”.
Non sottovalutare i pericoli
Anche in tempo di pandemia e guerre, dunque, il razzismo non va considerato un problema secondario. Don Giorgio Borroni, direttore della Caritas Novara e tra i firmatari della lettera contro il razzismo che, nel 2018, un gruppo di presbiteri e laici ha scritto ai vescovi italiani perché intervengano sul dilagare della cultura intollerante e razzista, sottolinea come non debba essere sottovalutata la discriminazione razziale anche in questi mesi così difficili a livello globale.
"Il Papa ci richiama alla fraternità, alla fratellanza e ce lo chiede come società e come Chiesa, si pensi al significato dell'enciclica Fratelli tutti che ci impone di fare dei passi in avanti, concreti ed efficaci", spiega il sacerdote rispondendo alla domanda sull'importanza di questa Giornata, che volge lo sguardo a quanto accaduto in Sudafrica oltre mezzo secolo fa. "La pandemia ci ha insegnato che siamo tutti coinvolti in un'emergenza globale, ma le risposte sono state talvolta discriminatorie, non certo eque ad esempio - sottolinea - per quanto riguarda la distribuzione dei vaccini". "Anche la guerra - conclude - genera discriminazioni, ci mostra che esistono uomini e donne di Serie A ed altri di Serie B, penso anche alle tante, troppe guerre dimenticate".
L'evento del Pime
In occasione di questa Giornata sono numerosi gli eventi organizzati in Italia e nel resto del mondo. Tra i tanti, c'è quello dell’Ufficio Educazione Mondialità del PIME che offre un evento online gratuito dal titolo “Oltre la discriminazione - volti e storie per imparare insieme a costruire un mondo di pace”, dedicato alle Scuole Primarie per promuovere il superamento di ogni discriminazione. L’iniziativa, realizzata con il contributo di Fondazione Cariplo, si terrà lunedì 21 Marzo dalle 9 alle 10 sul canale youtube del Centro PIME. Si potranno ascoltare in diretta le testimonianze di Padre Marco Ribolini, missionario in Thailandia e di padre Daniele Criscione, missionario negli Stati Uniti; inoltre, vi saranno anche performance musicali, video e attivazioni pensate per coinvolgere i bambini. Dalle musiche di Daniele Longo, attore e musicista, sino ad un approfondimento sul linguaggio della fiaba per introdurre la figura di Desmond Tutu, gli educatori del PIME guideranno i giovani ascoltatori riflettendo su un tema sempre attuale, mostrando come sia possibile impegnarsi per superare le divisioni e costruire un mondo di pace.
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