Ucraina, l'impegno dell'Ordine di Malta per i profughi al confine con l'Ungheria
Francesca Sabatinelli - Beregovo (confine Ucraina-Ungheria)
A Beregovo, in Transcarpazia, nel sud-ovest dell’Ucraina, al confine con l’Ungheria, ormai da qualche giorno non si vedono più le lunghe file di macchine in attesa di varcare la frontiera. C’è chi si è sbrigato a passarla, spiegano gli operatori dell’Ordine di Malta Ungheria, calcolando che dall’inizio della guerra, ad uscire, in direzione dell’Ungheria, sono stati in 600 mila circa. Ma non è solo perché non ci siano più persone da far transitare che la fila è scemata, è anche perché molte sono quelle rimaste bloccate dalla distruzione dei ponti sul fiume Dniepr. Di qui, dall’inizio della guerra, e fino a pochi giorni fa, passavano in circa 1200 al giorno, unica testimonianza di una guerra che nella regione ucraina della Transcarpazia, la cosiddetta porta per Ungheria e Slovacchia, non mostra la sua devastazione. Volontari e dipendenti dell’Ordine di Malta, fanno la spola, una sorta di staffetta umanitaria. Ci si incontra tra chi esce e chi entra in Ucraina, carico di aiuti e provviste provenienti da tutta Europa, diretti al magazzino di Beregovo e di lì a Leopoli, a Kiev, a Kharkiv, a Mariupol, e in tutto il resto dell’Ucraina. Da qui partono cinquemila tonnellate di aiuti al giorno tra cibo non deperibile, pannolini, articoli per l’igiene, coperte, bende, addirittura letti di ospedale.
C'è chi fugge dalla guerra a piedi
Sono tre i punti di accesso che portano in Ungheria. Nell’hot-spot di Beregsurany, in terra ungherese, a tre chilometri dall’Ucraina, il confine si può attraversare anche a piedi, è l’unico valico dal quale si può fare. “E’ un centro di aiuto – spiega Imre Szabjan, capo delle operazioni di soccorso dell’Ordine di Malta Ungheria – i rifugiati che arrivano al confine sono a piedi e poi vengono portati qui da minibus. Ad accoglierli ci sono due squadre che immediatamente iniziano le pratiche di registrazione che, in realtà, sono un'indagine sulle necessità di chi arriva, su cosa sta cercando, se già ha una destinazione, una sistemazione, se ci sono bisogni particolari”. Lo staff dell’Ordine di Malta Ungheria, operativo da 30 anni, conta circa 4mila persone, tra volontari e operatori. “Questo – prosegue Szabjan – è anche il punto di ricongiungimento con i propri familiari o con gli amici fuggiti dalla guerra. È una sistemazione temporanea, per pochi giorni, ma almeno possiamo garantire loro un tetto sulla testa.” Come è stato per la giovanissima Olga, che ha con sé il gatto Zen. Per cinque giorni, a Kiev, è rimasta chiusa in cantina, poi il viaggio verso la Transcarpazia, con l’autostop, ma la sua famiglia è a Donestk, in Donbass. La sua destinazione è la Germania, Berlino, dove vorrebbe lavorare nel mondo della moda. Ed è completamente sola.
Volontari e profughi: ci capiamo senza parlare
Nel passare il confine per entrare in Ucraina si nota come, la coda delle auto, quasi inesistente al mattino, lentamente si rafforzi col passare delle ore. Dal 1995 a Beregovo esiste un centro riabilitativo, retto dall’Ordine di Malta Ungheria, per ragazzi e bambini con disabilità, che ospita anche bimbi rom, e che, attraverso la mensa, fornisce quotidianamente una quarantina di pasti ai bisognosi. Oggi, a quella tavola, si alternano profughi, spesso anziani, il più delle volte rimasti soli, che hanno visto i loro figli fuggire per mettersi in salvo e che ora vivono senza qualcuno che possa aiutarli, se non l’azione caritatevole dell’Ordine. Maria Schumicky, viene da Budapest, si trova a Beregovo dal primo di marzo. E’ una volontaria. “Quando ho visto ciò che stava accadendo, quando la guerra è iniziata – racconta – ho sentito che avrei dovuto fare qualcosa, che forse ci sarebbe stato bisogno di me, ho seguito una chiamata del Signore. All’inizio ho pensato di venire qui solo per una settimana, poi ho capito l’importanza di questo progetto e ho visto che altre persone erano arrivate qui dall’Ungheria per servire in questo Paese”. Per Maria l’incontro con i rifugiati è stato un momento importante e toccante. “Siamo al fianco di tante persone che dicono addio ai loro padri, ai loro mariti, alle loro famiglie, è difficile vedere tutto questo. Una volta ho incontrato una ragazza, della mia stessa età e che guidava la mia stessa auto. Aveva dovuto lasciare la sua famiglia, i suoi genitori, e ho pensato che al suo posto avrei potuto essere io. Ci siamo abbracciate piangendo. Anche se non parliamo la stessa lingua, qui a Beregovo ci si capisce, preghiamo e lavoriamo insieme e, insieme, possiamo anche testimoniare la bontà e che in questo momento ciò che importa è l’amore”. Le giornate sono lunghe. “Chi lavora qui –conclude Maria – sa di non poter cambiare il mondo, ma cerca di renderlo leggermente migliore”. E per questo sono molti i volontari pronti a partire per andare al confine ad aiutare, per far sentire l’Ucraina e i suoi abitanti meno soli.
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