Iraq: i giovani yazidi vivono ancora nella paura
Michele Raviart - Città del Vaticano
Quando nel 2014 gli uomini del sedicente Stato Islamico invasero il Sinjar e la Valle di Ninive in Iraq per proclamare il califfato, uccidendo e schiavizzando le loro famiglie, molti di loro non erano ancora nati. Sono i bambini yazidi, minoranza etnica e religiosa perseguitata dai jihadisti in quello che è stato definito un genocidio: 400 mila persone catturate, uccise o costrette a fuggire, tremila donne e ragazze vendute e violentate, molti ragazzi arruolati a forza.
Sfollati e lontani dalle loro terre
Oggi che il cosiddetto Stato Islamico è stato sconfitto e nel nord dell’Iraq è cominciata la ricostruzione molti dei minori yazidi vivono ancora come sfollati, lontano dalle loro famiglie e dalle loro terre che spesso non hanno mai visto o conosciuto, con difficoltà di inserimento sociale e di istruzione. L’allarme è di Save the Children che chiede alla comunità internazionale, al governo iracheno e a quello regionale del Kurdistan di istituire servizi specializzati per loro.
Il timore del reclutamento
A sostegno della richiesta l’ong ha diffuso un rapporto basato su interviste a bambini e ragazzi di età compresa tra i 7 e i 17 anni e ai loro tutori. Quello che emerge, ad esempio, è che la totalità degli adolescenti interpellati vive ancora nella paura e percepisce di non vivere in luogo sicuro e teme di poter subire ancora violenze, di essere ancora allontanati dai propri famigliari o reclutati da gruppi armati, un fenomeno ancora molto diffuso. Le bambine spesso soffrono di disturbo da stress post-traumautico e depressione in seguito agli abusi subiti o alla nascita in prigionia.
Difficoltà di accesso alle scuole
A volte anche il ricongiungimento famigliare è difficile. Alcuni bambini non parlano più o non hanno mai conosciuto il Kurmanji, la lingua yazida, e hanno quindi difficoltà di comunicazione e di reinserimento nella società, con il diritto all’istruzione che è molto difficile da garantire. Da un lato, per molti bambini yazidi, si legge nel comunicato di Save the Children, le scuole più vicine sono vuote o distrutte e c’è ancora il timore di rapimenti nel percorso per raggiungere quelle più lontane, dall’altro mancano materiali, libri di testo e personale docente.
Il bisogno di nuovi documenti di identità
Complicata anche la situazione dei documenti d’identità, senza i quali i bambini non possono accedere alle scuole o alla sanità. La maggior parte di questi è stata perduta durante il genocidio e richiederne di nuovi può essere costoso e complesso. Chi è nato in prigionia poi, ha bisogno di una prova di paternità per la registrazione in caso di genitori non sposati, altrimenti per le leggi irachene, non viene riconosciuto come yazida ma come musulmano. Save The Children chiede per di poter consentire alle madri dei bambini nati dalla guerra di scegliere la religione dei loro figli al momento della registrazion
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