Mozambico, 30 anni fa gli accordi di Roma. Zuppi: con la pace mai nulla è perduto
Michele Raviart - Città del Vaticano
Fu una Messa celebrata dal cardinale Roger Etchegaray nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, a sancire, il quattro ottobre di trenta anni fa, la sigla a Roma degli accordi pace che posero fine alla guerra civile in Mozambico. Diciassette anni di conflitto tra l’esercito del governo di Joaquim Chissano del Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO) e i guerriglieri anti-comunisti della Resistenza nazionale del Mozambico (RENAMO) guidata da Afonso Dhiakama.
La mediazione della Comunità di Sant'Egidio
Decisiva per la mediazione dell’accordo fu il lavoro della Comunità di Sant’Egidio, con il fondatore Andrea Riccardi e l’attuale cardinale Matteo Maria Zuppi, ora presidente della Cei, il vescovo di Beira Jaime Pedro Gonçalves e il sottosegretario agli Affari esteri italiano Mario Raffaeli. L’allora segretario generale dell’Onu, Boutros-Ghali, ricorda Sant'Egidio in un comunicato celebrativo dell'anniversario, parlò di “formula italiana” per descrivere “l’attività pacificatrice” della Comunità, “unica nel suo genere” perché fatta di “tecniche caratterizzate da riservatezza e informalità". Nell'intervista di Francesca Sabatinelli è lo stesso cardinale Matteo Maria Zuppi a ricordare l'atmosfera di quel giorno
Eminenza, cosa rimane nella memoria a 30 anni dall'accordo?
Il ricordo del 4 ottobre è veramente di una gioia straordinaria, perché voleva dire la fine di un incubo. La guerra è un incubo. Non è soltanto i combattimenti, è tutto quello che provoca, dalla povertà, alla fame, alle malattie... La guerra è veramente il potere delle tenebre. Per noi è stata anche alla fine di uno sforzo non indifferente, molto impegnativo, durato più di due anni, dal punto di vista sia del coinvolgimento sia della responsabilità che sentivamo tutti, anche le parti. C’era la consapevolezza anche che la pace deve essere costruita e che la firma è una cosa e poi c'è l'applicazione, con tutte le difficoltà del. La pace è l'aspirazione più profonda di ogni persona e quanto è vero che con la guerra tutto è perduto, allora con la pace niente può essere perduto.
Quale fu esattamente il suo di ruolo? Che ricordo ha delle trattative?
Ero nel gruppo dei mediatori, che era frutto di questa formula italiana, bellissima e che non può essere ripetuta proprio perché frutto della passione nel mettere insieme le risorse per cercare tutte le possibilità e di farle convergere in un unico sforzo. Quattro mediatori: il rappresentante del governo italiano Mario Raffaeli, due persone della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi e il sottoscritto e poi monsignor Jaime Goncalves, che era il vescovo di Beira, rappresentanti della chiesa mozambicana e soprattutto un po’un garante all'interno della mediazione, che ci aiutava a comprendere quale era la sensibilità e quello che era necessario e più utile per arrivare ad un accordo tra le parti. Siamo diventati mediatori perché eravamo i “facilitatori” del primo incontro ufficiale tra il governo e la RENAMO che avvenne nella sede della Comunità di Sant’Egidio. Le due parti cominciarono a discutere su chi dovesse essere il mediatore e poi ci guardarono e dissero: fatelo voi! Siete stati bravi a farci parlare insieme, continuate a farlo… Quindi questo è l'unico caso di una mediazione ufficiale una realtà non governativa come la comunità di Sant’Egidio si è trovata a concorrere e ad avere un ruolo formale per arrivare ad un trattato di pace.
Quello fu l’inizio di questo grande rapporto che ancora oggi persiste tra la Comunità di Sant'Egidio e il Mozambico. La comunità ha tantissimi programmi,ricordiamo uno tra tutti ad esempio il fondamentale programma Dream… Però oggi il Mozambico è anche di nuovo terra di violenza e di morte. Perché? Cosa è successo?
È successo qualcosa che ancora si fa fatica a comprendere. Nel nord del Mozambico c’è stata una penetrazione islamista di queste forze di cui ancora non si riesce a trovare i padrini e anche degli interlocutori con cui avviare dei contatti. Un presenza distruttiva, e che trova un terreno più fertile nel malcontento e nel sentirsi abbandonati di quelle zone, nel non avere niente da perdere, in particolare dei più giovani. Sono zone in cui ci sono molte promesse, perché sembra che parte delle risorse petrolifere e di gas del Mozambico si trovano lì e che però vivono in una terribile povertà. Certamente sono forze islamiste che uccidono. Tra l'altro vorrei ricordare suor Maria, comboniana che è stata uccisa alcune settimane fa dopo più di 60 anni di vita in Mozambico. Una vera mozambicana e anche una vera italiana e una vera cristiana che ha dato proprio la vita per quel Paese, sentendosi a casa in quel Paese e facendo sentire quel Paese importante. Davvero non dobbiamo mai lasciare soli coloro che ci rappresentano e sono dei ponti che possono aiutare noi a capire che cos'è il mondo, ad aiutare il mondo essere un po' migliore e a combattere anche noi un po' contro la violenza.
L'accordo regge, ma ora la minaccia sono i jihadisti
"L’esempio del Mozambico" infatti, si legge ancora nel comunicato di Sant'Egidio, "ci racconta anche come, grazie ad una pace riconquistata, una nazione che era tra le più povere dell’Africa e dell’intero pianeta ha potuto risollevarsi e lavorare alla sua crescita economica e sociale lungo tutti questi anni", anche se "a trent’anni dagli accordi di Roma, oggi la minaccia per questo paese è di un genere molto diverso da quello di 30 anni fa, a causa degli attacchi di matrice jihadista". Lo ribadisce anche Don Angelo Romano, ora rettore della Basilica di San Bartolomeo all’Isola tiberina, che era presente in quei giorni a Roma
Don Angelo, possiamo ricordare che cosa prevedeva quell'accordo?
"L’accordo prevedeva tutta una serie di condizioni che sono state essenziali per il suo successo. Innanzitutto la smobilitazione e l’integrazione delle Forze Armate in un unico esercito nazionale prima delle elezioni. Questo è stato un elemento essenziale, perché c'era stata l'esperienza angolana che era stata purtroppo molto negativa. Dopo il trattato di pace le due parti in lotta erano andate alle elezioni, ognuna conservando la sua forza armata e quando le elezioni si tennero, una delle due parti non riconobbe il risultato e la guerra riprese. Prima delle elezioni, quindi, i guerriglieri della RENAMO entrarono nell’esercito mozambicano ed è interessante che si fece una certa fatica - e non ci si riuscì - a raggiungere le quote previste, perché la maggior parte dei combattenti voleva tornare a casa e non continuare a fare il militare. Era un accordo tutto sotto il segno della accettazione dell'altro, della democrazia quindi, e della trasformazione in partito politico del movimento armato di opposizione. Nella fase tra la firma l'accordo e la tenuta delle prime elezioni democratiche era previsto ci fosse una forza militare dell'Onu per garantire la sicurezza e questo, coinvolgendo tra l'altro militari italiani, fu una delle missioni di pace Onu di maggior successo".
A 30 anni da questi accordi il Paese è colpito da quello che avviene a Cabo Delgado con le milizie jihadiste… Regge l’accordo?
"L’accordo regge e certamente Il Paese si trova a confrontarsi con problemi nuovi e radicalmente diversi. Oggi si confronta con quello è il jihadismo internazionale, che ha colpito la parte nord del Mozambico utilizzando alcune contraddizioni e debolezze del sistema-Paese. Si tratta di una zona molto dimenticata, economicamente molto depressa, quindi utilizzando anche alcune delle fragilità sociali del posto è stata possibile l'infiltrazione di elementi jihadisti. Oggi però quello che c'è da notare è che questa stessa zona colpita dal terrorismo jihadista vive anche delle pagine molto belle di solidarietà. Ci sono 900 mila sfollati interni, ma solo una piccola minoranza di questi è ospitata in campi profughi attrezzati, la stragrande maggioranza è ospite di famiglie, di parenti, di vicini, di persone che li hanno accolti. Quindi sostanzialmente sono stati accolti dalla solidarietà della popolazione mozambicana, che con questo ribadisce la sua volontà di pace.
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