Assisi, a San Francesco riapre dopo il restauro la Cappella di San Martino
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
San Martino a cavallo che divide il mantello con il povero, la sua investitura a cavaliere, la resurrezione di un fanciullo, l’incendio del trono dell’imperatore alla sua visita, la Messa miracolosa in cui angeli coprirono le braccia del santo sprovviste di mantello, il sogno di sant'Ambrogio durante una celebrazione, in concomitanza con la morte di San Martino. Sono solo alcuni degli splendidi affreschi di Simone Martini, il raffinato miniaturista senese che li realizzò tra il 1313 e il 1318 nella cappella di San Martino della chiesa inferiore della Basilica di San Francesco in Assisi, che hanno riacquistato colori e luminosità perdute in un restauro presentato questo pomeriggio.
Riaperta la Cappella dopo otto mesi di restauro
Dopo otto mesi di lavoro di sei restauratori guidati da Sergio Fusetti, capo restauratore e conservatore del Sacro Convento di Assisi, è nuovamente visitabile da pellegrini a turisti la cappella commissionata dal cardinale francescano Gentile Partino da Montefiore, che racconta la vita del Santo come un libro affrescato, leggibile seguendo il senso della narrazione dal basso verso l’alto. Prima ci sono le storie del santo quando era ancora laico, che iniziano con il celebre Dono del mantello, gesto di carità emulato dal giovane Francesco. Nel registro centrale si trovano le storie di Martino vescovo e i suoi miracoli, e infine in quello superiore le scene della morte e il transito. Nella rappresentazione degli ampi spazi e delle architetture, come sui dettagli più piccoli delle dorature, Simone Martini ha messo in campo tutta la sua conoscenza dell’arte orafa. A differenza delle ambientazioni giottesche, questo ciclo presenta un’indole più fiabesca.
Un progetto di manutenzione iniziato da 15 anni
Proseguono così i lavori di manutenzione e restauro secondo un progetto avviato 15 anni fa per le pareti affrescate della chiesa inferiore della Basilica che conserva le spoglie di San Francesco. “Grazie alla perizia dei restauratori e al sostegno di tante persone e di enti privati e pubblici - spiega il custode del Sacro Convento fra Marco Moroni - potremo giungere all'ottavo centenario della morte di san Francesco, nel 2026, a vedere la basilica nel suo pieno splendore”. Il custode definisce gli affreschi della cappella di san Martino “di una raffinatezza incomparabile: aver avuto la possibilità di ammirarli da vicino durante i lavori è stato un dono enorme che mi ha permesso di conoscere la singolare maestria di Simone Martini”.
Consolidamento degli affreschi e pulitura
Accanto a lui il capo restauratore Sergio Fusetti, che nel 2024 festeggerà 50 anni di lavoro nella Basilica, arrivato nel 1974 come tecnico dell’Istituto centrale del Restauro, e nominato conservatore dopo il terremoto del 1997. Ricorda che le fasi dell’intervento di restauro, in quella che è la prima cappella a sinistra della chiesa inferiore, sono state il consolidamento degli strati preparatori degli affreschi, l’asportazione dello strato di sporco e infine la revisione degli interventi precedenti. “Per restituire una completa lettura del ciclo – sottolinea Fusetti, che ha lavorato anche nel restauro degli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova - è stata condotta una ripresentazione estetica delle lacune di colore con tonalità neutre”.
Fusetti: la bellezza di un lavoro impossibile per le macchine
Visti da vicino, spiega, “i volti sono molto espressivi, e notevoli le decorazioni come le aureole punzonate e la ricercatezza degli abbigliamenti delle figure di Simone Martini, come gli abiti damascati dei soldati. La bellezza del nostro lavoro – continua Fusetti – sta nel fatto che non c’è macchina che possa sostituirci. Nel togliere la sporcizia sta alla sensibilità del restauratore decidere di fermarsi quando è opportuno, calibrando la densità e la resistenza dello sporco. A volte si pulisce un metro quadrato al giorno, a volte solo dieci centimetri in una giornata”. Poi, chiarisce ancora il capo restauratore, “si passa alla reintegrazione pittorica, che richiede molto tempo, nei punti dove la pittura è caduta. Si usa l’acquarello perché tutto deve essere reversibile e una tonalità di pittura neutra affinché si distinguano quali parti sono state aggiunte, per recuperare la leggibilità dell’affresco”. Così il conservatore della Basilica Sergio Fusetti racconta il restauro e il prossimo lavoro a Vatican News:
In cosa è consistita l' “avventura coinvolgente” del restauro della cappella di San Martino nella chiesa inferiore della Basilica di San Francesco d'Assisi?
Nella cappella l'ultimo restauro era stato fatto nel 1974 dall'Istituto Centrale del Restauro e dunque sono passati quasi cinquant'anni. Inoltre, col terremoto del 1997 e il crollo delle volte nella chiesa superiore, in quella inferiore non era stato fatto nulla, se non un monitoraggio generale per dare la possibilità di tenere aperta la Basilica. Una volta completato il delicatissimo restauro della chiesa superiore, in quella inferiore, 15 anni fa, è partito il progetto chiamato “Salva un affresco”, promosso dalla Fondazione San Francesco, per raccogliere fondi da fedeli e benefattori e anche con un contributo del Ministero della Cultura, proprio per fare la manutenzione necessaria. Prima della Cappella di San Martino abbiamo restaurato, tra le altre, la Cappella della Maddalena di Giotto, le quattro vele al centro della chiesa sempre di Giotto e via via stiamo facendo quasi a tappeto il restauro di tutta la Basilica inferiore.
Perché è stata data priorità a questa cappella prima di altre?
Perché durante il giro di manutenzione che facciamo durante l'anno, per una spolveratura degli affreschi, ci siamo accorti che su una parete della cappella che c'erano grossi distacchi di intonaco e quindi dell’affresco. La mia preoccupazione come conservatore e capo restauratore era legata al rischio di nuove scosse di terremoto, dato che l’Umbria è zona sismica, l’ultimo terremoto l'abbiamo avuto nel 2016. Quindi abbiamo fatto un po’ di prevenzione, dopo aver visto questi distacchi. E una volta montati i ponteggi, ci siamo accorti che c'era anche uno spesso strato di sporco depositato negli ultimi cinquant'anni. Questo è dovuto chiaramente alla polvere che si solleva quando entrano i fedeli e anche al vapore acqueo legato al respiro dei visitatori. Una cosa normale, visto che qui passano dai 5 milioni ai 6 milioni di turisti all'anno. Nelle cappelle poi si verifica un “effetto cappa” e lo sporco si stratifica sulla superficie, alterando chiaramente i colori. Ma non sono stati i colori e lo sporco il motivo principale dell’urgenza dell’intervento, bensì i distacchi dell'intonaco. Allora abbiamo fatto un lavoro di consolidamento e pulitura.
Ha ricordato che un ampio restauro era stato fatto nel 1974…
Infatti, la cappella nei secoli ha subito molti danni, e addirittura nella seconda metà del Settecento, un fulmine è entrato dal tetto. Evidentemente non hanno riparato subito il danno, e al primo acquazzone c'è stata una grossissima infiltrazione d'acqua, che ha rovinato tre scene pittoriche. Erano tanto rovinate che nel ‘74 l’Istituto Centrale del Restauro è stato costretto a staccare gli affreschi e poi riapplicarli una volta restaurati alla meglio. Noi abbiamo tolto tutte le tracce dei restauri ottocenteschi lasciando solo quelle dell'ultimo restauro, che è stato fatto con una tecnica corretta di ritocco, quella del rigatino, la migliore per risanare le lacune mancanti. Siamo riusciti a riportare tutti gli affreschi ai colori originali, o forse più correttamente ai colori che sono arrivati a noi dopo 700 anni.
Avete quindi usato dei collanti per questo consolidamento degli intonaci e delle pellicole pittoriche soggette ai sollevamenti?
Sì, abbiamo usato resine acriliche, e per la pulitura dei solventi basici, tutti prodotti testati dall’Istituto Centrale di Restauro. E per i tre affreschi più danneggiati, come quello del miracolo del fanciullo, il più rovinato, abbiamo usato colori neutri come quello del ’74, non abbiamo fatto altro che riproporli. E devo dire che il recupero è stato notevole, sia cromatico e sia conservativo. L'operazione è durata otto mesi, impegnando sette restauratori.
Quale la prossima tappa del progetto di manutenzione della chiesa inferiore?
Sicuramente la Cappella di Sant'Antonio di Padova, decorata da Cesare Sermei (nel 1610, n.d.r.), che non è famoso come Giotto, Cimabue e Simone Martini, però non meno importante per noi ai fini conservativi, dato anche che è in cattive condizioni. Perché non è un buon affresco, è piuttosto un semi-affresco, un “temperone”, abbiamo grossissimi problemi di sollevamento di colore, tant'è vero che abbiamo già montato il ponteggi per iniziare subito, quando abbiamo visto delle piccole lamelle di colore per terra che è tipico della tempera. L'affresco è ben compatto, per rovinarlo bisogna proprio distruggere l'intonaco, mentre per la tempera, siccome è dipinta un po’ a secco, questo crea questi problemi, e questi spessori di pellicola, se non recuperati bene, si corre il rischio di perderli. Infatti iniziamo subito, la prossima settimana.
Dopo quasi quarant’anni di lavoro in Basilica come restauratore, è sempre un’emozione concludere un intervento?
Data l'importanza dei cicli pittorici della Basilica di San Francesco, che conosciamo tutti, è chiaro che c'è una grossa responsabilità per me. Ma l’emozione più grande è stata nel 1974 quando sono arrivato in Basilica per restaurare gli affreschi. Però ogni volta che ci si avvicina a tali opere è chiaro che l'adrenalina sale un po’, sia a me sia ai miei collaboratori, i miei ragazzi.
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