Donne e carcere, quando “Le sbarre non fermano i pensieri”
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Sono pagine di amore e speranza, quelle che Annamaria Repichini dà alle stampe per il suo esordio letterario con “Le sbarre non fermano i pensieri”. I suoi, certo, le sbarre di Rebibbia non li hanno mai fermati, anzi, si sono resi eterni con inchiostro e carta sagomati nei ricordi che trovano casa in queste pagine, dalla Roma degli anni Cinquanta che la vede giovane fra Trastevere e Acilia, dall’amore per la mamma alle prime esperienze, fino all’incontro con il marito e quella prima figlia, arrivata quando era ancora giovanissima, e che molti anni dopo condividerà con lei l’esperienza della cella. Ci sono, certo, anche i ricordi del carcere, che però non hanno cancellato la speranza nel futuro: “Ho ancora speranza nel futuro, certo, sia nel mio che in quello della mia famiglia – racconta a Vatican News - il mio messaggio a detenute ed ex detenute è questo: fate sentire la vostra voce, siate forti e coraggiose, non addormentatevi con le terapie, perché la vita è bella. Comunque”.
Il carcere: 70% negativo, 30% positivo
È questo il bilancio che Annamaria fa della sua esperienza detentiva, in cui non ha perso tempo, dedicandosi, tra le altre cose, al teatro nella compagnia Le Donne dal Muro Alto, alla florovivaistica e alla scrittura: “In carcere il segreto per andare avanti è non sprecare il tempo – ribadisce – io mi sono per prima cosa iscritta a scuola, poi ho fatto diverse esperienze, ho riflettuto su me stessa, ho riordinato le idee e mi sono dedicata ai ricordi, anche con questo libro, è fondamentale non crogiolarsi nel dolore”. La detenzione, lei, l’ha vista sempre come una parentesi che, prima o poi, finisce; questa l’arma vincente con cui ha cercato di far evolvere molte delle sue compagne: “Le donne in carcere, sia quelle anziane ma soprattutto quelle giovani, soffrono il doppio, a causa degli affetti lontani, specie quelli dei figli – afferma – sono mamme, nonne, ma anche mogli e sorelle che nella maggior parte dei casi sono finite lì a causa della povertà, ma anche per amicizie sbagliate e, perché no, anche per uomini sbagliati…”.
I detenuti: persone e non numeri
Alla domanda su chi vorrebbe che leggesse il suo libro, Annamaria risponde così: “Sicuramente lo leggeranno molte detenute e molte persone che sono coinvolte nel mondo del carcere, come gli educatori o i volontari, magari qualche avvocato o addirittura magistrato… per me sarebbe importante che chiunque lo leggesse capisse che i detenuti non sono numeri, ma sono persone con sentimenti, con le loro gioie e i loro dolori, e quasi sempre con una gran voglia di riscatto”. E le ultime parole che ci dedica sono ancora per loro, le detenute che l’hanno accompagnata per un tratto della sua vita: “Fate cose buone, non sprecate il tempo, perché poi quello che fate di buono ve lo ritroverete. Non date nulla per scontato. Io facendo così sono diventata più riflessiva e meno impulsiva”. E ora è diventata anche scrittrice.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui