Il maestro Vessicchio: la musica educa l'uomo al perdono
Andrea De Angelis – Rondine (Arezzo)
"Qui a Rondine ho trovato lo spartito della vita, quello nel quale siamo costantemente sollecitati a trovare soluzioni. Siamo tutti in una continua prova, talvolta c’è qualche pausa, ma sempre insieme". Lo afferma il maestro Beppe Vessicchio, direttore d'orchestra, compositore, tra i relatori dello YouTopic Fest, il festival internazionale sul conflitto che si conclude oggi, domenica 11 giugno, a Rondine Cittadella della Pace. "L'armonia ci permette di operare per il bene. Intendo il bene comune, questo è il dato fondamentale che a volte smarriamo. Non basta trovare delle soluzioni rivolte solo alla propria persona, perché - sottolinea nell'intervista a Radio Vaticana-Vatican News - noi tutti lasciamo una traccia".
Il direttore d’orchestra ha davanti a sé musicisti che suonano strumenti diversi e deve riuscire a creare l'armonia tra loro. Qui a Rondine ci sono giovani molto diversi, non si registra nessuna forma di omologazione. Come si fa ad essere “direttori d’orchestra” in questa realtà?
Il progetto Rondine nasce proprio per questo, perché si trova ai confini del possibile. In realtà è questa la terra di confine che dobbiamo imparare a percorrere. Le differenze sono sempre esistite, appartengono all’uomo che è un animale sociale. Del bisogno di creare insieme ne abbiamo tracce evidenti, nella biologia ad esempio. Solo insieme possiamo migliorare la nostra vita, la comunità è un bisogno e la scienza lo testimonia. Il concetto che viene affrontato è dunque questo: comprendere quale sia quella parte di conflitto così insormontabile in grado da farci perdere di vista un bene naturale, che ci appartiene per nascita e per destino...
Spesso, quando un ragazzo inizia a studiare uno strumento, se ne innamora. Poi scopre che occorre perseveranza, impegno, quella sana ostinazione che conduce alla professionalità, ma non è detto che si arrivi al traguardo. Probabilmente, davanti ad un conflitto, il cammino è lo stesso: si sogna di risolverlo, si piange, ci si dispera, ma occorre insistere?
Assolutamente, è così. Anche nel rapporto con il linguaggio artistico è così. Purtroppo abbiamo nella società di oggi una sorta di spettro, che è il risultato dell’arte. Vediamo qualche volta il fare artistico come un mezzo per arrivare altrove; mi riferisco al benessere che, in qualche modo, induce a trovare una posizione da artista nella società. I riflettori si accendono, l’ego si gonfia, ma questa è un’attrazione quasi fatale. La vera conquista è il rapporto con il linguaggio. Le difficoltà a cui lei accennava, di impegnarsi e trovare soluzioni nell’efficacia del linguaggio avviene dopo un certo punto. All’inizio la strada è in salita, poi inizia un ritorno estremamente piacevole che ti avvolge. In effetti, la pace che cerchiamo porta alla pace interna, così come un musicista conquista il rapporto con il linguaggio del suono, così la persona si accorgerà che sta conquistando qualcosa di importante per lei.
Il Papa ci chiede di non spegnere i riflettori sulle cosiddette guerre dimenticate. Anche nel mondo della musica, a volte, dei capolavori vengono rimossi dalla memoria. Questo dimenticare è insito nella natura dell’uomo oppure è spesso un processo indotto ed è lì che occorre intervenire?
Il tema del ricordo e della dimenticanza è parallelo alla storia dell’uomo. Tragicamente perdiamo dati e conoscenze, qualche volta è causale, altre è pura sciatteria. Non dobbiamo dimenticare che l’uomo era riuscito a calcolare la circonferenza della Terra circa tre secoli prima della nascita di Cristo; abbiamo rimosso questa informazione e c’è voluto oltre un millennio per recuperare il dato. L’uomo pensatore che osservava il cielo e la natura è riuscito ad avvicinarsi alla misurazione sbagliando di circa il 10%; un errore pari al doppio è quello che avverrà dopo tantissimi secoli nonostante degli strumenti più moderni. A volte poi si dimentica volutamente. Spesso l’economia, i mercati hanno il sopravvento sul buonsenso umano e questo Papa Francesco lo sottolinea. Dobbiamo prenderci la responsabilità, come uomini, della realtà che viviamo.
Quando si parla di conflitti, si parla anche della capacità di saper perdonare. La musica, la bellezza possono predisporre l’anima a perdonare?
Sicuramente, ne sono certo di questo. Innanzitutto ti allontanano da una realtà che ti attanaglia. Il cane, creatura pacifica, abbaia se si sente minacciato. L’altro elemento è la paura, il timore di procurarsi dolore. Sono tutti temi che non possono essere ignorati nella valutazione della conflittualità. Gli umani hanno una grande chiave, grandissima ed è proprio quella del perdono. Mi piace citare un episodio storico, l’eccidio che ci fu nel casertano durante la Seconda Guerra Mondiale. Caiazzo, questo il nome del paese, oggi è gemellato con un comune della Germania dove era nato il giovane ufficiale che comandò il plotone di esecuzione che trucidò cittadini innocenti. Una testimonianza di straordinario perdono questa che ha portato ad una unione forte tra le due comunità. Quel giovane ufficiale non fu giudicato a Norimberga perché all’epoca dei fatti era minorenne. Risolvere un conflitto significa evolvere e fare un passo verso il proprio benessere. Un processo la cui utilità ricade anche sull’individuo che lo attua; affrancarsi dal conflitto è una vera e propria forma di evoluzione.
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