Myanmar: ridotta di sei anni la pena ad Aung Sang Suu Kyi
Michele Raviart - Città del Vaticano
Aung Sang Suu Kyi, leader civile dell’opposizione in Myanmar, è stata parzialmente graziata dalla giunta militare al potere dal febbraio 2021. La sua pena è stata ridotta di sei anni, sono infatti decaduti cinque capi d’accusa sui 19 per cui la premio Nobel per la Pace del 1991 era stata condannata a 33 anni di reclusione. Le imputazioni erano per corruzione, possesso di walkie-talkie illegali e violazione delle restrizioni per il coronavirus, tutte accuse giudicate pretestuose dalle organizzazioni che tutelano i diritti umani nel mondo.
Amnistia per oltre settemila prigionieri
La decisione della giunta militare, annunciata dal generale Min Aung Hlaing, Primo ministro e comandante in capo delle Forze armate, arriva nell’ambito di un’ampia amnistia decretata in corrispondenza della quaresima buddhista e che ha coinvolto oltre settemila prigionieri, alcuni dei quali erano stati condannati a morte. Tra chi ha potuto beneficiare del provvedimento c'è anche l’ex-presidente Win Myint, arrestato anche lui dopo il colpo di Stato del 2021 che ha visto la sua pena ridotta di quattro anni rispetto ai dodici previsti. Amnistiati anche 125 prigionieri stranieri e 22 membri dei cosiddetti gruppi armati etnici, in lotta contro i militari.
La leader rimane ai domiciliari
Venerdì scorso Aung Sang Suu Kyi era stata trasferita dalla prigione dove era reclusa ad un edificio governativo nella capitale Naypyitaw, dove sta scontando gli arresti domiciliari. Secondo una fonte riservata consultata dall’agenzia Reuters, né Suu Kyi, che era già stata in carcere dal 1989 al 2010 e che aveva guidato il Myanmar verso la transizione democratica, né Win Myint saranno liberati e continueranno quindi a scontare la loro pena.
4 mila civili uccisi dal febbraio 2021
Ieri la giunta militare aveva prorogato di sei mesi lo stato d’emergenza, annullando di fatto le elezioni previste ad agosto e allontanando ulteriormente il Paese dal ritorno alla normalità. Dal colpo di Stato sono stati almeno quattromila i civili uccisi durante le proteste e oltre 24 mila le persone arrestate. Oltre un milione secondo le Nazioni Unite – che ieri avevano chiesto il ritorno della democrazia nel Paese – sono gli sfollati a causa dei combattimenti e della repressione dell’esercito.
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