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Naufragio a Cutro, un anno dopo. I familiari delle vittime in corteo: “Giustizia e verità”

Per le strade di Crotone, a pochi chilometri dalla spiaggia dove lo scorso anno il naufragio di un barcone ha provocato la morte di oltre 90 persone, tra cui bambini, sfilano i parenti venuti dall’Italia e dall’Europa con uno striscione: “Mai più morti nel Mediterraneo”. In conferenza stampa l’appello a “tutelare ogni vita umana”. L’europarlamentare Pietro Bartolo, medico di Lampedusa: “Dei morti in mare dovremmo vergognarci un po’ tutti. Il Papa? Sempre dalla parte dei fragili"

Salvatore Cernuzio – Inviato a Crotone

A Crotone, dove capita che la gente faccia il bagno a mare anche d’inverno, non pioveva così da circa trent’anni. Nuvole scure, una pioggia che penetra nei vestiti e il vento che fa volare ombrelli, cappucci, cappelli. “Anche il tempo ci aiuta a ricordare quello che è successo un anno fa. Solo che noi siamo sulla terraferma, loro sperduti in mare”. Un drammatico parallelismo che condividono gli stessi familiari delle vittime del naufragio avvenuto il 26 febbraio 2023 sulla spiaggia di Steccato di Cutro, a circa 100 metri dalla riva, che ha provocato 94 morti di cui 35 bambini e altrettante donne. Una strage che ha sconvolto l’Italia, l’Europa e il mondo come testimoniano le prime pagine di allora di tutti i maggiori quotidiani, raccolti in un’unica foto che apre la mostra dal titolo I sogni attraversano il mare, mutuato dall'indimenticabile brano La cura di Franco Battiato.

Uno striscione per dire basta ai morti nel Mediterraneo

Dei morti di Cutro, molti dei quali dispersi perché rimasti seppelliti nella tomba d’acqua che è divenuto il Mar Ionio, oggi nella cittadina calabrese c’erano 52 familiari venuti da Germania, Austria, Svezia, Norvegia, nord Italia, Stati Uniti. Pakistani, siriani, iraniani e soprattutto afghani. Tante donne con lo hijab a proteggerle dalla bufera, come la signora che a malapena riesce a scandire il nome: una mamma, una suocera, una nonna che ha perso figlio, nuora e nipote. Teneva in mano insieme agli altri uno striscione: “Mai più stragi di migranti nel Mediterraneo”.

Una donna afghana che ha perso alcuni suoi familiari nel naufragio
Una donna afghana che ha perso alcuni suoi familiari nel naufragio

Lo hanno portato per le strade crotonesi, vuote per il maltempo, riempite però da questo nutrito gruppo di cittadini – tra cui i volontari di Rescue, Save the Children, Croce Rossa - radunatosi nei pressi del porto di Crotone e partito intorno alle 15.00 in direzione del PalaMilone, il palazzetto dello sport lo scorso anno adibito a grande camera ardente con tutte le bare, anche quelle bianche, dei cadaveri recuperati nei primi soccorsi, oltre che centro di raccolta di documenti e generalità dei familiari accorsi per riconoscere le salme dei parenti.

Promesse disattese

Gli stessi che oggi sfilavano per strada con un unico coro, “Verità e giustizia, giustizia e verità”, urlato in italiano, arabo e lingua farsi. Un appello, queste due parole, intriso di rabbia per quelle che definiscono “promesse non mantenute”. Come quella di ricongiungersi ai familiari bloccati in Pakistan, Afghanistan o Turchia per “evitare di fargli fare la stessa fine”.

Lo dice Ramzi Libiki, volontario tunisino naturalizzato italiano, tra i coordinatori dell’Associazione Sabir in prima linea in questi dodici mesi per l’assistenza e accoglienza dei parenti delle vittime: dall’alloggio alla mediazione linguistica e culturale a tutte le trafile burocratiche. “Nessuna risposta è stata data a queste persone. Hanno avuto pazienza per un anno intero, non hanno fatto niente, non hanno alzato la voce. Volevano pure portare via le salme dal PalaMilone senza il loro accordo. Dovrebbero chiedere scusa”. 

Il corteo per le strade di Crotone
Il corteo per le strade di Crotone

Amarkhel, nipote della giornalista afghana morta a Cutro: "Giustizia e verità"

E lo dice pure Amarkhel ir Shah, nipote dell’omonima giornalista afghana, Amarkhel Torpekai, speaker radiofonica di Kabul che collaborava anche all’Onu per dar voce alle donne sue connazionali. Un lavoro impossibile coi Talebani; per questo aveva deciso di partire. È morta quella sera a Cutro; con lei una cugina, suo marito e i tre figli. “Della mia famiglia sono morte cinque persone: oltre a mia zia, anche una cugina e i suoi familiari. Quattro trovati; un’altra, Aysha, di 7 anni, mai più”, racconta Amarkhel a Vatican News in buon italiano mentre si ripara con l’ombrello. È partito dall’Afghanistan nel 2008, prima è andato in Belgio, infine in Italia. “L’anno scorso… è stato un giorno brutto”, dice, “è passato un anno e ancora mia mamma in Olanda sta male, non è una persona normale. C’è anche una mia zia ‘grande’ in Olanda e lei è sempre in ospedale, sempre ricorda...”. La sua richiesta è che il resto della famiglia possa venire in Italia. Poi? “Quello che dicono qui: giustizia e verità”.

Il pescatore Vincenzo: impossibile dimenticare quando ti muore un bimbo tra le braccia

Tra fango e strade allagate, il corteo raggiunge il Museo di Pitagora per una conferenza stampa. All’esterno c’è la segretaria del PD, Elly Schlein, questa mattina a Cutro in spiaggia, e il pomeriggio a Crotone dove saluta alcuni sopravvissuti. Dentro il Museo è seduta invece in platea l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini. Rimane gran parte del tempo a parlare con Vincenzo Luciano, il pescatore 50enne di Cutro, tra i primi a buttarsi in mare per salvare i naufraghi. Un anno fa raccontava ai media vaticani la tragedia vissuta e la difficoltà ad andare avanti, a dormire, a tornare a casa e staccarsi da quella spiaggia. Dopo dodici mesi, poco è cambiato: “In questi giorni i ricordi sono ancora più brutti. Non dimentico, tutte le mattine ricordo le stesse scene… Spero, spero, di dimenticare ma non ce la faccio. Come fai a dimenticare quando ti muore un bambino in braccio?”.

Tutelare la vita, salvare la gente in mare

Al microfono, durante la conferenza stampa, si avvicendano numerosi interventi, tra cui quello di alcuni afghani che raccontano la situazione nel Paese, specie le limitazioni e le violenze contro le donne: “Le persone sul barcone sono state costrette a fuggire. Non ci sono solo motivi economici…”. Appassionato l’intervento di Manuelita Scigliano, responsabile di Rete 26 febbraio, coordinamento di circa 400 associazioni e attivisti riuniti già poche ore dopo la strage per dare supporto ai “dispersi di terra”, la quale lancia un appello a Italia e Europa perché “ritornino a decidere che le persone in mezzo al Mediterraneo devono essere salvate. Solo così eviteremo altre stragi come quelle di Cutro, Lampedusa... Torniamo a fare quello che è doveroso fare: tutelare la vita. Abbiamo bisogno di un nuovo Mare Nostrum”.

Pietro Bartolo: abbiamo a che fare con persone, non numeri

Parole che riecheggiano quelle pronunciate dal Papa nel suo viaggio a Marsiglia per i Rencontres Méditerranéennes: non far diventare il Mare Nostrum in un Mare Mortuum. Proprio il Papa, il primo ad aver allertato il mondo all’Angelus sulla tragedia sulle coste calabresi, viene citato da Pietro Bartolo, europarlamentare e medico di Lampedusa, a Crotone da giorni. “Dovevo esserci per stare accanto a questa gente che ha fatto onore all’Italia, all’Europa e all’umanità intera…”, spiega a Vatican News. “Il Papa è una persona straordinaria. In ogni occasione lui è dalla parte dei più fragili”. Solo lui e pochi altri, osserva Bartolo. “Peccato che poco cambia. Prima o poi ci renderemo conto che abbiamo a che fare con persone e allora cominceremo a creare leggi e regolamenti europei - di cui mi occupo anche io - per far arrivare questa gente con canali regolari e non nei modi vergognosi di adesso, dove subiscono violenze, maltrattamenti, sevizie, umiliazioni e in ultimo anche la morte, a pochi metri dall’Europa. È inammissibile, immorale e dovremmo vergognarci un po’ tutti”

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25 febbraio 2024, 20:00