L’empowerment di quattro donne che lottano per la pace
Felipe Herrera-Espaliat, inviato speciale a Abu Dabi
Quando Nelly, Shamsa, Latifa e Michèle parlano del ruolo della donna nella società attuale non lo fanno in modo teorico, ma sulla base delle proprie esperienze. Ognuna di loro offre quotidianamente la propria vita per migliaia di persone, che in diversi continenti beneficiano dei progetti che un giorno ha avviato e che ora sono riconosciuti in tutto il mondo.
Non condividono solo l’essere donne e leader, ma anche l’aver ricevuto il Premio Zayed per la Fratellanza Umana, onorificenza concessa a quanti si adoperano per colmare le lacune in diversi ambiti sociali e promuovere la giustizia e la pace, spesso a costo di grandi sacrifici personali. È un premio nato dallo storico Documento sulla Fratellanza Umana firmato nel 2019 da Papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb.
Per l’ultima consegna del riconoscimento lo scorso 5 febbraio, queste quattro donne si sono incontrate ad Abu Dabi e hanno potuto condividere nei dettagli il difficile cammino che ognuna di loro ha percorso, ma hanno anche approfondito la particolarità che il genio femminile apporta alla promozione umana, alla lotta per la giustizia e di conseguenza alla ricerca della pace a livello locale e globale.
Rompendo il cerchio del terrorismo in Francia
Latifa Ibn Ziaten dice di non avere avuto quasi il tempo per elaborare il lutto dopo la morte di suo figlio Imad nel 2012, vittima di un attentato nella città di Tolosa, nel sud della Francia. L’autore è stato un terrorista musulmano, considerato da molti giovani un eroe dopo quell’attacco. Trafitta dal dolore di madre, ma anche sconcertata dalla reazione dei giovani, Latifa ha deciso di dedicarsi alla prevenzione della radicalizzazione della gioventù e ha creato l’Associazione Imad, progetto che si sta diffondendo in Europa e che lavora con giovani, famiglie e comunità per promuovere la pace e prevenire il terrorismo.
Per questa franco-marocchina e musulmana praticante, una chiave essenziale del successo del suo lavoro sta nel fatto di essere donna, perché “le donne sono madri, trasmettono amore, non vogliono la violenza, non vogliono la guerra, e credo che le donne di oggi hanno il proprio posto ovunque nel mondo, saranno loro a salvare il mondo”, afferma con determinazione. Inoltre, basandosi su ciò che vede ogni giorno nella sua missione, Latifa Ibn Ziaten fa un appello a unire gli sforzi in questa direzione: “Ci sono tante donne con molteplici qualità che si stanno risvegliando e che stanno tendendo la mano al mondo. Quante più saremo, più leader saremo, più pace avremo”, asserisce la vincitrice del Premio Zayed per la Fratellanza Umana 2021.
Cile: la sensibilità femminile per risolvere conflitti
A undicimila chilometri dalla Francia, suor Nelly León non solo vive la fratellanza umana che le è valso il Premio Zayed 2024, ma esercita anche una vera maternità tra centinaia di donne private della libertà a Santiago del Cile. Per questa religiosa della Congregazione del Buon Pastore, che ha creato la Fondazione Mujer Levántate - Donna Alzati - la sensibilità propriamente femminile è fondamentale per accompagnare quante stanno scontando una pena e cercano di reinserirsi nella società. “La donna apporta un modo diverso di affrontare i conflitti, l’uomo li risolve in maniera più violenta; la donna, invece, riflette e cerca di risolverli in modo pacifico. Noi donne siamo più dialoganti, più empatiche, accogliamo le differenze con molta libertà interiore, senza pressioni”, spiega la religiosa.
E anche se per la sua scelta di vita consacrata ha rinunciato ad avere figli, Nelly León è chiamata “Madre” nel Centro Penitenziario Femminile di Santiago, dove centinaia di donne scoprono in lei la tenerezza e la maternità che non hanno mai conosciuto a casa loro. Per questo, oltre all’intervento psico-sociale realizzato dalla fondazione, suor Nelly assicura che, affinché una persona si possa riabilitare, è fondamentale avvicinarsi a lei con affetto, e questo atteggiamento viene in modo naturale nelle donne.
“Stiamo contribuendo alla costruzione di un mondo più fraterno, più umano, più pieno di luce, di speranza, capaci di dare maggiore conforto, di abbracciare senza guardare chi, dal cuore”, spiega Madre Nelly, ma osserva che spesso viene criticata perché investe sforzi e risorse in donne che hanno infranto la legge. Tuttavia, ancora una volta la sua risposta nasce da quella ferma sensibilità che la caratterizza: “Non stiamo lavorando per delle delinquenti, ma lo stiamo facendo per Maria, per Margherita, per Lisette, per Pascal, che sono cadute nella vita, che hanno commesso un reato, ma questo non le definisce come persone”, conclude.
Il potere del dialogo per la pace in Kenya
Il suo nome è Shamsa Abubakar Fadhil, ma tutti la conoscono come “Mama Shamsa”, perché da questa identità materna ha costruito il suo lavoro come mediatrice di pace e attivista per le donne in Kenya. All’inizio la sua attività era volta soprattutto a smantellare bande criminali giovanili e riformare ogni persona attraverso l’accompagnamento personalizzato e la formazione professionale. Così ha salvato migliaia di vite di giovani e bambini che sembravano non avere altro destino che la violenza e l’estremismo.
I successi della sua attività hanno attirato l’attenzione del Governo keniota, della società civile e dei leader di diversi gruppi religiosi, che l’hanno spinta a ricoprire importanti ruoli politici e sociali. Attualmente è la rappresentante nazionale femminile per la pace e la sicurezza in questo Paese africano. “Le donne sono sempre state a casa, ma credo che avessero dimenticato che come donne, quando c’è un conflitto, noi siamo le più colpite, perché perdiamo i nostri mariti, i nostri figli e ci ritroviamo nel nulla. Dobbiamo sedere ai tavoli decisionali perché è la nostra vita a essere colpita”, dichiara l’attivista.
Oggi Mama Shamsa è personalmente coinvolta nelle strategie nazionali per promuovere e mantenere la pace, e ciò le ha fatto capire che è un lavoro che deve essere svolto giorno dopo giorno sulla base del dialogo. “Come donne abbiamo il potere interiore di essere pazienti, un potere dato da Dio per avere umiltà e comprendere il tuo interlocutore. Credo che il nostro potere sia essere madri. Essere madre è un titolo molto grande. Persino un professore che ha tutti i titoli, quando si avvicina alla madre diventa un bambino. Quindi la maternità svolge un ruolo molto importante”, spiega Shamsa che, come musulmana, è anche presidente della Rete delle Donne Religiose di Mombasa.
Lei stessa insiste però sul fatto che non le piace essere chiamata con nessuno dei ruoli che ricopre o dei titoli che ha, perché ciò potrebbe costituire “una barriera per chi è molto semplice, impedendogli di avvicinarsi a me. Ma una volta che m’identifico come madre, chiunque può venire da me”, sottolinea la vincitrice del Premio Zayed 2023.
Dopo il lascito delle pioniere haitiane
Seguendo una tradizione centenaria di partecipazione alla vita pubblica delle donne ad Haiti, l’economista Michèle Pierre-Louis si è impegnata personalmente nella lotta per riportare la pace e la stabilità nel suo Paese, che presenta altissimi indici di povertà e violenza. Lo ha fatto da diversi fronti, il più importante come Primo Ministro del Governo tra il 2008 e il 2009, incarico che le è stato affidato per la sua vasta esperienza nella promozione sociale della popolazione.
A metà degli anni Ottanta Michèle è stata a capo della Missione Alpha, un progetto di alfabetizzazione nazionale promosso dalla Chiesa cattolica. In seguito, nel 1995, ha creato la Fondazione Fokal per la Conoscenza e la Libertà, ente che, attraverso l’istruzione, promuove, tra i vari ambiti, lo sviluppo comunitario, la tutela dell’ambiente e la parità di genere. I successi di questa istituzione le sono valsi nel 2022 il Premio Zayed per la Fratellanza Umana.
Pensando alla Giornata Internazionale della Donna, Pierre-Louis ricorda tutte quelle haitiane che nel 1932 costituirono la prima organizzazione femminile dei Caraibi. “Sono le nostre pioniere e abbiamo imparato molto da loro. Si mobilitarono contro le violazioni e la violenza sulle bambine e sulle donne, perpetrate soprattutto dai soldati statunitensi che occuparono Haiti, e per i diritti delle donne a condividere e partecipare alle questioni del Paese come cittadine a pieno diritto” ribadisce Michèle.
Nella caotica situazione sociale che Haiti sta attualmente attraversando, Michèle spera che le costanti preghiere di Papa Francesco per la pace vengano ascoltate. “Che cessi questa violenza assassina e assurda contro una popolazione completamente indifesa, affinché con un po’ di pace, le donne possano continuare la loro lotta contro l’ingiustizia e la disuguaglianza e a favore della fratellanza, la sorellanza e la solidarietà umana”, conclude la leader haitiana.
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