Dieci mesi di guerra, la situazione umanitaria in Palestina
Silvia Giovanrosa - Città del Vaticano
L’attenzione del mondo intero in questo momento è principalmente rivolta all’Iran e ad un possibile allargamento del conflitto nella regione mediorientale. Tuttavia, dagli attacchi del 7 ottobre, nella Striscia di Gaza, sono morte quasi 40mila persone, un numero che rischia di aumentare drammaticamente se non verrà raggiunto presto un accordo per il cessate il fuoco. Attualmente i negoziati di pace sono in stallo. L’uccisione, la scorsa settimana, del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, non ha giovato all’azione diplomatica, che avrebbe dovuto portare a casa gli ostaggi israeliani e favorire una tregua. Giunge, intanto la notizia che Hamas ha nominato il nuovo leader politico del gruppo. Muhammad Ismail Darwish è il successore di Haniyeh e guiderà Hamas, fino a quando non ci saranno nuove elezioni.“I morti aumentano di giorno in giorno in Palestina ed in Cisgiordania, palestinesi e soldati israeliani continuano a perdere la vita”, commenta Danilo Feliciangeli, responsabile di Caritas Italiana per il Medio Oriente.
Gli effetti indiretti della guerra
La guerra nella Striscia ha causato, oltre a morti e feriti, anche una serie di gravi problemi che minano la sopravvivenza del popolo palestinese. Danilo Feliciangeli sottolinea come ormai sia “quasi impossibile trovare cibo, che le cure mediche non esistono più perché la maggior parte degli ospedali è fuori uso e scoppiano continue epidemie”. Bisogna considerare, inoltre, le ripercussioni psicologiche del conflitto in corso. "Putroppo i traumi sono fortissimi per tutti. In particolar modo la Caritas sta lavorando per i bambini con attività di animazione, per distrarli dalla drammaticità della guerra".
L’intervento di Caritas italiana in Palestina
La Caritas si trova a Gaza da prima del 7 ottobre. “Sono settanta gli operatori umanitari attivi principalmente in ambito sanitario - prosegue Feliciangeli – sia per prestare soccorso ai feriti di guerra, sia per assistere i malati cronici presenti nella Striscia. Ci sono tre postazioni mediche sul territorio, a Gaza City gli operatori hanno allestito degli ambulatori, un'altra postazione era al Sud, a Rafah, ma più volte ci siamo dovuti spostare a causa dei continui ordini di evacuazione. L’ultima postazione è mobile, si sposta in base alle necessità”.
Non solo assistenza
Feliciangeli indica la necessità di intervenire a favore di una pacificazione attraverso progetti di riconciliazione, che abbiano come protagonisti i giovani. Lo scopo è quello di cercare i punti di unione piuttosto che di divisione per tentare di trovare una diversa narrativa di questo conflitto armato. ”Se non si lavora per la pace – afferma il responsabile di Caritas italiana – ogni azione sarà palliativa in attesa della prossima guerra”. La Caritas sta lavorando alla pacificazione, ad esempio in Siria - prosegue Feliciangeli - "attraverso attività artistiche ed artigianali, in Libano con attività di impegno civico e volontariato. A Gerusalemme abbiamo sviluppato progetti di formazione e di dialogo tra arabi mussulmani ed israeliani ebrei, in cui si cerca di ripercorrere la storia di questi popoli. Anche in Iraq ed in Giordania abbiamo attività simili il cui intento è costruire un generazione di giovani pronta al dialogo".
Il piano di Caritas Italiana per il Libano
Gli operatori di Caritas sono già presenti in Libano, dove proseguano gli scontri a bassa intensità. “La situazione si complicherebbe se il conflitto dovesse estendersi anche laddove, come in Iran, il nostro intervento è più difficile. Attualmente - conclude Feliciangeli - la Caritas italiana in Medio Oriente sta valutando la situazione, ma c’è molta paura per gli operatori e per l’esito dei progetti in corso”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui