Il Papa: la vostra sia una comunicazione cristiana senza aggettivi
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Nella splendida cornice della Sala Regia, in Vaticano, ai dirigenti e al personale del Dicastero per la Comunicazione, il Papa sceglie di parlare a braccio “per comunicare meglio”, per dire ciò che ha in cuore sulla comunicazione. Consegna dunque il discorso preparato al prefetto Paolo Ruffini, primo laico, sottolinea il Papa, a ricoprire il ruolo di prefetto di un Dicastero vaticano, perché lo faccia comunque conoscere a tutti i dipendenti.
E' Dio l'origine di ogni comunicazione
Le sue prime parole spontanee sono di ringraziamento per il lavoro svolto da tutta la grande famiglia impegnata nella comunicazione vaticana, per poi definire che cosa c’è all’origine di ogni comunicazione stessa. E’ il desiderio di Dio, dice, di comunicare, Dio che comunica all’interno di se stesso e si comunica a noi.
Questo è l’inizio della comunicazione: non è un lavoro di ufficio, come la pubblicità, per esempio: no. Comunicarsi è proprio prendere dall’Essere di Dio e avere lo stesso atteggiamento; non poter rimanere da soli: il bisogno di comunicare quello che ho io e penso che sia il vero, il giusto, il buono e il bello. Comunicare. E voi, siete specialisti in comunicazione, siete tecnici nella comunicazione:
Non si può comunicare senza coinvolgersi in pieno
E il Papa prosegue: “Si comunica con l'anima e con il corpo, con la mente e con il cuore, con le mani; si comunica con tutto." Il vero comunicatore dà tutto sé stesso, mette tutto sé stesso nel comunicare, non si risparmia. Ma la comunicazione più grande, sottolinea Francesco, è l'amore. Quindi la prima indicazione: una delle cose che voi non dovete fare – afferma Francesco - è fare solo pubblicità, come fanno le imprese umane che cercano di avere sempre più persone. "Non dovete fare proselitismo", dice, io vorrei che la vostra comunicazione fosse cristiana, non deve fare proselitismo. La Chiesa non cresce se non per attrazione e la comunicazione deve essere testimonianza.
Se voi volete comunicare soltanto una verità senza la bontà e la bellezza, fermatevi, non fatelo. Se voi volete comunicare una verità più o meno, ma senza coinvolgervi, senza testimoniare con la propria vita, con la propria carne quella verità, fermatevi, non fatelo. C’è sempre la firma della testimonianza in ognuna delle cose che noi facciamo. Testimoni: cristiani vuol dire testimoni. Martiri. E’ questa la dimensione martiriale della nostra vocazione: essere testimoni.
Siamo pochi, ma vogliamo dare il Vangelo a tutti
La seconda cosa che Francesco vuole sottolineare è una certa rassegnazione che tante volte entra nel cuore dei cristiani. Il mondo è pagano e questo è da sempre, dice, la mondanità non è una cosa nuova, è sempre stata un pericolo per la Chiesa. Tanti sostengono, prosegue, che la nostra realtà è essere una chiesa piccola ma 'autentica'. Una parola che al Papa non piace: se una cosa è, dice, non è necessario definirla 'autentica'. Non bisogna cedere alla tentazione della rassegnazione, si siamo pochi, è vero, ma siamo poco come lievito, come sale.
La rassegnazione nella sconfitta culturale – permettetemi di chiamarla così – viene dal cattivo spirito, non viene da Dio. Non è spirito cristiano, la lamentela della rassegnazione. Questa è la seconda cosa che io vorrei dirvi: non avere paura; siamo pochi? Sì: ma con la voglia di 'missionare', di far vedere agli altri chi siamo. Con la testimonianza, una volta in più, ripeto quella frase di San Francesco ai suoi frati, quando li mandava a predicare: “Predicate il Vangelo, e se fosse necessario, anche con le parole”, cioè la testimonianza al primo posto.
Una comunicazione che dica la realtà senza edulcorarla
E c’è una terza cosa su cui Papa Francesco richiama l’attenzione di chi lavora nel Dicastero per la Comunicazione: abbiamo dimenticato, dice, la forza dei sostantivi che dicono la realtà, per far posto agli aggettivi. E ripete l'esempio: al sostantivo ‘cristiano’, non occorre l'aggettivo ‘autentico’. L’indicazione è quella di "passare dalla cultura dell'aggettivo alla teologia del sostantivo":
La vostra comunicazione sia austera ma bella: la bellezza non è dell’arte rococò, la bellezza non ha bisogno di queste cose rococò; la bellezza si manifesta se stessa dallo stesso sostantivo, senza fragole nella torta. Credo che questo dobbiamo impararlo. Comunicare con la testimonianza, comunicare coinvolgendosi nella comunicazione, comunicare con i sostantivi delle cose, comunicare da martiri, cioè da testimoni di Cristo: da martiri.
Il saluto a ciascuno dei presenti
Il Papa conclude il suo discorso ringraziando ancora i dipendenti e incoraggiandoli nel loro lavoro. Poi imparte la benedizione. Ma l’incontro non è finito. Ad uno a uno tutti i presenti salutano personalmente Francesco: sfilano cardinali, vescovi consultori del dicastero, sacerdoti, religiosi, religiose, laici; impiegati, tecnici, giornalisti, fotografi, operatori, montatori, tipografi, comunicatori, esperti di comunicazione. Una realtà variegata che rappresenta un po’ il mondo intero nelle sue differenze e insieme nella sua unità e che a quel mondo intende rivolgersi con impegno e creatività.
Le parole del prefetto, dottor Paolo Ruffini
Progetti e obiettivi
Ruffini non nasconde l'impegnativo compito a cui la comunicazione vaticana è chiamata, all'interno della più vasto mondo attuale dei media, insieme anche alla doverosa attenzione all'impiego delle risorse: "Facciamo e faremo di tutto - afferma il prefetto - perché il nostro servizio sia tempestivo, sia creativo, sia multimediale. Sia umile e sincero. Sappia costruire delle relazioni vere con i credenti e con i non credenti. Sappia confortare tutti e confermare i fratelli nella fede attraverso parole e immagini che testimoniano concretamente il Vangelo vissuto. Misuriamo ogni giorno la difficoltà di essere all’altezza del compito che ci è affidato. (...) Ma anche e soprattutto la bellezza di essere, con le nostre imperfezioni, i nostri errori, la nostra pochezza, testimoni e strumento di verità".
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