Sud Sudan: un Paese caro al Papa e ancora in cerca di pace
Michele Raviart – Città del Vaticano
Il Paese più giovane del mondo compie dieci anni, ma non sarà una giornata di festa per il Sud Sudan. Non è solo la pandemia di Covid-19 a consigliare alle autorità di celebrare questo anniversario nelle abitazioni private e senza cerimonie pubbliche – prevista solo una corsa podistica di dieci chilometri nella capitale Juba -, ma è tutto il contesto di un Paese costantemente minacciato dalle violenze tra i gruppi e vittima di una crisi umanitaria gravissima.
Un'indipendenza pacifica
Nato il 9 luglio 2011 dopo decenni di conflitti per l’indipendenza con il Sudan, il 193.esimo membro delle Nazioni Unite non ha mai conosciuto la vera pace. Lo stesso Papa Benedetto XVI, nel discorso al corpo diplomatico del 9 gennaio 2012, si era rallegrato per un’indipendenza che si era compiuta pacificamente, ma aveva già espresso preoccupazione per le tensioni e gli scontri in corso in quel periodo. L’auspicio di Benedetto era che si aprisse “un periodo di pace, di libertà e di sviluppo” per il Paese, ma purtroppo così non è stato.
Cinque anni di guerra civile
Nel dicembre del 2013 il presidente Salva Kiir accusa il suo ex-vicepresidente Riek Machar di tentativo di colpo di Stato. Machar rigetta le accuse e arma le opposizioni. Le vittime della guerra civile saranno 380 mila e 4 milioni gli sfollati in cinque anni, pari a un terzo della popolazione. “Nel Sud Sudan avevo già deciso di compiere una visita, ma non è stato possibile”, disse con rammarico Papa Francesco il 23 novembre 2017, quando con una preghiera a San Pietro volle “gettare semi di pace” nel giovane Paese e nella Repubblica Democratica del Congo.
Il Papa bacia i piedi per la pace
Tre i tentativi di tregua, l’ultimo dei quali nel settembre 2018 mediato anche dalle Chiese cattolica, anglicana e presbiteriana scozzese, che hanno portato alla situazione attuale: una riconciliazione tra i due rivali con Salva Kiir di nuovo presidente e Machar suo vice. Tanto era attesa dal Papa una soluzione per quel conflitto che l’arrivo in Vaticano l’11 aprile 2019 dei due leader sud sudanesi e dell’altra vicepresidente designata Rebecca Nyandeng De Mab, fu l’occasione per uno dei gesti simbolici più importanti dell’intero pontificato di Francesco. Si inchinò e, da terra, baciò i loro piedi: “a voi tre, che avete firmato l’Accordo di pace”, disse, “vi chiedo come fratello, rimanete nella pace. Ve lo chiedo con il cuore”. “Ci saranno lotte fra voi”, aggiunse, “ma che queste siano dentro l’ufficio” davanti al popolo, le mani unite. Così da semplici cittadini diventerete Padri della Nazione”.
Una riconciliazione difficile
Prima e dopo questo incontro non è mai mancata, nelle benedizioni Urbi et Orbi, negli incontri con il corpo diplomatico o negli auguri di Natale, una parola del Papa per la pace in Sud Sudan, ma ad oggi la pace è ancora un miraggio e la coabitazione tra i due leader resta fragile. Continuano le violenze interetniche, alcuni territori sono ancora al di fuori del controllo dello Stato e l’unificazione delle milizie in un unico esercito unitario resta ancora lontana. Anche gesti simbolicamente importanti come il giuramento dei membri del nuovo Parlamento riunificato, frutto degli accordi del 2018 e previsto per maggio, sono stati rimandati senza spiegazioni.
Otto milioni di persone in stato di bisogno
Non va meglio nel settore economico, con un’inflazione galoppante e secondo l’Onu “un livello di insicurezza alimentare e di malnutrizione mai visto dall’indipendenza”. Per il World Food Programme almeno il 60% della popolazione ha difficoltà nel reperire cibo, con oltre 100 mila persone che sono minacciate dalla carestia. 8,3 milioni le persone in stato di bisogno; 1,4 milioni di bambini malnutriti; 1,62 milioni di sfollati e 2,3 milioni di rifugiati e richiedenti asilo, gli ultimi dati forniti invece dalla Caritas Italiana.
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