RD Congo, il Papa incontra le vittime dell'Est: ”Basta massacri. Rispettare le donne"
Salvatore Cernuzio – Inviato a Kinshasa
“Il mio cuore è oggi nell’Est di questo immenso Paese. La gente viene violentata e uccisa mentre gli affari che provocano violenze e morte continuano a prosperare! Basta! Basta arricchirsi sulla pelle dei più deboli, basta arricchirsi con risorse e soldi sporchi di sangue!
Dal salone della Nunziatura di Kinshasa, in uno degli incontri più intimi e, al contempo, più significativi dell’intero viaggio nella Repubblica Democratica del Congo, Francesco eleva un appello vigoroso contro le violenze che lacerano la vita della gente ad Est del Paese e che hanno ucciso anche persone innocenti che “servivano la pace”. Come l’ambasciatore Luca Attanasio, che il Papa cita insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, tutti assassinati due anni fa nell’Est del Paese.
Erano seminatori di speranza e il loro sacrificio non andrà perduto.
Rispetto per le donne
Francesco lo dice quasi con un sussurro. Invece alza la sua voce quando lancia un appello per ogni donna e ogni madre.
Ogni donna, sia rispettata, protetta e valorizzata: commettere violenza nei confronti di una donna e di una madre è farla a Dio stesso, che da una donna, da una madre, ha preso la condizione umana.
Appello a "chi tira i fili della guerra"
Con eguale vigore il Papa si rivolge direttamente coloro che “che tirano i fili della guerra nella Repubblica Democratica del Congo, depredandola, flagellandola e destabilizzandola”:
Vi arricchite attraverso lo sfruttamento illegale dei beni di questo Paese e il cruento sacrificio di vittime innocenti. Ascoltate il grido del loro sangue, prestate orecchio alla voce di Dio, che vi chiama alla conversione, e a quella della vostra coscienza: fate tacere le armi, mettete fine alla guerra.
Le testimonianze di abomini
Le vittime di quel fiume di odio, dettato da conflitti etnici e interessi economici, sono lì davanti ai suoi occhi. Vengono da Bunia, Beni-Butembo, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira e soprattutto Goma, tappa prevista nel programma del precedente viaggio in Repubblica Democratica del Congo fissato a luglio 2022, poi rimandato. Questioni di sicurezza hanno imposto la cancellazione della tappa, ma laddove il Papa non è potuto andare a Goma, Goma è andata dal Papa. E con lei, tutti gli altri luoghi di guerriglia e ribellione, incarnati da questo piccolo gruppo presente in Nunziatura che accoglie il Papa con un canto.
A Francesco viene mostrato un video che racconta gli abomini subiti, la scomparsa della gente e l’uccisione dei parenti. Ognuno poi condivide la propria testimonianza, leggendola da un foglio con il tono disincantato di chi ha subito il male, quello puro, gratuito, ma sta cercando ora di lasciarselo alle spalle. Le cicatrici rimangono: qualcuno le porta sul volto, altri dentro l’anima. Come una ragazza albina: in Africa finiscono in mezzo a torture, accuse e persecuzioni.
Gli strumenti dell'odio sotto la croce
Dopo ogni testimonianza, uno strumento dell’odio viene posto sotto il grande crocifisso in legno accanto alla sedia del Papa: uniformi, machete, martelli, asce, coltelli, bastoni di legno. Seduto al centro del salone in stile coloniale della Nunziatura, circondato dai suoi ospiti, interrotto solo dal pianto di una bambina, Papa Francesco stigmatizza la “violenza disumana” che questa gente ha visto con i propri occhi e provato sulla pelle:
“Si resta scioccati. E non ci sono parole; c’è solo da piangere, rimanendo in silenzio”
"Il vostro dolore è il mio dolore"
Uno ad uno il Papa menziona le città dell’Est più colpite, quelle che “i media internazionali non menzionano quasi mai”. Quelle in cui “figli della stessa umanità, vengono presi in ostaggio dall’arbitrarietà del più forte, da chi tiene in mano le armi più potenti, armi che continuano a circolare”. “Vi sono vicino”, assicura, “le vostre lacrime sono le mie lacrime, il vostro dolore è il mio dolore”.
A ogni famiglia in lutto o sfollata a causa di villaggi bruciati e altri crimini di guerra, ai sopravvissuti alle violenze sessuali, a ogni bambino e adulto ferito, dico: sono con voi, vorrei portarvi la carezza di Dio”
Una preghiera
Ed è in nome Dio che il Successore di Pietro condanna “le violenze armate, i massacri, gli stupri, la distruzione e l’occupazione di villaggi, il saccheggio di campi e di bestiame che continuano a essere perpetrati nella Repubblica Democratica del Congo”. E pure “il sanguinoso, illegale sfruttamento della ricchezza di questo Paese, così come i tentativi di frammentarlo per poterlo gestire”.
Si dice pure sdegnato, il Papa, nel sapere “che l’insicurezza, la violenza e la guerra che tragicamente colpiscono tanta gente sono vergognosamente alimentate non solo da forze esterne, ma anche dall’interno, per trarne interessi e vantaggi”. Le sue parole diventano una preghiera:
Mi rivolgo al Padre che è nei cieli, il quale ci vuole tutti fratelli e sorelle in terra: umilmente abbasso il capo e, con il dolore nel cuore, gli chiedo perdono per la violenza dell’uomo sull’uomo. Padre, abbi pietà di noi. Consola le vittime e coloro che soffrono. Converti i cuori di chi compie crudeli atrocità, che gettano infamia sull’umanità intera! E apri gli occhi a coloro che li chiudono o si girano dall’altra parte davanti a questi abomini.
Insaziabile avidità di materie prime e di denaro
Sono “conflitti che costringono milioni di persone a lasciare le proprie case” e “provocano gravissime violazioni dei diritti umani, disintegrano il tessuto socio-economico, causano ferite difficili da rimarginare”, denuncia Papa Francesco. Lotte di parte “in cui si intrecciano dinamiche etniche, territoriali e di gruppo; conflitti che hanno a che fare con la proprietà terriera, con l’assenza o la debolezza delle istituzioni, odi in cui si infiltra la blasfemia della violenza in nome di un falso dio”.
Ma è, soprattutto, la guerra scatenata da un’insaziabile avidità di materie prime e di denaro, che alimenta un’economia armata, la quale esige instabilità e corruzione. Che scandalo e che ipocrisia: la gente viene violentata e uccisa mentre gli affari che provocano violenze e morte continuano a prosperare!
No alla violenza
Due “no” e due “sì”, sono le strade che indica il Pontefice per ripartire. Anzitutto “no alla violenza, sempre e comunque, senza se e senza ma”. “L’odio e la violenza non sono mai accettabili, mai giustificabili, mai tollerabili, a maggior ragione per chi è cristiano. L’odio genera solo altro odio e la violenza altra violenza”, dice. E insiste: “Predicare l’odio è una bestemmia, e l’odio sempre corrode il cuore dell’uomo”. È un male che va estirpato dalla radici che sono avidità, invidia, rancore.
Mentre mi inchino con rispetto davanti alla sofferenza patita da tanti, vorrei chiedere a tutti di comportarsi come ci avete suggerito voi, testimoni coraggiosi, che avete il coraggio di disarmare il cuore.
Smilitarizzare i cuori
Ancora una supplica risuona sulle labbra del Papa. Una preghiera “in nome della pace, in nome del Dio della pace”
Smilitarizzare il cuore: togliere il veleno, rigettare l’astio, disinnescare l’avidità, cancellare il risentimento; dire “no” a tutto ciò sembra rendere deboli, ma in realtà rende liberi, perché dà pace. Sì, la pace nasce dai cuori, da cuori liberi dal rancore.
No alla rassegnazione
Il secondo “no” è alla rassegnazione. “Rinnovo l’invito perché quanti vivono nella Repubblica Democratica del Congo non si lascino cadere le braccia, ma si impegnino per costruire un futuro migliore… Non si può costruire l’avvenire restando chiusi nei propri interessi particolari, ripiegati nei propri gruppi, nelle proprie etnie e nei propri clan”. Perciò “il male che ciascuno ha sofferto ha bisogno di essere convertito in bene per tutti".
Sì alla riconciliazione
Da qui il primo “sì”: Sì alla riconciliazione. “Volete impegnarvi a perdonarvi a vicenda e a ripudiare le guerre e i conflitti per risolvere le distanze e le differenze”, commenta Francesco. “Volete farlo pregando insieme, tra poco, stretti attorno all’albero della Croce, sotto il quale, con grande coraggio, desiderate deporre i segni delle violenze che avete visto e subito: uniformi, machete, martelli, asce, coltelli... Anche la croce era uno strumento di dolore e di morte, il più terribile ai tempi di Gesù, ma, attraversato dal suo amore, è divenuto strumento universale di riconciliazione, albero di vita”.
Sono gli stessi sopravvissuti “alberi di vita”. E come alberi dovrebbero vivere: assorbendo inquinamento e restituendo ossigeno.
Solo il perdono apre le porte al domani, perché apre le porte a una giustizia nuova che, senza dimenticare, scardina il circolo vizioso della vendetta. Riconciliarsi è generare il domani: è credere nel futuro anziché restare ancorati al passato; è scommettere sulla pace anziché rassegnarsi alla guerra; è evadere dalla prigione delle proprie ragioni per aprirsi agli altri e assaporare insieme la libertà.
Sì alla speranza
L’ultimo “sì”, decisivo, è alla speranza. La speranza in Cristo: “Con Lui ogni tomba può trasformarsi in una culla, ogni calvario in un giardino pasquale. Con Gesù nasce e rinasce la speranza: per chi ha subito il male e persino per chi lo ha commesso”. “Fratelli, sorelle dell’Est del Paese, questa speranza è per voi, ne avete diritto", dice il Papa. "Ma è anche un diritto da conquistare”.
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