Testimoni della Chiesa in Ungheria: voci di una fede salda, più forte di ogni prova
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Due uomini e due donne. Un anziano sacerdote fratello di un beato e un prete greco-cattolico speaker radiofonico e padre di sei figli, insieme ad una giovane suora domenicana e una catechista laica che collabora con la Conferenza episcopale ungherese. Sono i testimoni scelti dalla Chiesa magiara per l’incontro con Papa Francesco nella concattedrale di Santo Stefano a Budapest, secondo momento pubblico del suo viaggio apostolico in Ungheria. Nella basilica intitolata al primo re d’Ungheria e consacrata alla presenza dell’imperatore austroungarico Francesco Giuseppe, parlano dopo il saluto del presidente della Conferenza episcopale, monsignor András Veres, e prima del Papa. Danno voce ai sentimenti dei più di mille sacerdoti, diaconi, consacrati e consacrati, seminaristi e operatori pastorali ungheresi che riempiono il tempio ottocentesco, dei 4 mila radunati nel piazzale della concattedrale e di quelli che seguono l’incontro con Francesco attraverso i mezzi di comunicazione.
Don József: tutto concorre al bene per coloro che amano Dio
Il primo a prendere la parola è don József Brenner, presbitero della diocesi di Szombathely, fratello del beato martire János Brenner, “brutalmente assassinato – ricorda - all’età di 26 anni dal regime ateista” dell’Ungheria sotto il giogo comunista sovietico. Il Pontefice, spiega il fratello, “lo ha inserito nelle file dei beati nel 2018”. József, sacerdote da 66 anni, è il terzogenito, János era il secondogenito, ma anche il primo fratello è diventato sacerdote. Grazie a “due genitori che avevano vissuto una vita santa – sottolinea l’anziano prete ungherese - un padre dedito alla preghiera e una madre che aiutava i poveri”. E racconta di un padre che andava a messa tutte le mattine” e sulla scrivania del suo ufficio “teneva il messale in latino e ungherese”. A chi gli suggeriva di non portarlo al lavoro, rispondeva “Perché? Questo qui non ha fatto del male a nessuno!”. Al capoufficio che lo definiva “inaffidabile”, perché “sta educando i suoi due figli da sacerdoti”, rispose ridendo: “Chiedo scusa: tre, non due!”. Don József sottolinea che i sacerdoti magiari che hanno vissuto come lui la Seconda Guerra Mondiale sono "sempre stati fedeli alla Chiesa". "Siamo dovuti fuggire - prosegue - e infine abbiamo patito per decenni le persecuzioni del comunismo". E ricorda infine a Papa Francesco il motto sacerdotale del fratello martire e beato: “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” e le parole di san Pietro: “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Al termine della sua testimonianza, dopo averlo abbracciato, il Papa bacia le mani di don Brenner.
Il greco-cattolico don Sándor: Dio mi ha liberato dal disfattismo
Lo segue al microfono don Sándor Kondás, sacerdote greco-cattolico dell’Eparchia di Miskolc, responsabile dello studio radiofonico del Centro Media Greco Cattolico. Che esordisce con lo stesso saluto che da 30 anni rivolge ai suoi radioascoltatori: “Cristo è in mezzo a noi!” – “Lo è, e lo sarà!”. Racconta che la sua chiamata al sacerdozio è legata alla chiesa del suo villaggio natale, su una collina che domina tutte le case, “per me una meta invitante e un punto di riferimento”. Ricorda che in quella chiesa è stato ordinato sacerdote, “sopra la tomba del pastore che mi aveva battezzato”. Parla poi del matrimonio con “quella ragazza con la quale ci eravamo visti innumerevoli volte, fino a riconoscere di essere destinati l'uno per l'altra da Dio” come un dono del Signore, che ha fatto dire ad entrambi: “Offriamo noi stessi, l'un l'altro e tutta la nostra vita a Cristo nostro Dio”. Allora, ricorda, “avevamo progettato di costruire una cattedrale con il nostro matrimonio”. Passati tanti anni, “vediamo che, se non una cattedrale, abbiamo almeno costruito una ‘cappella di emergenza’ dove chiunque può entrare in qualsiasi momento”.
"Lo sguardo del Signore brilla attraverso le icone"
Don Kondàs e la moglie, dopo aver adottato un bambino, hanno avuto altri quattro figli, e il quinto con la sindrome di Down. “Il Signore – sottolinea - ci ha aiutato anche ad accettare le loro capacità e le loro condizioni di salute così come erano nel Suo scenario divino”. Ringrazia Dio che, “fin dall'inizio della mia vocazione sacerdotale, mi ha liberato dal disfattismo e mi ha permesso di accettare le situazioni impossibili, perché è proprio da esse che si può trarre il meglio”. Così ha capito, grazie al Signore, “che il successo del ministero sacerdotale non si misura da ciò che posso fare, ma da quanto riesco a svuotarmi, ad abbandonarmi a Lui”. E conclude spiegando di essere felice quando nelle chiese riesce ad avere la prova della presenza reale del Signore, “là, dove il suo sguardo brilla attraverso le icone, i volti dei santi che risplendono d'eternità. Dove, con il fumo dell'incenso, le maestose melodie, le frequenti suppliche, la mia anima sale a Dio”.
Suor Krisztina: ho discusso con Gesù perchè chiamasse proprio me
Dopo il canto della corale della concattedrale, interviene suor Krisztina Hernády, giovane religiosa domenicana, che racconta in modo schietto perché ha deciso “di diventare suora nel XXI secolo”. Ricorda che da piccola, ascoltando la nonna parlare dei santi della dinastia ungherese degli Arpadi, “mi è nato nel cuore il desiderio di diventare io stessa una santa. Non vale la pena vivere per meno”. Ma, quando ha iniziato a capire che Dio la stava chiamando a un cammino molto concreto, ha cominciato “a discutere con Gesù sul perché chiamasse me mentre ho cinque fratelli e sorelle, e avrebbe potuto scegliere qualcun altro...”. E si chiedeva “perché Dio volesse che una ragazza di vent'anni attraversasse la vita vestita da ‘vedova nera’ ”. Si può vedere, spiega al Papa, Che “non ero particolarmente entusiasta della chiamata di Gesù al monachesimo, almeno non all'inizio”. Ma durante un ritiro dai gesuiti, “con l'aiuto di una suora francescana e di uno dei padri scolopi – ricorda - ho scoperto la gioia di essere in relazione diretta e personale con Dio”. E si è convinta “che tutti nel mondo dovessero sapere di questa gioia”, e il lei è cresciuto “il desiderio di lavorare per questo”.
C'è povertà spirituale, ma anche apertura al bene
Ora, conclude suor Krisztina, “vivo e insegno a Hódmezővásárhely, una città nel sud-est dell'Ungheria, insieme ad altre sei sorelle domenicane”. In questa regione, spiega “l'immagine di un Dio che ci ama personalmente e che si prende cura di noi si è impallidita nella mente della gente durante le prove degli ultimi secoli”. Così lei e le consorelle si confrontano ogni giorno “con la povertà fisica e spirituale della gente”, ma la fa sperare il fatto che “nel cuore delle persone c'è un'apertura al bene e una ricerca di risposte veramente pure”. Così le domenicane cercano di essere “strumenti di Dio attraverso i quali mostrare” alla loro gente “la gioia del Vangelo”.
La catechista Dorina: tanti aspettano il Vangelo di Cristo
Infine va al microfono Dorina Pavelczak-Major, collaboratrice principale presso la Commissione per la Catechesi della Conferenza Episcopale Ungherese, che rappresenta “la grande comunità degli operatori pastorali laici, dei ministri della liturgia della Parola, dei ministri straordinari della Comunione Eucaristica, dei lettori, degli accoliti, dei catechisti”. Laici che, spiega, svolgono la loro professione “nei campi dell'educazione cattolica, dell'assistenza sociale e sanitaria, e allo stesso tempo, naturalmente, diamo grande importanza alla catechesi nelle istituzioni educative pubbliche, anche perché tanti aspettano il Vangelo di Gesù Cristo”. L'autentico ministero evangelizzatore, prosegue Dorina , “per noi si esprime anche con la presenza nella vita delle famiglie cristiane, nel dialogo con loro”. E ricorda che “le disposizioni che il Santo Padre ci ha offerto sono di grande aiuto in relazione all'evangelizzazione, alla catechesi, alle questioni sociali e a quelle riguardanti la società”. E conclude rendendo grazie “perché, come gli apostoli, anche noi possiamo vivere e dire con fiducia che Gesù Cristo è il nostro futuro, cioè che Egli è la via, la verità e la vita”.
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