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Beato Alfredo Ildefonso Schuster, cardinale, arcivescovo di Milano

Beato Alfredo Ildefonso Schuster, 1930 Beato Alfredo Ildefonso Schuster, 1930 

“La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un Santo autentico, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio”.

In questa sorta di testamento spirituale lasciato ai seminaristi in punto di morte, c’è tutta l’essenza della santità di Alfredo Ildefonso Schuster, monaco nel cuore ancor prima che pastore di anime nella città di Milano, dove poi l’aveva condotto la Chiesa. E due giorni dopo queste parole, al corteo funebre che accompagnava la sua bara da Venegono a Milano, proprio tutti si sono uniti, accorrendo come si fa al passaggio di un Santo.

Un vero figlio di San Benedetto

Nato a Roma, figlio del caposarto degli zuavi pontifici, Ildefonso da piccolo serve Messa nei pressi del Vaticano. Rimasto orfano di padre, entra nello studentato di San Paolo fuori le Mura dove ha come maestri il Beato Placido Riccardi e don Bonifacio Oslander. Educato alla preghiera, al silenzio e all’ascesi, sente il desiderio di farsi monaco benedettino nella stessa abbazia. In pochi anni diventa maestro dei novizi, priore claustrale e abate ordinario: sono gli anni dello studio, in cui senza sottrarre tempo ed energie ai suoi doveri, riesce anche a dedicarsi all’arte sacra, all’archeologia e alla storia monastica e liturgica di cui era grande appassionato. Laureato in filosofia al Collegio di S. Anselmo e conseguito il dottorato in teologia, viene ordinato sacerdote nel 1904 e gli vengono affidati subito gli incarichi più onerosi, come il rettorato del Pontificio istituto Orientale e la missione come visitatore apostolico in Lombardia, Campania e Calabria. Nel 1926 guida anche gli esercizi spirituali per l’allora arcivescovo Roncalli – futuro Papa Giovanni XXIII – che celebrerà il suo funerale.

Il monaco-cardinale

Nel 1929 Pio XI lo sceglie come guida dell’arcidiocesi ambrosiana e lo crea cardinale: è il primo a prestare giuramento di fedeltà davanti a Vittorio Emanuele III, come prevede il nuovo Concordato appena firmato tra Italia e Santa Sede. Milano lo accoglie a braccia aperte, pur negli anni difficili che si profilano all’orizzonte. Qui Ildefonso, che s’ispira al suo più illustre predecessore – San Carlo Borromeo - fonda l’Unione diocesana decorati pontifici che riunisce personalità religiose e laiche insignite di un’onorificenza pontificia. È un vero pastore che non si risparmia mai: in 25 anni fa per ben 5 volte il giro delle parrocchie del territorio, scrive lettere al popolo e al clero in cui difende la purezza della fede e invia le sue prescrizioni liturgiche, promuove sinodi diocesani e congressi eucaristici e si occupa della costruzione di nuovi seminari come quello di Venegono in cui si spegnerà. Le persone lo sentono vicino e ricambiano il suo affetto: nessuno, ascoltandolo, può restare indifferente alle sue parole, ma è soprattutto con l’esempio che Ildefonso veicola gli insegnamenti della Chiesa.

Il ruolo difficile della Chiesa durante la guerra

Nel frattempo in Italia si è instaurato il regime fascista. Ildefonso, in completa buona fede, crede che attraverso la collaborazione tra governo e Chiesa il Fascismo possa diventare un’ideologia evangelizzatrice, profondamente e saldamente cristiana. Non sarà così. Ildefonso se ne accorge già nel 1938, con la promulgazione delle leggi razziali: in un’omelia passata alla storia definisce il razzismo dilagante “un’eresia”. Nel 1939 partecipa al conclave in cui il cardinale Pacelli diventa Pio XII. Poi scoppia la guerra. Nel 1945, alla caduta della Repubblica Sociale Italiana, propone un incontro e una trattativa tra i rappresentanti partigiani e Mussolini, ma quest’ultimo preferisce la fuga. Quando Mussolini e i suoi saranno uccisi ed esposti a piazzale Loreto, l’arcivescovo ne benedice i corpi, perché “si deve aver rispetto per qualsiasi cadavere”. Nel dopoguerra sarà il primo presidente della Conferenza episcopale italiana e nel 1954, ormai stanco, si ritira a Venegono dove muore il 31 agosto. È stato beatificato da Giovanni Paolo II nel 1996.