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Pedopornografia. Prima udienza in Vaticano per mons. Capella

Il materiale pedopornografico è stato scambiato sui social. Circa 40/55 tra immagini e video. Mons Capella: a distanza di tempo ne rilevo la ripugnanza

Massimiliano Menichetti - Città del Vaticano

Inizia in una calda aula del tribunale vaticano la prima udienza a mons. Carlo Alberto Capella accusato di aver detenuto, divulgato, trasmesso e offerto materiale pedopornografico, con l’aggravante dell’ingente quantità.

L'ammissione delle responsabilità 

Mons. Capella - sollecitato dal Promotore di Giustizia - non nega le proprie responsabilità pur cercando di spiegare l’origine degli “atti compulsivi di consultazione impropria di internet e di atti che fino ad allora, mai avevano formato oggetto” del suo “interesse”. In sostanza ammette di aver scambiato foto, video e disegni pedopornografici.

La ricostruzione dei fatti

I fatti d’accusa risalgono al 2016. L’imputato ricostruisce con grande attenzione le vicende salienti della propria vita a partire dal 1993, anno in cui viene ordinato sacerdote a Milano. Parla della vicinanza con i giovani dell’oratorio, gli anni di studio a Roma, l’incarico diplomatico in India, ad Hong Kong di supporto alla cosiddetta “missione di studio” e quello in Segreteria di Stato nel 2011.

Il trasferimento a Washington

Poi riceve “la notizia del trasferimento” negli Stati Uniti, nella nunziatura di Washington. A questo punto “l’idea di abbandonare tutto il vissuto - spiega - e affrontare una realtà nuova” crea in lui un “disagio interiore” che non condivide con nessuno, non riesce a dirlo “per obbedienza” neanche ai suoi superiori nonostante lui stesso abbia chiesto un incontro per parlarne.

La crisi interiore

Nel 2016 dice di “ritrovarsi negli Stati Uniti senza entusiasmo” di provare un profondo “senso di vuoto, una crisi interiore”. Tutto questo - spiega - si “radica” nella sua “interiorità” ed è all’origine del reato che gli è contestato. “Ho sbagliato a sottovalutare la crisi che stavo attraversando - rimarca -, ho sbagliato a pensare che potevo gestirla da solo”.

Una condotta irreprensibile

Sollecitato dalle domande del Promotore di Giustizia e del suo avvocato ribadisce che “queste morbosità mai hanno caratterizzato” - fino ai fatti di causa - la sua “vita sacerdotale né tantomeno quella con i ragazzi o minori d’età”. Sottolinea che la sua “condotta è stata sempre irreprensibile e che mai ha ricevuto” richiami per ciò che oggi gli viene contestato.

La piattaforma di condivisione delle immagini 

Incalzato dalle domande mons. Capella spiega che tutto è iniziato usando una piattaforma social a cui si era iscritto nell’aprile del 2016 per la ricerca di “buffe espressioni” di animali.  Nel luglio dello stesso anno però “questo ha dato seguito alla ricerca di immagini inappropriate di natura pornografica”. Prosegue spiegando che ha avuto contatti e scambi telematici con “utenti singoli” e che il “linguaggio di quelle conversazioni era assolutamente triviale”. Dopo una breve pausa afferma: “A distanza di tempo ne rilevo la ripugnanza”.

Il prof. Parisi e l'ing. Gauzzi

Poi vengono ascoltati i due testimoni richiesti dalla difesa: lo psichiatra Tommaso Parisi, che ha in cura tutt’ora l’imputato e l’ingegnere della Gendarmeria vaticana Gianluca Gauzzi, responsabile delle operazioni di custodia e analisi dei supporti informatici sequestrati al prelato. Rispondendo alle domande lo psicoterapeuta sottolinea di essere stato contattato dai superiori di mons. Capella per fornire supporto terapeutico. Evidenzia la buona disposizione del paziente, anche se “ci sono stati momenti difficili”.

Il server negli Usa

L’ingegnere informatico invece dettagliatamente spiega come sono stati trovati ed estratti foto, filmini e disegni pedopornografici e che mons. Capella "cercava immagini di ragazzi tra i 14 e i 17 anni". Precisa che quasi tutto il materiale - circa 40/55 unità tra foto e video - era su un server cloud negli Usa, dove lo smartphone usato dall’imputato trasferiva i contenuti.

L'udienza è stata poi aggiornata a domani alle ore 10.

 

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22 giugno 2018, 20:08