Musei Vaticani, liberi dai ponteggi la Pigna di bronzo e il suo capitello in marmo
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Dante nel 31.mo canto dell’Inferno la chiama “La Pina di San Pietro”, perché dal XII secolo era inserita nel “cantharos Paradisi”, la fontana per le abluzioni rituali posta al centro del quadriportico della basilica costantiniana di San Pietro. Nel 1608, mentre è in costruzione la nuova basilica, Papa Paolo V Borghese la trasferisce nella parte alta del Belvedere. E’ la gigantesca pigna in bronzo, alta quasi 4 metri, realizzata tra il I e il II secolo dopo Cristo da Publius Cincius Salvius, che si pensa sia servita per ornare un importante monumento di Roma antica, forse nel Campo Marzio. La sua attuale collocazione, al centro del Nicchione del Belvedere dei Musei Vaticani, risale al 1704, quando Papa Clemente XI Albani commissiona all’architetto Francesco Fontana la progettazione di una nuova scalinata, in cima alla quale viene collocata la Pigna sostenuta da un monumentale capitello in marmo. Un’opera che risale al II secolo dopo Cristo, rinvenuta negli scavi delle terme di Alessandro Severo in Capo Marzio, e che era nei giardini del Quirinale.
La storia inizia nel I secolo dopo Cristo, nella Roma imperiale
C’è tanta storia dietro alla Pigna e al suo capitello, che dall’inizio di ottobre sono tornati a splendere nel Cortile che è il cuore dei Musei Vaticani e lo snodo di tutti i percorsi di visita. E che prende il nome proprio da questo monumento. Una storia alla quale si aggiunge ora quest’ultimo intervento di restauro, iniziato prima della fine del 2019 e poi rallentato dal lockdown per la pandemia di Covid-19. Vi hanno lavorato quattro restauratrici del Laboratorio di restauro metalli e ceramiche e due di quello per i materiali lapidei dei Musei Vaticani, sotto la direzione scientifica del Reparto antichità greche e romane.
Jatta: un simbolo di prosperità ma anche di spiritualità
Un intervento, reso possibile dal generoso sostegno dei “Patrons of the Arts in the Vatican Museums”, che si inserisce nel più ampio e complesso progetto di restauro di tutte le superfici degli edifici che si affacciano sul Cortile della Pigna, iniziato nel 2015, e che riguarda il consolidamento delle murature e la pittura con tinte naturali. Come ci spiega il direttore dei Musei Vaticani, Barbara Jatta.
R. – Sono diversi anni che stiamo lavorando sul cuore dei Musei Vaticani, questo crocevia e lo snodo attraverso il quale i nostri visitatori sono all'aria aperta, ma anche possono prendere i diversi percorsi dei Musei Vaticani, e la Pigna ne costituisce il fulcro. E’ un elemento simbolico, un cardine di queste collezioni, in quella posizione dal 1704, ma prima ancora ha una lunga tradizione nel cantaro Paradisi del quadriportico della Basilica di San Pietro Costantiniana. E’ un simbolo romano, poi mutuato come simbolo cristiano, di prosperità, abbondanza e fertilità, ma anche di spiritualità profonda e quindi ci piace, in questo momento di pandemia, che ci sia un'attenzione su un simbolo così forte, così importante che ci fa ben sperare nel prossimo futuro.
Si dice che avrebbe potuto contenere le ceneri dell'imperatore Adriano…
R. - Dicono questo, ma dicono anche che poteva essere una fontana, quindi fonte di vita, fonte di acqua. Tante sono le ipotesi. Quello che è certo è che sappiamo chi è il suo autore: è firmata dal suo fonditore. Sappiamo anche che è la pigna più monumentale che esista al mondo: 4 metri di altezza circa che ne fanno un elemento simbolico fortissimo e veramente grandioso.
Anche i restauratori testimoniano che comunque era in buone condizioni, sia il bronzo sia il marmo...
R. – Più il bronzo che il marmo. Il marmo ha avuto un importante intervento in questa occasione, perché gli ultimi restauri risalivano agli anni ‘80 del secolo scorso. Degli interventi più ampi erano stati già fatti ma in questo caso si sono messe a punto delle metodologie, ma anche delle attenzioni conservative che permetteranno di goderne ancora senza dover più intervenire.
Manca solo un lato, adesso, per avere di nuovo il Cortile nel suo aspetto originario, di un bianco marmoreo. Quando potrà iniziare e finire questo ultimo restauro?
R. - La pandemia ha determinato una riprogettazione generale dei nostri interventi. L'abbiamo messo in programma per il 2021. Auguriamoci di poterlo realizzare.
La restauratrice: difficile togliere le vecchie resine protettive
La monumentale pigna in bronzo, collocata sul nato nord del Cortile del Bramante al quale dà il nome, nell’esedra del Nicchione di Pirro Ligorio, ha un diametro massino di 2 metri e 40 centimetri, ed è stata fusa in 5 elementi saldati tra loro: un “toro” che fa da base, con tre elementi, un tronco conico e una cuspide, sostituita nel Settecento, quando è stata aggiunta anche una base circolare. Dal restauro, dopo ricerche d’archivio iniziate già nel 2018, basate soprattutto sulla relazione di Sergio Angelucci, corredata da numerose foto, dell’intervento degli anni Ottanta del secolo scorso, si è occupata, con tre colleghe, Fabiana Francescangeli, del Laboratorio di restauro metalli e ceramiche dei Musei Vaticani.
R. - Siamo partite dal documentarci sulle relazioni di restauro dei precedenti interventi del 1981 di Sergio Angelucci, di Maurizio Salibra nel 1986 e di Ignazio Di Bella del 2004, abbiamo ricavato dati importantissimi per la conoscenza dei materiali utilizzati come protettivi. Si trattava di solito di protettivi di sintesi, industriali. In base anche ai prelievi che abbiamo fatto su questi materiali e poi analizzati dal laboratorio di diagnostica, abbiamo notato che erano presenti vari strati di protettivi diversi, che quindi evidentemente non sono stati rimossi nei restauri precedenti. Il nostro intervento quindi è consistito principalmente nel rimuovere questi strati protettivi, ormai invecchiati e ossidati, molto presenti nel lato nord, perché protetti dal Nicchione e quasi assenti invece dal lato sud, perché esposto agli agenti atmosferici, dilavamenti, venti, eccetera. Quindi la difficoltà principale è stata quella di trovare una miscela di solventi per rimuovere questi strati.
L'intervento successivo è stato quello di controllare le superfici, perché finalmente si vedevano le superfici originali, di controllare le integrazioni, di aprire la parte sommitale della Pigna, chiamata il “cupolino”, che è un rifacimento settecentesco e quindi è avvitato all'originale romano. Con una carrucola è stato possibile sollevarlo, rimuoverlo e ispezionare l'interno con delle telecamere e controllare così anche lo stato interno, la conservazione della superficie, delle corrosioni del bronzo. Abbiamo (…) fatto dei piccoli prelievi dove era possibile accedere, e all'interno si può fare perché la pigna ha un diametro di 2 m e 40. E poi abbiamo dato degli strati protettivi alle superfici, perché comunque sono soggette a un dilavamento fortissimo, principalmente nella parte sud della Pigna. Questi strati protettivi sono stati più di uno, anche un inibitore di corrosione come il benzotriazolo e poi anche strati di cera che hanno dato questo aspetto che si può vedere ora.
Rispetto al restauro di 40 anni fa, sono evolute le tecniche e i materiali protettivi….
R. - Questi materiali sono ora reversibili, mentre noi abbiamo trovato dei materiali acrilici bicomponenti, anche una resina poliuretanica che è stato difficilissimo rimuovere, infatti è stata rimossa meccanicamente, perché con i solventi non era più possibile. Di integrazioni ce n'erano molte, perché la fusione romana ha molte lacune e anche nei precedenti restauri sono state ricostruite con una resina bicomponente rimovibile. Non le abbiamo sia controllate, sia rifatte e integrate cromaticamente all'originale, infatti sono praticamente invisibili come si può vedere.
Per mantenere questo aspetto, dovrà essere fatta una manutenzione annuale?
R. - Ce lo auguriamo vivamente, perché restauro di Sergio Angelucci dell'81 non aveva più nessuna efficacia, 40 anni sono davvero tanti. Anche se poi sono state fatte delle piccole manutenzioni, in futuro le manutenzioni potrebbero essere fatte, tra qualche anno, stendendo nuovo protettivo soprattutto nella parte sud.
Si può prevedere tra quanto sarà necessario fare un altro restauro?
R. – Di solito, dopo 6 anni bisogna intervenire nuovamente, perché in esterno questi tipi di protettivi, anche se dati in più strati proprio per ottenere un maggiore spessore della pellicola protettiva, non resistono mai oltre i 10 anni: si arriva alla superficie originale e poi l'azione meccanica della pioggia della grandine, del vento agisce proprio su quella.
Come sta allora questo bronzo, che viene dall’epoca romana?
R. – Sta bene: la fusione romana è stata molto difficoltosa, con le tecniche a disposizione allora. Nella sua relazione di restauro, Angelucci scrive che sono riusciti a misurare lo spessore delle pareti della Pigna, che varia dai 6 a 12 millimetri. Certo, bisognerebbe sapere quale era lo spessore originale per verificare adesso quello che si è consumato nei millenni, stando all'aperto. Ma non abbiamo questo dato.
Un prodotto per pulire il marmo dal "verde" colato dalla Pigna
Il capitello che fa da piedistallo alla Pigna, è stato realizzato in marmo proconnesio, ed è decorato da scene a rilievo che raffigurano giochi della palestra. Sul lato sud, il meglio conservato, è ben riconoscibile il trionfo di un pugile, che stringe in mano la palma della vittoria. Al momento del trasferimento nel Nicchione, sono stati aggiunti un elemento di raccordo per adattarlo alla base della pigna e un basamento, entrami in marmo di Carrara. E sono gli elementi più in sofferenza, come ci spiega Michela Gottardo, restauratrice del Laboratorio per i materiali lapidei, che è intervenuta col collega Stefano Spada.
R. – Abbiamo soprattutto rimosso i numerosi strati sulla superficie, sia dovuti a depositi che si sono trasformati nel tempo in concrezioni, croste nere, sia ad interventi precedenti di patinature e altro. Un intervento piuttosto difficile, perché in alcuni casi questi strati avevano degli spessori notevoli ed era addirittura quasi difficile individuare la superficie originale. Abbiamo usato diversi sistemi, da quelli chimici a quelli meccanici e anche l'ablazione laser.
Dopo la pulitura avete anche protetto il marmo?
R. - La prima fase, che è durata moltissimo, è stata quella della pulitura e anche delle rimozioni delle innumerevoli stuccature a base cementizia che si trovavano sul capitello. In particolare erano stati ricostruiti l'angolo a nordest e nordovest con pezzami di mattoni e malte cementizie, dai quali poi sono percolate sulla superficie marmorea anche dei materiali costitutivi proprio della stuccatura. Le abbiamo in parte rimosse e poi rifatte. Successivamente abbiamo proceduto con stuccature, sempre compatibili con il materiale costitutivo originale e con la protezione. Ma la fase più lunga e più interessante è stata quella della rimozione, o meglio dell’alleggerimento, dei prodotti di corrosione del rame derivanti dalla Pigna bronzea, che avevano colorato in tantissime parti il capitello di verde. Questi prodotti di corrosione del rame, in realtà, non creano un grande problema di degrado, ma certo un problema estetico. E questa è un una questione aperta per i monumenti che sono realizzati con una parte in bronzo e una parte in marmo. Dopo una lunga ricerca condotta soprattutto dal mio collega, in stretta collaborazione con i Laboratori di ricerche scientifiche dei Musei Vaticani, sono stati individuati alcuni prodotti con i quali abbiamo fatto dei test e siamo riusciti a individuare un prodotto che si è rivelato molto interessante, abbiamo anche individuato una metodologia che potrà essere ovviamente sempre migliorabile e che potrà essere utilizzata anche in casi simili in futuro.
Come sta il capitello, dopo tutti questi secoli all’aperto?
R. - La parte più antica che il capitello, del II secolo dopo Cristo, è la parte che tutto sommato potrebbe reggere anche meglio perché è di marmo proconnesio, molto resistente. Forse danno più problemi le parti che sono state aggiunte successivamente, cioè nel Settecento: la parte sommitale, cioè la parte di raccordo tra il capitello e la Pigna, e il basamento, che furono aggiunte quando il capitello, portato ai Musei Vaticani, fu utilizzato come piedistallo per la Pigna bronzea. Il marmo di queste parti settecentesche è meno resistente di quello romano. Il capitello ha subito diversi interventi e tra tutti forse quello più importante è stato quello del 1908, diretto e voluto dal Galli, che segnalava un problema di tipo strutturale: scriveva che la decorazione marmorea rischiava di cadere. Quindi che cosa fanno? Sollevano la Pigna e inseriscono, così si legge, due blocchi di travertino con elementi in ferro cui affidare la decorazione marmorea esterna. Si pensava che Galli facesse riferimento al capitello, e che quindi questo potesse essere cavo. In realtà con delle indagini endoscopiche abbiamo verificato che il capitello è pieno e quindi molto probabilmente la decorazione marmorea alla quale fa riferimento Galli è la parte settecentesca, quella di raccordo tra il capitello e la Pigna. Abbiamo potuto rilevare, grazie al Laboratorio di ricerche scientifiche dei Musei Vaticani, la presenza di almeno quattro elementi metallici in corrispondenza degli angoli che probabilmente sono quelli che nominava Galli e che sicuramente dovevano servire sia per la parte settecentesca, quindi per la parte alta, ma anche come ancoraggio tra quella, il Capitello e probabilmente anche il fondo della Pigna. Quindi essendo un monumento all'aperto avrebbe bisogno di una manutenzione che può anche essere banalmente una spolveratura e magari una nuova applicazione dei protettivi, perché nel tempo si perdono.
Quando pensate sarà necessario rimetterci mano?
R. – Se i monumenti hanno una manutenzione continua, attenta e più o meno annuale, i restauri possono durare anche dieci, vent’ anni, con piccoli interventi che si possono fare in questi momenti di manutenzione. E’ la manutenzione che sicuramente garantisce di più la longevità di un intervento di restauro.
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