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Un'udienza del Processo del Tribunale Vaticano sulla gestione dei fondi della Santa Sede Un'udienza del Processo del Tribunale Vaticano sulla gestione dei fondi della Santa Sede  

Il Promotore di Giustizia: quello in Vaticano è un giusto processo

Ottava udienza del processo per i presunti illeciti con i fondi della Segreteria di Stato. Alessandro Diddi, rappresentante dell’accusa, replica alle contestazioni degli avvocati delle difese: “Strumentalizzazioni per distogliere dal merito delle questioni”. Domani 1° marzo il Tribunale decide con un’ordinanza sulle eccezioni di nullità presentate

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Dopo sette mesi e un giorno si conclude la “parte A” - così l’ha definita il presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone - del processo in Vaticano per presunti illeciti compiuti con i fondi della Segreteria di Stato. Ovvero tutta la parte dedicata alle discussioni preliminari tra accusa e difesa, che hanno occupato dal 27 luglio ad oggi otto udienze. Domani 1° marzo, il procedimento giudiziario arriva al suo primo giro di boa con la lettura dell’ordinanza che decide sulle eccezioni di nullità invocate dalle difese. A seconda della decisione, si darà inizio al “vero processo”, come ha detto Pignatone, con gli interrogatori dei dieci imputati. Di questi oggi, nella seduta di tre ore e venti nell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani, era presente solo il cardinale Giovanni Angelo Becciu. Ampio spazio nell’udienza è stato dedicato alla replica del promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, che ha risposto a tutte le eccezioni di nullità formulate finora.

La replica del Promotore di Giustizia 

Dicendosi “basito” per le questioni sollevate, Diddi ha affermato che molte delle eccezioni avanzate gli sono sembrate “un tentativo di strumentalizzare il momento delle questioni preliminari per lanciare altri messaggi e distogliere l’attenzione da quello che in questo processo intendiamo fare”. E cioè ristabilire la verità sui fatti di Londra. A questo riguardo, il promotore ha fornito una stima aggiornata, in base alle ultime analisi di revisione contabile, della perdita subita dalla Santa Sede con l’acquisto del palazzo di Sloane Avenue: 217 milioni di euro. 

“Noi il processo lo vogliamo fare”, ha detto quindi l’avvocato, “vorremmo confrontarci con le difese e chiedere loro se distogliere somme di denaro con destinazione pubblica costituisca reato. Mi pare che tutte le eccezioni siano un tentativo per non confrontarsi nel merito delle questioni”. Parole che, secondo alcuni avvocati, costituirebbero “un insulto alla difesa”. “Se dovessi contare io le numerose contumelie”, ha replicato Diddi, riferendo che l’ufficio amministrativo del Promotore “è stato destinatario di mail di imputati che, con toni inquietanti, chiedono al personale la contezza di attività da noi poste in essere”. E anche che lui stesso ha ricevuto una denuncia in territorio straniero per un presunto reato di intercettazione abusiva. L’autorità giudiziaria elvetica ha, però, archiviato il processo.

"Un processo il più possibile aderente alle regole” 

Sempre Diddi ha spiegato di aver incontrato diversi avvocati nei mesi, ai quali era legato anche da rapporti di amicizia, che “con un certo imbarazzo” dicevano di avere diverse questioni da sollevare nel processo. “Fatele tutte, nessuna esclusa”, era stata la sua risposta, “l’obiettivo di questo Ufficio è fare un processo il più possibile aderente alle regole”. Secondo il promotore aggiunto, molte delle questioni eccepite “hanno tutto tranne che un carattere procedurale” e sono il risultato della “disinformazione” sulle regole dello Stato della Città del Vaticano. “Piaccia o non piaccia, non si fanno processi portando regole da fuori ma applicando quelle dentro. In certi casi avete chiesto l’applicazione di norme in questo Stato inapplicabili”.

Sereno dell'operato compiuto 

Diddi si è detto “sereno” dell’operato compiuto, esprimendo un “debito di riconoscenza” alla Polizia giudiziaria che ha fatto “l’impossibile per dare risposta ad ogni singola questione speciosa”. Anzi, è stato fatto anche di più: “Alcuni avvocati hanno detto di non trovare atti che dovevano cercare loro, li abbiamo cercati noi. Si è fatta una tabella dove, richiesta per richiesta, abbiamo indicato dove stanno”. Molti sono stati anche digitalizzati.

Il promotore ha poi espresso compiacimento perché un difensore della parte civile proprio questa mattina diceva: “Io gli atti li ho trovati tutti”. “La parte civile ha fatto quello che tanti difensori non hanno fatto”, ha esclamato, spiegando pure che presso il Comando del Corpo della Gendarmeria è stata messa a disposizione una postazione in una stanza sanificata dove riscontrare tutti gli atti sequestrati: “Ci è venuta solo la parte civile e basta”. Dunque quella del mancato deposito degli atti “è una tempesta in un bicchier d’acqua”.

"Questo Stato attua pienamente il diritto del giusto processo"

“Questa storia che avremmo tarpato le ali alla difesa deve finire”, ha affermato ancora l’avvocato, intervenuto pure sulla questione dei Rescripta del Papa che, secondo le obiezioni della difesa, avrebbero modificato in corso d’opera il processo e concesso “pieni poteri” al Promotore di Giustizia in fase di indagine. A riguardo, Alessandro Diddi ha ricordato quanto ha ribadito la Corte di Cassazione italiana quando il finanziere Gianluigi Torzi – tra i dieci imputati – ha affermato che lo Stato della Città del Vaticano “è uno Stato canaglia dove non esiste diritto”: “La Corte ha riconosciuto che questo Stato attua pienamente il diritto del giusto processo”. E lo stesso hanno sostenuto altre giurisdizioni straniere. 

Circa gli omissis negli atti, l’avvocato ha detto che "è stato fatto quello che qualsiasi giurisdizione, inclusa quella italiana, ha sempre fatto". Ha ribadito inoltre che le parti con omissis erano relative a nuovi fascicoli che non dovevano rientrare nel processo in corso. In difesa del suo operato, Diddi ha fatto anche un esempio concreto con il caso di Fabrizio Tirabassi, ex funzionario della Segreteria di Stato, che “avrebbe fatto mercimonio dei suoi poteri”. “Ci sono decine di pagine nella richiesta di citazione dove quello che vogliamo sostenere è chiarissimo. Non si può dire che non ci sia imputazione. Non sarà vero? Perderemo al processo, fa parte delle regole gioco”. Infine, Diddi ha consegnato in Cancelleria una memoria e una chiavetta che, ha detto, conterrebbe tutti gli atti presenti che la difesa dice di non aver trovato finora.

Le contestazioni della difesa

Secondo gli avvocati della difesa, non si tratterebbe comunque del materiale che loro, da luglio, richiedono. Proprio sul mancato deposito degli atti si era concentrata la prima arringa dell’avvocato Giandomenico Caiazza, legale del broker Raffaele Mincione, che ha criticato “l’eclatante insostenibilità” della scelta del Promotore di rendere disponibili solo gli atti utilizzati nelle indagini, in nome di “fantomatici principi e regole di generale osservanza”. Mentre l’avvocato Massimo Bassi, difensore di Tirabassi, ha parlato di “denegata giustizia” e reso noto che negli atti è assente il materiale sequestrato in Segreteria di Stato nell’ottobre 2019: centinaia di scatoloni di documenti cartacei, 39 dei quali prelevati dall’ufficio di Tirabassi.

Il difensore di Squillace

Lungo l’intervento di Domenico Aiello, difensore dell’avvocato Nicola Squillace, che ha rilevato incongruenze sulle notifiche ricevute dal suo assistito, soprattutto per la convocazione all’interrogatorio. Aiello ha citato delle email ricevute dal Promotore, in particolare una del 9 dicembre 2021 che notificava un interrogatorio fissato per il 22 novembre. Ha poi sottolineato che l’Ufficio del Promotore ha eseguito un sequestro di conti correnti di Squillace e dei membri dello Studio Libonati Jeger (di cui Squillace era socio) e anche il sequestro della sua prima casa. Studio dal quale Squillace si è separato da circa dieci anni, non svolgendo più la professione legale; la casa, invece, è abbandonata da anni, avendo egli preso residenza a Londra. Diddi e il Promotore applicato, Gianluca Perone hanno elencato una serie di prove e documenti che dimostrerebbero invece che le notifiche a Squillace sono state effettuate correttamente e che da parte dell’imputato vi sono stati continui rimandi dell’interrogatorio e la mancata elezione di un domicilio.

Le parti civili

È stato poi il turno delle parti civili. Anzitutto l’ex presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, in rappresentanza dell’Apsa, della quale ha ricordato natura e missione per ribadire la legittimità della costituzione a parte civile. L’Amministrazione per il Patrimonio della Sede Apostolica è titolare di quei beni della Santa Sede che, secondo i capi d’accusa, sarebbero stati utilizzati in modo illecito, ha affermato Flick, citando l’esempio dell’Obolo di San Pietro. Il noto giurista ha parlato inoltre di una “attività speculativa che ha provocato ingenti danni alla Santa Sede” e denunciato “silenzio e reticenza sull’acquisto dell’immobile di Sloane Avenue”. Nel suo intervento anche “un doveroso richiamo” all’autorità del Papa, esplicitata nei quattro Rescripta. Infine la sottolineatura che da “sette mesi e un giorno” il Tribunale si è impegnato in discussioni preliminari: una dimostrazione della piena disponibilità in favore degli imputati “perché la regolarità del processo non fosse inficiata”.  

Presente in aula l’avvocato Anita Titomanlio, per l’Asif (ex Aif) costituitasi parte civile nell’udienza del 18 febbraio come "dovere naturale”. La giovane avvocatessa ha ricordato che l’Autority, contrariamente a quanto obiettato dalle difese, non è un’ulteriore articolazione dello Stato della Città del Vaticano, ma un’autorità pubblica. Proprio per questo, il coinvolgimento in un simile processo, che vede peraltro i due suoi ex vertici al banco degli imputati, ha gettato “forte discredito” con “pesanti ricadute reputazionali”. Lo dimostrano la sospensione dell’Asif dal circuito Egmont (poi riammessa nel 2019) e la valutazione nel rapporto finale della commissione Moneyval che rilevava “abuso di sistema per vantaggi personali e appropriazione indebita”. Infine l’avvocato Roberto Lipari, in difesa dello Ior, ha affermato che l’Istituto per le Opere di Religione “ha visto distrarre le provviste dedicate ai fatti al centro del processo”. È stata quindi “lesa l’immagine” dell’Istituto quale custode delle risorse finanziarie della Chiesa.

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28 febbraio 2022, 16:30