Maratona di Roma, la Coppa degli Ultimi: per uno sport dove vincono tutti
Giampaolo Mattei – Città del Vaticano
Romano Dessì, 69 anni, ha vinto la Coppa degli Ultimi, nella mattina di domenica 19 marzo in Piazza San Pietro, nell’ambito della Maratona di Roma: è stato l’ultimo atleta a transitare all’ombra del cupolone, poco dopo il sedicesimo dei quarantadue chilometri della gara. Dessì – come tutti i 30.000 partecipanti di 110 Paesi – ha anche ricevuto l’incoraggiamento di Papa Francesco – pochi minuti dopo, all’Angelus – che si è congratulato perché gli sportivi insieme, “su impulso di Athletica Vaticana”, hanno fatto “di questo importante evento sportivo un’occasione di solidarietà in favore dei più poveri”.
Rendere visibili gli invisibili
Dessì, con indosso la maglietta arancione di “Podistica solidarietà”, la sua squadra sempre in prima linea – come suggerisce il nome – nel vivere la corsa come esperienza sociale e di inclusione, è stato accolto, tra “braccia spalancate” del colonnato del Bernini, da Athletica Vaticana e dall’’Osservatore di Strada che hanno dato vita a questa iniziativa per rendere “visibili gli invisibili” soprattutto in un’esperienza di popolo come è la maratona. E a creare un clima di festa di famiglia ci ha pensato anche la musica della Banda della Gendarmeria vaticana che ha come scandito il passo dei podisti.
"Abbiamo vinto tutti!"
A consegnare a Dessì la Coppa degli Ultimi –benedetta personalmente dal Papa mercoledì scorso – è stato proprio l’autore: Erwin Alfredo Benfeldt Rosada, artista di origine guatemalteca ospite della Caritas diocesana nella casa di accoglienza a Ponte Casilino.
“Ho vinto, anzi abbiamo vinto tutti! Sono per uno sport dove il primo non prevalga sull'ultimo!” ha detto Dessì, fermandosi giusto il tempo di ricevere la Coppa (che gli sarà consegnata nei prossimi giorni) per poi proseguire per altri 26km fino al traguardo del Colosseo. Ha partecipato a tutte le 28 delle edizioni della Maratona romana conquistando il titolo di “senatore”. Ha iniziato a praticare atletica nel 1969 e, con il passo del marciatore, ha preso parte a oltre cento Maratone, a 5 edizioni della 100km del Passatore e a un numero forse incalcolabile di gare su ogni distanza. Nel 2018 ha anche raccontato la sua esperienza nel libro “Se le mie scarpe potessero parlare. Spiega: “Le scarpe vedono dal basso quello che noi non riusciamo a vedere con i nostri occhi, accecati dall’orgoglio”. "Nello sport – è lo stile di Dessì - ognuno è libero di esprimersi, senza dover rendere conto a nessuno dei risultati conseguiti”.
Inclusione
La Coppa degli Ultimi è stata la novità della Maratona di Roma 2023. Erwin Alfredo, con la sua opera, ha voluto esprimere “un messaggio di inclusione dei più fragili e di speranza”. Con una vita avventurosa tra la giungla e le aule universitarie “nel mio Paese – racconta - mi hanno anche sparato alla testa per il mio impegno sociale: credendomi morto, mi hanno gettato in una fossa comune dove mi ha trovato e salvato un prete arrivato lì per benedire i cadaveri”.
La strada, palestra e casa
E la Coppa degli Ultimi è stata una delle numerose e concrete iniziative solidali promosse, proprio per la Maratona di Roma, da Athletica Vaticana anche con la comunità di Sant’Egidio – in particolare con la realtà di accoglienza di Palazzo Migliori - e il Dispensario pediatrico vaticano Santa Marta. Inoltre, il mensile L’Osservatore di Strada ha dedicato il numero di marzo interamente allo sport, pubblicando in prima pagina una “lettera aperta” delle persone povere di Roma ai maratoneti. Per un’alleanza fraterna suggerita dalla condivisione delle strade: per gli atleti sono una “palestra”, per i poveri sono la casa.
Un'esperienza di pace
Proprio per rilanciare questa proposta di inclusione Athletica Vaticana ha schierato 29 atleti: in particolare tre staffette con i nomi delle encicliche di Papa Francesco: “Lumen fidei”, “Laudato sì” e “Fratelli tutti”. E per rilanciare l’esperienza sportiva anche come esperienza di pace ha accolto, come anche lo scorso anno, Viktorya Gudyma fuggita sotto le bombe da Kiyv – con il figlio Lev, 11 anni, che l’ha accompagnata a Roma – nei primi giorni di guerra. Oggi Viktorya e Lev vivono a Londra, con la speranza di poter tornare in Ucraina.
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