Il Palazzo della Cancelleria apre i suoi tesori
Maria Milvia Morciano - Città del Vaticano
Percorrendo corso Vittorio Emanuele, andando verso San Pietro, a pochi passi da Campo dei Fiori, in Campo Marzio, lo sguardo viene catturato da un palazzo dalle forme simmetriche e compatte. La severità dei volumi, che lo rendono simile a una fortezza, è però addolcita dal candore delle sue facciate, dalle iscrizioni e dalle decorazioni che ritmano i piani in modo discreto. È il Palazzo della Cancelleria. Nel tempo, ha mutato le sue funzioni: residenza del cardinale che lo fece costruire, Raffaele Riario, nipote di Sisto IV, poi sede della Cancelleria Apostolica, quindi, ai nostri giorni, Penitenzieria Apostolica, Segnatura Apostolica e Rota Romana. Il palazzo ingloba la basilica di San Lorenzo in Damaso, risalente a Papa Damaso I, nell’ultimo ventennio del IV secolo, una delle più antiche di Roma.
Tanta simmetria e rigore non traggano in inganno: questo palazzo racchiude un vero e proprio palinsesto di fasi, a partire dall’epoca romana e che sale nelle stratificazioni attraverso il tardo antico fino all’epoca rinascimentale, momento della sua progettazione alla fine del XV secolo, e ancora con i rifacimenti del Novecento.
La trasparenza nella quantità ma anche nella qualità
L’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha promosso una visita guidata, aperta ai giornalisti per mostrare le bellezze di uno dei palazzi più prestigiosi di Roma.
Monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa, ha introdotto questa giornata, richiamando le parole di Papa Francesco che invitano alla trasparenza: “Ma la trasparenza non consiste soltanto nella pubblicazione del bilancio, non si ferma alla ‘quantità’ ma mostra anche la qualità di ciò che viene custodito. Si tratta di un passo avanti”, dice Galantino.
Un passo avanti attuato attraverso una diffusa comunicazione, attraverso il Dicastero per la Comunicazione che, ha ricordato il direttore Andrea Tornielli nel suo saluto, nel 2020 ha già realizzato un video e la pubblicazione di un volume, edito dalla LEV, sui restauri che hanno impegnato gli architetti vaticani per quattro anni.
Ai media vaticani Il presidente dell’Apsa ci spiega il significato di questa giornata.
L’Apsa custodisce tante opere che restaura con impegno, quindi che senso ha questa giornata?
Penso che riunire qui tanti giornalisti interessati al patrimonio della Sede Apostolica abbia un senso particolare, cioè invitarli anche a capire che la grande quantità di immobili che possiede la Santa Sede è per il 60% a canone nullo e destinati perlopiù ad attività istituzionali. Tra questi, la stragrande maggioranza ha sicuramente un valore storico, anche emozionale, molto importante. Allora una giornata come oggi serve ad ampliare il concetto di amministrazione perché sono il presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e amministrare non vuol dire commercializzare. Amministrare vuol dire anche rendere disponibile, far conoscere, far fluire, arricchire anche altre di queste realtà. Ripeto, è un'esperienza molto bella questa, soprattutto perché ci aiuta a dare uno sguardo meno commerciale sulle realtà che appartengono alla Sede Apostolica.
Sono previsti dei progetti dell’Apsa in vista del Giubileo?
Certo. I progetti dell'Apsa sono i progetti della Santa Sede. In genere ci inseriamo in quelli che sono i progetti che già l'incaricato Monsignor Fisichella sta portando avanti con la sua équipe per il Giubileo. Sicuramente tanti di questi beni saranno quelli che vengono gestiti e amministrati dall’Apsa.
Alla scoperta di tesori noti e meno noti
Ad accompagnare i giornalisti durante la visita, anzi alla scoperta degli ambienti del Palazzo, sono stati l’architetto Maria Mari, l’ingegnere Mauro Tomassini e la professoressa Claudia Conforti.
E proprio Claudia Conforti, docente di Storia dell’architettura all’Università di Tor Vergata, ha svelato ai media vaticani la genesi del palazzo e la bellezza dei suoi tesori.
Questo palazzo così ricco, non solo dal punto di vista architettonico ma anche delle decorazioni e delle opere d'arte che cosa ci dice?
È un palazzo che ha una vicenda un po’ singolare perché nasce come residenza di un cardinale che è anche titolare della Chiesa, e questa è una tipologia che troviamo quasi esclusivamente a Roma oppure in altri Paesi, come il Portogallo, in cui l'abitazione si fonde con la Chiesa. E qui c’è la chiesa di San Lorenzo in Damaso, una delle più antiche parrocchie di Roma, che il cardinale Raffaele Riario rende sontuosissima unendola al palazzo che in planimetria misura 100 metri per 100. Siamo alla fine del 1484, quindi agli inizi del Rinascimento romano. Si tratta di un palazzo che ha una mole che gareggia con il Colosseo: è bianco, ha gli ordini ed è fatto con i materiali del Colosseo. In realtà è una macchina di propaganda: ha le scritte che corrono sulle facciate esterne e i simboli, come la rosa canina, simbolo del Riario a cui si aggiungerà il giglio dei Farnese quando la carica e il palazzo diventeranno Cancelleria e il vice cancelliere sarà il cardinale Alessandro Farnese.
È un palazzo che, nel cuore più pulsante di Roma, il Campo dei Fiori, con il suo già da allora, da poco, vivacissimo mercato di derrate alimentari, mentre dalla parte opposta, verso Castel Sant'Angelo, ci sono i banchi cioè le botteghe dei cambiavalute, banchieri dai nomi illustri come gli Altoviti, i Galli e tanti altri prevalentemente fiorentini. L'influenza della finanza fiorentina fino alla seconda metà del Cinquecento è molto forte. Anche il finanziatore e la banca di questo palazzo è Galli, uno dei primi committenti di Michelangelo. Dunque un palazzo che in qualche modo raccoglie alcuni secoli della storia più vivida dell'arte, della pittura e dell'architettura romana. Qui operano scultori come Andrea Bregno, qui operano pittori come Salviati, Peruzzi e naturalmente Vasari.
Attraverso le sale del Palazzo, si scende nei sotterranei dove c'è l’Euripus, canale artificiale che serviva alle terme di Agrippa e la tomba di Aulo Irzio, uno dei comandanti dell'esercito romano in Gallia di Giulio Cesare. Si attraversa lo spazio-tempo e si arriva fino ai rifacimenti degli anni 40 del Novecento, in seguito a un gravissimo incendio che rischiò di distruggere questo capolavoro dell'ingegno composito dell'arte italiana.
La rievocazione di un glorioso passato
L'ingegnere Mauro Tomassini approfondisce invece alcuni aspetti particolari del Palazzo e le scoperte avvenute durante il restauro della facciata.
Ci fa un quadro generale del Palazzo, in particolare degli interventi effettuati dagli architetti e dagli ingegneri del Vaticano?
È un Palazzo che si cerca ancora oggi di studiare perché non è conosciuto a fondo. Un Palazzo che viene pensato dal cardinale Riario ancora giovane, poco più che diciottenne, e appassionato della storia di Roma imperiale, per voler restituire i fasti ad un'area che era poi decaduta, che era diventata paludosa. La stessa basilica damasiana, di epoca paleocristiana, si è sviluppata in modo incoerente nei secoli, a contatto anche col mercato, con via del Pellegrino e quindi non era più compatibile con un disegno che aveva in mente questo giovane cardinale, il disegno, cioè, di realizzare una residenza, una nuova chiesa, dei nuovi uffici e quindi si può dire anche di un castello. Per questo nell'idea di Riario c'era il ricorso anche ad un progettista che lui aveva conosciuto ad Ostia, Baccio Pontelli, che realizza in effetti un’apparente fortezza, con quattro torri angolari. All’interno invece, nel cortile, troviamo soprattutto i timbri di una architettura bramantesca, quindi è sicuramente un Palazzo che ha tantissime cose da proporre a chi lo visita e purtroppo probabilmente gli stessi romani non lo frequentano e non lo conoscono come dovrebbero.
E quindi gli specialisti del Vaticano...
Quando è stato intrapreso il percorso di restauro dei prospetti esterni, non scordiamoci che ci siamo limitati a questo intervento, sono emerse delle tecniche costruttive illuminanti e quindi quella che oggi viene riproposta come una scialbatura dei tre lati, oltre il prospetto principale che è in opera isodoma in travertino ovvero a blocchi lapidei di uguale altezza, è una cortina in mattoni che il cardinale Riario aveva probabilmente pensato essere anch'essa, in un primo tempo, un rivestimento in travertino ma poi sostituito dai mattoni che sicuramente erano più a portata di mano, soprattutto nella fase di chiusura del cantiere. Quindi alla cortina laterizia viene data una scialbatura, una intonacatura, che le testimonianze del laboratorio di restauro hanno portato alla luce con abilità sapiente. Oggi la scialbatura bianca viene riproposta perché in sintonia con gli altri elementi architettonici che sono di spoglio, tratte cioè da quelle che erano le cave di allora, dai Fori romani fino alle terme di Diocleziano.
Peraltro lei ha detto che qui c'è una particolarità: il materiale di spoglio è stato rielaborato qui, sul posto, cosa che non succede nelle altre architetture dove il materiale viene reimpiegato così com’è...
Un esempio di questo tipo è rarissimo. Dove noi rivediamo delle colonne, ricavate da colonne in granito di epoca romana, che sono state rilavorate, profilate nel mantello, interventi che si possono ancora cogliere con la luce radente. Le vecchie scanalature sono state rimodellate facendo ricorso a nuovi utensili che vennero richiesti dalle maestranze fiorentine, che erano le più avanzate all'epoca, e quindi, nonostante questo intervento successivo si apprezza ancora l'originaria sezione poligonale della colonna.
Il cardinale aveva come obiettivo quello di riproporre forme dell'antica Roma utilizzando gli stessi materiali. È una rievocazione anche spirituale di quella che era un'idea di Roma imperiale ripresa nel XV secolo per realizzare una nuova residenza papale.
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