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Un momento del processo in corso in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato (immagine d'archivio) Un momento del processo in corso in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato (immagine d'archivio)  (VATICAN MEDIA Divisione Foto)

Processo vaticano, parlano i legali di Cecilia Marogna

Nel procedimento penale sull’utilizzo di fondi della Segreteria di Stato per investimenti e dazioni, in corso nell’aula polifunzionale dei Musei Vaticani, proseguono le arringhe delle difese dei dieci imputati. La manager sarda, per la quale gli avvocati chiedono l’assoluzione, è accusata di aver utilizzato per spese personali parte dei 575 mila euro ricevuti, su disposizione del cardinale Becciu, per facilitare la liberazione di una suora rapita dagli jihadisti in Mali

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Al processo sull’utilizzo dei fondi della Segreteria di Stato, in corso in Vaticano, proseguono le udienze dedicate agli interventi finali degli avvocati difensori dei dieci imputati. Nella settantaduesima udienza hanno preso la parola i due legali di Cecilia Marogna, la manager cagliaritana accusata di peculato, per aver utilizzato per spese personali parte dei 575 mila euro ricevuti, tra dicembre 2018 e luglio 2019, dalla Segreteria di Stato. Fondi che le sarebbero stati accreditati, sul conto della società Logsic Humanitarne Dejavosti della Marogna, con sede in Slovenia, per la liberazione, secondo lei e l’allora sostituto cardinale Angelo Becciu, che è tra gli imputati, di una suora francescana colombiana sequestrata in Mali dagli jihadisti nel 2017. Suor Gloria Cecilia Navaes Goti sarebbe poi stata effettivamente liberata nell’ottobre del 2021.

Chiesta assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”

In poco meno di 35 minuti, gli avvocati Giuseppe Di Sera e poi Fiorino Ruggio, hanno contestato l’imputazione a carico della loro assistita, chiedendone alla fine l’assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”. Ruggio, al quale sono state affidate le conclusioni, ha negato che nelle azioni della Marogna vi sia stato peculato, prima di tutto perché il promotore di giustizia Alessandro Diddi non avrebbe “portato nessuna prova” delle presunte spese in negozi di moda e alberghi di lusso per 69 mila euro. “Nessun estratto conto bancario, ma solo un foglio excel pubblicato dalle Jene, in una gogna mediatica che disapproviamo”. Ha quindi parlato di un “raggiro documentale” per portare la sua cliente a processo, perché non vi sarebbe prova nemmeno “dei passaggi di denaro tra la Logsic e un’altra società”.

La difesa: “non c’è peculato”

Non ci sarebbe peculato, per i legali di Marogna, definita “sedicente analista geopolitica” dal promotore Diddi e presentatasi come esperta di intelligence dal cardinal Becciu, anche perché per il codice penale vaticano si tratta di un reato attribuibile solo ad un pubblico ufficiale. Ma “la manager non era né in Vaticano, né in Italia” ha sottolineato Ruggio. Marogna avrebbe chiesto di essere sciolta dal segreto di Stato sulla sua opera di intermediazione per la liberazione della religiosa, prima alla Nato e poi al Vaticano, senza ricevere risposta. Il governo italiano, alla sua richiesta, avrebbe fatto un comunicato sul proprio sito per negare legami tra Marogna e i Servizi Segreti italiani, per poi toglierlo poco dopo.

I rapporti tra Marogna e il cardinale Becciu

Se poi, ha aggiunto il legale, “il promotore Diddi scrive esplicitamente che la Marogna era la ‘mantenuta’ del cardinale, dov’è il peculato?”. Se qualcuno, ha dichiarato, “ha sottratto soldi fuori bilancio alla Segretaria di Stato, per mantenere Marogna, per questo non la si può accusare di peculato”. I soldi sono arrivati sul conto corrente di Logsic, regolarmente. “E poi nessuno ha fatto qualche azione per recuperare quei fondi – ha aggiunto – né Becciu, né la Segreteria di Stato. Se davvero quel denaro è stato usato per finalità diverse dallo scopo per il quale è stato concesso, si faccia un’azione di recupero, ma non c’è nemmeno stato nessun sequestro dei beni acquistati dalla Marogna”. Infine la manager è stata arrestata in Italia “senza nessuna autorizzazione internazionale. È stata in carcere 17 giorni, quando aveva una figlia di soli 8 anni a casa. E ancora oggi il Gip di Milano non le ha restituito il telefonino sequestrato”.

Ribadite le eccezioni preliminari

Nel primo intervento, l’avvocato Giuseppe Di Sera aveva ripetuto le eccezioni preliminari, contestando che ci sia un “giusto processo”, e ribadendo che le indagini sono partite solo formalmente dalle informative di Ior e Aif, ma in realtà dalle dichiarazioni di Francesca Chaouqui. Il presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone lo aveva fermato, ricordandogli che poteva impugnare l’ordinanza con la quale le eccezioni erano state rigettate, ma non ripeterle. Di Sera ha contestato anche che la segnalazione della Polizia slovena alla Nunziatura Apostolica parlava di fondi della Segreteria di Stato in Svizzera, arrivati sul conto di Logsic, mentre la Nunziatura li aveva attribuiti allo Ior, “bypassando così la Segreteria di Stato che doveva invece essere oggetto di indagine”. Quindi l’avvio delle indagini, per i legali di Marogna, sarebbe illegittimo.

Contestazione sul mancato ascolto di testimoni

Di Sera infine ha lamentato che non siano stati ascoltati testimoni richiesti dalla difesa, come il generale Carta, dei Servizi Segreti italiani, o lo stesso cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato. E pure che le difese non abbiano potuto consultare le 126 chat tra il promotore Diddi e Genoveffa Ciferri, amica di monsignor Alberto Perlasca, testimone chiave della vicenda. “Eppure queste informazioni riservate – ha detto - vengono utilizzate dal promotore di giustizia nel processo e anche in base a queste si chiede la condanna della Marogna e della sua società”. Si tratterebbe quindi, a suo avviso, di “violazione dei principi del giusto processo, e di violazione del diritto di difesa”.

Il promotore Diddi ha chiesto 4 anni e 9 mesi di reclusione

Nelle sue richieste, il promotore Diddi ha chiesto la condanna di Cecilia Marogna per peculato, con la pena di 4 anni e 8 mesi di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e una multa pari a 10.329 euro. Per la società Logsic, una sanzione pecuniaria di 150 mila euro, tre anni di divieto di contrattare con la pubblica amministrazione e una confisca di 174.210 euro. La prossima udienza, la mattina del 19 ottobre, sarà dedicata agli interventi dei difensori di Fabrizio Tirabassi, ex funzionario dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato.

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06 ottobre 2023, 14:02