Sinodo, la Chiesa sia più decentralizzata ed investa negli ambienti digitali
Roberto Paglialonga ed Edoardo Giribaldi - Città del Vaticano
La “decentralizzazione” è “salutare” se ispirata a criteri saldi: così una “Chiesa di Chiese” trova la propria armonia se fondata su alcuni principi capaci di restituirne un funzionamento efficace. Tra questi lo “scambio di doni”, una funzionale “articolazione tra locale e universale”, la “sussidiarietà”, la valorizzazione nell’unità delle "Chiese 'sui iuris'“. Il briefing odierno sui lavori sinodali del pomeriggio di ieri e della mattinata di oggi, 18 ottobre, tenuto nella Sala stampa della Santa Sede e moderato dal vicedirettore Cristiane Murray, è stato aperto da Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione e presidente della Commissione per l’informazione del Sinodo, e proseguito con la relazione di Sheila Pires, segretario della Commissione stessa.
Ridefinire il concetto di territorio
Le discussioni, in particolare nella giornata di ieri, alla presenza di 332 membri, hanno riguardato la parte terza dell’Instrumentum laboris, dedicata ai “Luoghi”. In tale contesto, ha detto Ruffini, diversi interventi hanno evidenziato “l’importanza delle Chiese particolari, che non nuocciono, ma servono l’unità”, dando risalto al fatto che “la particolarità di ognuna” non è minaccia, quanto piuttosto “dono speciale”. Ne sono esempio le “Chiese cattoliche orientali”, la cui tradizione va tutelata, poiché “tesoro di tutta la Chiesa cattolica universale”, della quale esso è dunque “parte integrante e indispensabile”. Pertanto, ha proseguito il presidente della Commissione, in molti hanno fatto presente che vi è la necessità di “garantire” non solo “l’effettiva sopravvivenza”, ma la “rifioritura delle Chiese orientali cattoliche sia nei territori di origine che nella diaspora”. Alcuni sono intervenuti infatti sostenendo che “c’è stata nella nostra storia una unità intesa non come si deve” e che a volte la Chiesa latina si è comportata in modo “ingiusto verso le Chiese 'sui iuris' orientali, pensando alla loro teologia come secondaria”. Oggi, invece, è stato ribadito nel corso del dibattito, una delle sfide è “ridefinire il concetto di territorio”, che “non è solo luogo” fisico: infatti, “a causa della diaspora ci sono orientali che vivono in territori dove c’è una prevalenza del rito latino”.
Decentramento tra Roma e periferie
Quanto al tema — molto sentito — della celebrazione della Pasqua nello stesso giorno, da parte delle “Chiese sorelle”, è stato messo in rilievo come si sia trovato l’accordo perché ciò avvenga il prossimo anno; ma dall’assemblea è stata sollevata la richiesta, che ha riscontrato grande apprezzamento, di “un messaggio da parte di tutto il Sinodo per chiedere una data comune sempre” ha concluso Ruffini. Il decentramento tra Roma e le periferie è stato oggetto di numerose riflessioni nei lavori sinodali di questi giorni, destando anche la curiosità dei giornalisti nei vari briefing. Pires ha spiegato che sono stati analizzati i criteri per “definire una sana decentralizzazione”, tra questi “la vicinanza e la sacramentalità, ovvero i sacramenti”. Attenzione hanno trovato anche le “piccole comunità di base come luogo privilegiato di una Chiesa sinodale”. Per esse — è stato detto — l’ambiente digitale riveste una grande importanza, perché può aiutare a tenerle unite anche sul territorio, “non solo virtualmente”. A sua volta, l’ambiente digitale può essere proficuamente contaminato dalla preghiera, indispensabile “per discernere tra ciò che è bene e ciò che è male”. Essa, ha aggiunto il segretario della Commissione, ripercorrendo alcune riflessioni dell’assemblea, “è fondamentale per tutti noi, perché possiamo diventare tutti discepoli digitali”.
Condividere il cammino con i laici
Diversi interventi, ha affermato Pires, hanno esortato a “non aver paura della sinodalità, perché essa non indebolisce i diversi i carismi e i diversi ministeri e nemmeno la specificità dei luoghi”, a proposito dei quali è stato chiesto di sviluppare maggiormente il tema della parrocchia. Risulta infatti che “le incombenze amministrative soffocano lo slancio e l’entusiasmo missionario, ed è necessario perciò pensare in modo creativo”. In particolare, occorre “ascoltare le grida di chi soffre, perché la sinodalità della Chiesa locale” si manifesta anche “in realtà segnate dalla sofferenza”. Per combattere la buona battaglia della fede nelle società secolarizzate, come diceva san Paolo, è importante “condividere il cammino con i laici”, è stato poi ricordato: “una decentralizzazione salutare della Chiesa può aumentare la dimensione della corresponsabilità del popolo di Dio”, purché sempre nella unità, “nella fedeltà al magistero, nella comunione ecclesiale con il successore di Pietro, nel rispetto delle Chiese locali, nella sussidiarietà e sinodalità”. Il Vangelo va “incarnato in ogni cultura e in ogni luogo, abitandolo, rafforzando la dimensione comunitaria dei movimenti e delle nuove realtà ecclesiali”. Un intervento molto applaudito, ha fatto inoltre presente Pires, ha sottolineato la chiamata della Chiesa “all’unità nella diversità”: essa è un “organismo vivente che ha come cuore Cristo e vive come corpo attraverso l’esistenza delle persone”.
Accogliere donne e giovani
Sull’argomento del diaconato femminile, alcuni interventi hanno evidenziato che la “Chiesa non deve essere una “cosa per maschi” e che, se anche le donne chiedono di essere presenti nei processi decisionali, questo non basta”. Sui giovani, invece: se “essi dicono di essere spirituali ma non religiosi” questo deve spingere ad “essere pastori anche negli ambienti digitali”, che le ragazze e i ragazzi frequentano e abitano. In conclusione, Ruffini ha comunicato che oggi pomeriggio, oltre all’incontro fra i gruppi di lavoro, si terranno una riunione della commissione canonistica e una del Secam, incaricata di un discernimento teologico-pastorale sulla poligamia. La prossima settimana, ha ricordato, sarà decisiva per confrontarsi sulla bozza di documento finale: pertanto, come “affermato stamattina dal cardinale Mario Grech”, essa dovrà essere vissuta in un clima di ritiro e grande preghiera. “Proprio per questo”, ha detto ancora il prefetto del Dicastero, la giornata di lunedì inizierà alle 8.30 con la Messa votiva allo Spirito Santo, celebrata all’altare della Cattedra della basilica Vaticana.
Le sfide nel Mediterraneo
Dal Mediterraneo all’Africa, passando per l’America latina. Aree geograficamente lontane tra loro eppure accomunate da problematiche simili, così come da un’unità di intenti volta a risolverle emersa durante i lavori del Sinodo. È stato questo il filo conduttore che ha invece legato gli interventi e le successive domande poste agli ospiti del briefing. Il primo a prendere la parola è stato il cardinale francese Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, che ha ricordato il suo ruolo di coordinamento del lavoro ecclesiale nella regione mediterranea su mandato di Papa Francesco.
Il porporato ha tracciato una linea temporale del suo impegno, preso nel 2020 con una quarantina di vescovi e proseguito attraverso altri incontri fino al settembre del 2023, quando Francesco “ha espresso il desiderio di portare avanti questo lavoro, coordinarlo e sostenerlo”. Una direzione basata soprattutto sull’ascolto delle difficoltà delle diverse comunità ecclesiali. Il “Mare nostrum”, ha affermato Aveline, “non è tema di studio, ma una regione dove si vivono scenari drammatici: guerre, libertà non rispettate, corruzione” senza dimenticare i fenomeni migratori, per i quali sono state create apposite reti di sostegno. Tuttavia, ha proseguito l’arcivescovo di Marsiglia, le problematiche prese in considerazione riguardano anche questioni teologiche e relative ai santuari mariani, i quali “appaiono come delle oasi” dove affluiscono persone da svariate zone del continente europeo. Gli incontri coinvolgono anche figure istituzionali, giovani studenti e persone professanti religioni diverse da quella cristiana. “Bisogna capire come la Chiesa può contribuire agli sforzi per la giustizia e per la pace in questa regione” ha evidenziato Aveline, ricordando la sua proposta per un possibile Sinodo dedicato proprio al Mediterraneo.
Sofferenze e speranze dell'America Latina
È stato poi il turno del cardinale colombiano Luis José Rueda Aparicio, arcivescovo di Bogotá, che ha esposto l’esperienza di fede interna al suo Paese e a tutta l'America latina, “continente giovane” con “sofferenze e speranze”. La Chiesa locale si pone alla ricerca di una “spiritualità sempre più vicina ai poveri”. Una piaga esacerbata non soltanto dal fenomeno delle migrazioni verso la parte settentrionale del continente americano, ma anche delle questioni relative al narcotraffico. La Chiesa, in tale difficile contesto, “è riuscita ad unirsi e a trovare metodi per avvicinarsi alla realtà, cercando di vederla con gli occhi della fede e della speranza”. Il risultato, nella visione dell’arcivescovo di Bogotá, è una concreta “presenza del Regno” che punta ad espandersi, per arrivare a una “evangelizzazione integrale” conforme a tutto il continente.
Le piaghe del Sud Sudan
Successivamente il cardinale sudsudanese Stephen Ameyu Martin Mulla, arcivescovo di Juba, ha toccato le difficoltà riscontrate dal suo Paese e dal “vicino” Sudan. Un popolo “povero”, che ha combattuto guerre alla ricerca di una libertà e che oggi si ritrova, tuttavia, ancora lontano dalla pace e preda di numerose “questioni irrisolte”. La guerra in Sudan si affianca alle difficoltà del Paese d’origine del cardinale Mulla che, nonostante un processo di indipendenza che si pensava potesse “risolvere tutti i problemi”, si ritrova ad averne in quantità ancora maggiore. Gli accordi di pace siglati in Sud Sudan non sono ancora stati interamente implementati; questione che una delegazione di alto livello aveva posto a Papa Francesco nello storico incontro del 2018. La situazione, in questi anni, non è tuttavia cambiata, neanche a seguito del viaggio del Pontefice nel Paese africano. “Per tale ragione”, ha affermato l’arcivescovo di Juba, “pensiamo che il Sinodo ci possa aiutare ad avere un dialogo per risolvere le problematiche di tipo sociale e politico che viviamo”. Un'altra delle piaghe che affliggono la nazione, ha ricordato Mulla, riguarda il riscaldamento globale. A tal proposito, è stata citata la città di Bentiu, oggi completamente allagata dalle inondazioni che hanno colpito il Sud Sudan. Nella sofferenza, tuttavia, la Chiesa locale cresce, con una nuova diocesi la cui creazione risale ad appena lo scorso luglio. In un contesto mondiale sempre più interconnesso, secondo l’arcivescovo di Juba, “nessuno è al sicuro”, e l’avere a cuore” certe situazioni risulta una questione, e una necessità di carattere internazionale.
L'entusiasmo del Sinodo
Per ultimo ha preso la parola il vescovo agostiniano Luis Marín De San Martín, sotto-segretario della Segreteria generale del Sinodo e membro della Commissione per l’informazione che, notando le sfide alle quali il mondo è chiamato a fare fronte, alla luce degli interventi precedenti al suo, ha spiegato come il Sinodo “risponda” a questi interrogativi, alimentando una Chiesa aperta, con un linguaggio comprensibile, capace di trattare temi rilevanti e di interesse. “Portare la risposta di Cristo ai drammi odierni” è il concetto alla base del messaggio del presule, che individua quattro pilastri fondamentali su cui la Chiesa deve poggiare: il suo essere Cristo-centrica, fraterna, inclusiva (“e si sbagliano, ha aggiunto il vescovo, coloro che vedono”, all’interno dell’Assemblea sinodale “delle lotte di potere. Questo non esiste”) e infine dinamica. “Magari, potessimo condividere il nostro entusiasmo in un mondo pieno di drammi”. I dialoghi all’interno del Sinodo, dal canto loro, si sono invece snodati attraverso alcune dicotomie: sinodalità ed ascolto dei segni dei tempi, unità e varietà, centro e periferie. L’invito finale del sottosegretario è stato di non lasciarsi sconfortare dal “pessimismo che a volte ci attanaglia”.
Esigere risposte immediate
Nel corso del briefing è stato poi riservato l’abituale spazio alle domande dei giornalisti. Riguardo la concretizzazione del concetto di “unità nella diversità”, il cardinale Rueda Aparicio ha notato come esso sia già riscontrabile in uno “stile del Sinodo” diverso e innovativo, dove le madri sinodali rappresentano l’indice più visibile di “novità e sviluppo”. Riguardo al fornire risposte a chi, dal Sinodo pretende risposte immediate, monsignor Marín De San Martín ha tracciato un parallelo con la stessa fede cristiana: “è un’esperienza di Cristo. Se non la viviamo, non potremo mai” viverla a fondo. Tuttavia, e qui nella visione del presule agostiniano risiede il “clic”, il “cambiamento”, è necessario che l'intero processo sinodale non rimanga astratto ma, al contrario, si “cali nella realtà”. In tal senso, rimangono importanti e centrali le parrocchie: “le prime comunità”.
Documento finale e poligamia
I presenti sono stati interrogati anche sulle discussioni relative al ruolo e all’autorità dei vescovi. “Se ne è parlato molto” ha ammesso il cardinale colombiano notando il pensiero di san Giovanni XXIII per il quale il deposito della fede rimane “sempre lo stesso”. Tuttavia, ha chiarito l’arcivescovo di Bogotá, “esso deve essere adeguato ad ogni situazione”. Il porporato ha poi toccato nuovamente il tema delle difficoltà riscontrate nel suo Paese, tra le quali una “polarizzazione tossica”, capace di fare diventare comunità tra loro affini, “nemiche” le une delle altre.
Il cardinale Aveline ha poi dato qualche spunto relativo alla stesura del Documento finale del Sinodo. La sua “commissione di sintesi” ha, ad esempio, “l’obiettivo di verificare che ciò che viene proposto come testo da votare non si allontani troppo dalle opinioni espresse in queste settimane di lavoro”. Infine, in relazione alla questione della poligamia, un giornalista ha fatto riferimento alla visita odierna del re di eSwatini “con una delle sue mogli” a Papa Francesco: il cardinale Mulla ha ricordato, come al pari di altre fonti di discussione essa riguardi principalmente l’Africa, ma vada affrontata in maniera “olistica”.
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