Abusi, O’Malley: solo verità e trasparenza possono curare questa ferita
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Il lavoro non è stato facile, ma ha dato i suoi frutti. Uno è il Rapporto Annuale presentato oggi. Il cardinale Sean O’Malley, il cappuccino arcivescovo emerito di quella Boston dove lo scandalo di abusi è deflagrato in enormi proporzioni, guarda con soddisfazione al documento redatto dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori di cui è presidente sin dalla istituzione nel 2014. A colloquio con i media vaticani, il cardinale traccia un bilancio degli ultimi dieci anni e sottolinea che molto è stato fatto nella lotta agli abusi, ma molto è ancora da fare perché – afferma - il problema “è attuale” e perché in alcune Chiese locali la questione rimane “un tabù”. Invece, “soltanto la verità, la trasparenza, l’accountability possono curare questa ferita”.
Eminenza, il Rapporto Annuale viene pubblicato a dieci anni esatti dalla istituzione della Commissione per la Tutela dei minori. Intanto quale bilancio fa del lavoro svolto finora? E, poi, questo Rapporto possiamo considerarlo un giro di boa per la Commissione?
La Commissione ha cominciato dieci anni fa il suo lavoro dopo la richiesta del Santo Padre Francesco che desiderava avere l’aiuto soprattutto di laici esperti per aiutare la Chiesa cattolica in una situazione così drammatica. Tutti sappiamo la sofferenza, il danno che gli abusi hanno fatto non soltanto alle vittime, ma anche alle loro famiglie, alla comunità, al sacerdozio e alla Chiesa in generale. Per noi è stato un privilegio. Siamo riusciti a riunire molti esperti, persone che hanno dedicato la vita intera a questi problemi, ad aiutare le vittime e creare un ambiente più sicuro per bambini e vulnerabili. I primi anni sono stati un cammino molto difficile, eravamo con una ventina di volontari a rispondere ad un problema nella Chiesa universale. Ma grazie a Dio, siamo cresciuti in questa missione sempre con un forte appoggio del Santo Padre. In questi anni abbiamo ascoltato molto la voce delle vittime e dei sopravvissuti. E adesso, dopo un cammino non facile, con l’aiuto di Dio e di molta gente, di molte vittime anche, degli esperti laici soprattutto, siamo arrivati al momento in cui siamo capaci di condividere con il mondo il frutto delle nostre indagini, delle nostre conversazioni, del nostro lavoro.
Alcune vittime sono anche membri della Commissione. Quale reazione si aspetta da loro su questo rapporto?
Speriamo che le vittime capiscano che questo rapporto indica che ci sono conversazioni nel mondo intero sulla safeguarding, che in Papua Nuova Guinea, in Africa, in Asia, dappertutto, la Chiesa sta facendo uno sforzo di rispondere alla sofferenza delle vittime e di promuovere un ambiente sicuro per i minori.
A settembre abbiamo assistito al viaggio del Papa in Belgio, dove Francesco ha pronunciato parole fortissime contro gli abusi. Possiamo dire che ha alzato l’asticella della sua condanna, che non è mai mancata. Proprio in Belgio la questione abusi ha predominato la narrativa generale. C’è una recriminazione forte nei confronti della Chiesa. Il lavoro della Commissione e questo Rapporto, secondo lei, possono rappresentare una risposta a polemiche, critiche e anche istanze di queste persone che chiedono di fare di più?
Sappiamo che c’è molto lavoro da fare ma il Rapporto Annuale sta qui ad indicare che abbiamo cominciato un cammino di risposta all’abuso nella nostra Chiesa e che c’è molto interesse. Anche da parte dei vescovi soprattutto di nazioni dove si è appena cominciato a parlare di abusi sessuali. Dobbiamo rispondere… E speriamo che le vittime capiscano che nella Chiesa intera c’è una inquietudine per correggere gli errori, i crimini del passato.
Nel rapporto si parla di progressi e di fallimenti in materia di tutela. Quali sono i progressi e quali i fallimenti?
I progressi credo che sono i protocolli che già esistono, una mappa per percorrere un cammino sicuro nella Chiesa. In molte parti della Chiesa, però, è ancora un tabù parlare dell’abuso e soltanto la verità, la trasparenza, l’accountability possono curare questa ferita. Grazie a Dio, dopo il Summit in Vaticano per la Tutela dei minori, il raduno (del 2019, ndr) dei presidenti delle Conferenze Episcopali mondiali convocati dal Papa, in tutte i continenti c’è un interesse a correggere gli errori del passato e a creare un ambiente sicuro. L’educazione nella safeguarding è importante anche. Le persone infatti pensano che è qualcosa del passato, invece è un problema attuale e sempre dobbiamo essere vigilanti per proteggere i più piccoli. Il ministero della Chiesa dipende dai nostri sforzi. Sempre lo dico ai miei preti: la gente ci crederà soltanto quando sarà convinta che li amiamo. Questo ministero del safeguarding è cruciale per la Chiesa, sempre deve essere centrico come piano pastorale.
Quindi un vero e proprio ministero…
Sì, è un ministero risanare e riconciliare. Perché il danno che è stato fatto soprattutto nella Chiesa non è solo fisico e psicologico ma anche spirituale. Quando si tratta di un prete che è abusatore il danno è maggiore.
Alla luce del Sinodo a cui lei ha partecipato, quali sono le piste, il cammino che proseguirà per la Commissione ora dopo il Rapporto e con questa spinta alla sinodalità, quindi una maggiore collaborazione tra laici e vescovi?
Ho avuto l’opportunità di parlare al Sinodo sulla necessità di avere una risposta sinodale al safeguarding nella Chiesa. Molte volte i vescovi si sentono molto isolati quando devono prendere decisioni su un caso di abuso. Non devono farlo da soli! Devono avere un gruppo di esperti che possono consigliare il vescovo a prendere le decisioni e ascoltare le loro raccomandazioni. Nei Paesi dove già esistono queste review boards si è visto che è stato molto utile lavorare insieme ai vescovi per stabilire decisioni adeguate in queste materie difficili.
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