Juan Carlos Cruz: il report sugli abusi un progresso, tante vittime gridano giustizia
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Dieci anni fa Juan Carlos Cruz accusava la Chiesa di essere il “male assoluto”, complice degli abusi subiti ripetutamente da ragazzo da parte di un sacerdote, il cileno Fernando Karadima dimesso dallo stato clericale dal Papa per i suoi crimini a danno di minori e seminaristi. Oggi Juan Carlos, carismatico architetto e giornalista, originario del Cile ma residente prima negli Usa e poi in Spagna, lavora a servizio della Chiesa come membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori, dove porta la voce delle vittime e dei sopravvissuti.
La gratitudine al Papa
Mentre parla con i media vaticani, Cruz stringe tra le mani il primo Rapporto Annuale dell’organismo pubblicato il 29 ottobre. Un documento frutto anche del suo contributo: “È qualcosa che abbiamo desiderato a lungo”, dice. Poggia la mano sulla copertina con sopra l’immagine stilizzata di un “baobab”, albero africano simbolo di resilienza. La stessa che ha animato la sua battaglia per la giustizia e che lo ha portato a non cadere in depressione e dipendenze o, addirittura, arrivare fino al suicidio “come invece successo a tante persone che conosco”. La resilienza che ha spinto Juan Carlos a viaggiare nel 2018 dal Cile fino a Roma per “affrontare”, insieme ad altre due vittime di Karadima, James Hamilton e José Andrés Murillo, quel Papa che accusava di non aver fatto nulla per i sopravvissuti. Quell’incontro a Santa Marta – Juan Carlos non si stanca mai di raccontarlo – invece gli ha cambiato la vita, lo ha riavvicinato alla Chiesa e gli ha fatto scoprire un padre, come definisce oggi Francesco con il quale mantiene un contatto costante. “Conosco Papa Francesco, gli voglio molto bene, lo riconosco come un uomo veramente esemplare che non dice parole vuote, belle da sentire, ma si impegna assolutamente per il dolore degli esseri umani. In questo caso, le vittime di abusi sessuali nella Chiesa”, afferma Cruz.
Ascoltare e credere alle vittime
È stato proprio il Papa a chiedere, nell’udienza in Vaticano ai membri della Commissione dopo la plenaria del 2022, di redigere questo report che vede la luce dopo “una maratona di lavoro”. “Credo che il prodotto finale sia qualcosa di cui c’era bisogno ma che deve essere migliorato molto. Abbiamo bisogno di incorporare ancora più voci delle vittime in tutto il mondo, ma è molto difficile organizzare un lavoro rigoroso e scientifico quando non ci sono dati sui casi ovunque”, osserva Juan Carlos. Certamente, aggiunge, l’esistenza stessa del Rapporto è “un progresso”. Lui si dice “estremamente felice”: “Credo che vedrete cose che le vittime hanno sempre chiesto e di cui a volte non hanno mai sentito parlare. Questo tipo di giustizia, in cui la vittima viene ascoltata, risarcita, è per me un grande passo avanti di cui non si parlava. Le vittime erano viste come gente che voleva soldi, che avanzava richieste… è terribile guardare una persona in questo modo. Dobbiamo essere attenti, ascoltare, credere alle vittime, accompagnarle e seguire il processo di riparazione - qualunque esso sia - da parte della Chiesa, così da prendere un impegno affinché questo non accada mai più. Francesco è stato il primo a volerlo fare, gli sono grato per questo”.
"Ancora molto da fare..."
Se da un lato il Rapporto attesta una “meravigliosa apertura nel parlare onestamente dello stato degli abusi nel mondo”, dall’altro, parla anche di “fallimenti” in materia di tutela. “Lo riconosco, c’è molto da fare”, afferma Cruz. “Mi preoccupano, ad esempio, molti vescovi nel mondo che, nonostante tutto quello che è successo, ignorano questi casi. E ci sono vittime innocenti, invisibili al mondo, che non osano parlare perché è doloroso. Nessuno presenta loro un progetto o un luogo dove poter andare a parlare ed essere accompagnati. C’è paura”. Ci sono vittime “che hanno i mezzi, che possono raggiungere i media o gli avvocati”, dice ancora Juan Carlos, “ma molte altre in molti Paesi non hanno questi lussi, neppure un avvocato. Vivono soffrendo, arrivando anche a suicidarsi che è il dolore più grande quando non si ha più speranza. Ho amici che hanno perso ogni speranza e si sono suicidati. Non può essere che ci siano vittime che ancora implorano giustizia. Non può essere”.
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