Sinodo dello sport, dalla strada e dalle bombe alla rinascita olimpica
Edoardo Giribaldi - Città del Vaticano
Storie di atleti scappati dalle bombe o che si sono rialzati da un letto d'ospedale, sul quale sono stati costretti per quattro anni. Storie di telefonate a fine giornata alla ricerca di un posto dove dormire. Storie di riscatto, fraternità e in ultimo, di medaglie e successi olimpici. La parola "sinodo", nella visione di Papa Francesco, significa "camminare insieme". Attraverso lo sport, l'invito viene portato ad un livello superiore, correndo, marciando, pedalando insieme. Sotto questo auspicio si è svolto, nel pomeriggio di venerdì, 25 ottobre, il "Sinodo dello sport", un dialogo sostenuto dal dicastero per la Cultura e l'educazione e dal dicastero per la Comunicazione, con atlete ed atleti rifugiati, paralimpici ed olimpici, presso palazzo San Calisto, la sede di Athletica Vaticana. A moderare le storie narrate in prima persona dagli atleti, il presidente della polisportiva ufficiale della Santa Sede, Giampaolo Mattei, ed Eva Crosetta, conduttrice del programma "Sulla via di Damasco" in onda su Rai 3.
Lo sport come rinascita
La prima storia è quella di Rigivan Ganeshamoorthy, oro nel lancio del disco con tre record a mondiali a Parigi, capace di conquistare l'Italia con il suo talento e la sua autoironia nelle interviste post-gara. "Ho conosciuto lo sport da quando sono diventato disabile", racconta Ganeshamoorthy, "Lo vedo come una rinascita", aggiunge, notando le capacità di adattamento tanto alla sua condizione fisica quanto alla mancanza di strutture adatte a praticare il lancio del disco, così come "peso e giavellotto". Nel processo di rinascita gli amici sono "importanti" per Ganeshamoorthy: "non mi hanno mai abbandonato, dandomi il giusto sostegno e lasciandomi lo spazio per crescere".
"Lo ospitiamo a casa nostra"
A prendere la parola in seguito sono stati Andy Diaz e Fabrizio Donato, entrambi medaglie di bronzo olimpiche nel salto triplo, conquistate lo stesso giorno, il 9 agosto, a 12 anni di differenza. Donato, "papà e tecnico" di Diaz, lo accoglie nella sua casa di Ostia insieme alla moglie Patrizia Spuri, aiutandolo nell'iter burocratico che lo porta, nel febbraio 2023, ad ottenere la cittadinanza italiana. "La vittoria di una bella Italia. Voglio credere che in questo Paese ci siano ancora tante belle persone", afferma Donato ai media vaticani. "La nostra vittoria più grande è stata quella di dare una seconda possibilità ad Andy", aggiunge poi intervistato da Mattei e Crosetta, ricordando il primo contatto con l'atleta di origine cubana. "Una sera mi telefona e mi chiede aiuto. Non parlava italiano, solo spagnolo. Nell'imbarazzo più totale, mia moglie ha fatto la differenza, dicendomi: 'Vallo a prendere, lo ospitiamo a casa nostra'". Donato ricorda il film "Fuga per la vittoria, ovvero fuggire per rincorrere i propri sogni: quello che è riuscito a fare Andy", nota l'ex atleta, innescando l'applauso di tutta la sala. "Quando durante l'allenamento gli dico facciamo una ripetuta, un salto, lui mi dice 'dimmi quello che devo fare e io lo faccio'". La perfetta dimostrazione del rapporto di amicizia e di fiducia che caratterizza Diaz e Donato.
La "benedizione" di Papa Francesco
"Tre anni fa dormivi in mezzo alla strada, davanti all'ufficio immigrazione", ricorda Mattei a Diaz, "e da lì nasce una storia". Una storia "lunga, che per raccontarla ci vorrebbero giorni", afferma sorridendo l'atleta ai media vaticani, ricordando poi le lacrime spontanee causate dalla premura con la quale Donato lo ha accolto in casa sua. Prima dell'olimpiade, Diaz è stato ricevuto da Papa Francesco, ricevendo una "benedizione", ed arrivando così a Parigi "libero da pensieri".
Creare il proprio destino
È stato poi il turno di Antonella Palmisano, medaglia d'oro nella 20km alle Olimpiadi di Tokyo e campionessa europea nella stessa specialità agli europei di Roma. "Nel mio percorso di vita, mi sono accorta di non essere una persona speciale", racconta Palmisano. "Ogni atleta ha le sue difficoltà, e forse è per questo che ho scelto lo sport". Una vera e propria "vocazione", che le ha permesso "una svolta, un'opportunità" per crearsi il "proprio destino" e "fare parte della storia". Perché la marcia? "Ero scarsa nelle altre discipline", scherza Palmisano, che poi spiega come non si trovasse a proprio agio con la pallavolo, lo sport più praticato nel suo paese in provincia di Taranto, optando quindi per la corsa.
Dalla Sicilia a Parigi
La storia successiva è quella di un'altra atleta medagliata: Alice Mangione, oro alle World Relays nella staffetta 4×400 m mista. "Vengo da un paesino della Sicilia", racconta Mangione, ricordando i primi allenamenti "per strada", sempre a causa della mancanza di strutture adatte alla corsa. Poi il trasferimento a Roma, i risultati, i dubbi, gli infortuni, ma un unico obiettivo, le Olimpiadi. Dopo Tokyo, e il record italiano nella 4x400 m, un nuovo infortunio all'anca. "Sono andata avanti, e sono riuscita a partecipare anche a Parigi", dove riesce a qualificarsi per la gara individuale.
"Il Signore non mi ha mai abbandonato"
I due moderatori passano poi il microfono ad Amelio Castro Grueso, detto "El Loco", "il pazzo", perché folle è la sua storia. Un volo da Cali, in Colombia, a Roma che somiglia più ad un salto nel vuoto, viste le speranze appese soltanto ad un rapporto di amicizia nato con l'allenatore di scherma Daniele Pantoni - che però al momento dell'atterraggio si trova a Sidney - e ad un visto di appena tre mesi. Il primo albergo a Termini non ha l'ascensore, ma i primi sostegni arrivano dalla comunità colombiana romana e dalla Caritas, che lo accoglie in via Marsala. Pantoni gli telefona, gli dice che è stato "un incosciente". La risposta di Castro Grueso spiazza: "Profe", così lo chiama, "vengo da una zona dove possono spararti per rubarti la carrozzina, il Signore non mi ha mai abbandonato, neanche quando ero solo e paralizzato in ospedale, perché dovrebbe farlo ora che ho braccia forti e una carrozzina che può portarmi ovunque?" Nel 2023 riceve lo status di rifugiato, che gli permette di partecipare alle Paralimpiadi di Parigi. Oggi si allena nelle palestre delle Fiamme Oro, che impiega due ore per raggiungere con la sua carrozzina, "ma può essere anche di più", ammette Castro Grueso, che anche in questo vede un'opportunità "per conoscere e fare amicizia" con le altre persone a bordo dell'autobus.
Il sorriso in mezzo alla disperazione
"Ho avuto la fortuna di conoscere Dio, dentro la sofferenza, che è stata la mia insegnante", racconta Castro Grueso, che ricorda la morte della mamma, avvenuta a soli 16 anni e l'incidente che lo ha costretto in sedia a rotelle, appena quattro anni dopo. "Sono un privilegiato ad avere sofferto tanto, perché ogni giorno sono diventato più forte", afferma l'atleta. "Possono arrivare tutti i problemi del mondo, e io sono pronto". Riguardo al "male di vivere" che sembra affliggere tanti giovani oggi, l'atleta sottolinea ancora la "fede in Dio e la sua grazia, che mi permette di avere sempre il sorriso", ricordando tuttavia i quattro anni trascorsi in ospedale, anche caratterizzati dalla "disperazione" per il mancato sostegno da parte della sua famiglia.
Cadere e rialzarsi
Viene poi intervistata Monica Contrafatto, impegnata, nel 2012 in una missione di pace in Afghanistan dove è vittima di un attentato terroristico. Una bomba da mortaio la ferisce gravemente, causandole la perdita della gamba destra. "Woman, age thirty-one", le ultime parole ricordate, prima di perdere coscienza e risvegliarsi in Germania. Poi il ritorno in Italia, all'ospedale militare del Celio. Il caso vuole che proprio in quei giorni ricorrano le Paralimpiadi di Londra: l'input che la spinge ad allenarsi e a partecipare alle successive edizioni di Rio de Janeiro, Tokyo e in ultimo Parigi, vincendo per tre volte la medaglia di bronzo nei 100 metri, l'ultima conquistata in maniera rocambolesca, trovandosi coinvolta nella caduta della connazionale Ambra Sabatini ma riuscendo comunque a conquistare la medaglia. "Mai avrei pensato di fare l'atleta, perlopiù paralimpica", confessa Contrafatto, non nascondendo il rammarico per l'episodio di Parigi. "Perché ogni volta che devo finire una cosa, la devo finire tragicamente da una parte ed ironicamente dall'altra?" si chiede l'atleta, notando comunque la felicità per il bronzo. "Quando poi, sul podio, ho visto Ambra esultare per me, me la sono goduta un po' di più. L'ho vista felice per entrambe".
Lo sport per riacquisire dignità in Afghanistan
In ultima battuta, prende parola Mahdia Sharifi, che scopre il taekwondo sbirciando un gruppo di donne che si allenano ad Herat, in Afghanistan, ed inizia a particarlo senza il consenso del padre, che per la paura di vederla discriminata dalla pratica di uno sport prettamente maschile, le consiglia di pensare all'apprendimento di un'altra lingua, e all'istruzione in generale. "Avevo undici anni", ricorda Sharifi. "Fare arti marziali era il mio desiderio. Mio padre in parte aveva ragione, ma era arrivato il momento di cambiare le cose." Quando entra nella nazionale afghana e arrivano i primi risultati, anche lui, di fatto, si convince della bontà della sua scelta della figlia. Poi la presa di Herat da parte dei talebani e la fuga a Kabul, la collaborazione della sorella con l'ambasciata turca e l'inserimento, insieme alla diplomazia italiana, in un programma di espatrio per rifugiati. "Quando sono arrivata, dal 2021 fino al 2023, non sono riuscita a rendermi conto del mio coraggio. Subivo il trauma di avere lasciato la mia casa, la mia famiglia", racconta Sharifi. Un'inconsapevolezza dovuta dal fardello di ciò che è rimasto "indietro", reso meno pesante anche grazie all'aiuto di una psicologa. "Lo sport per me è un miracolo, che ha salvato la mia anima", afferma Sharifi, che racconta di sentire ancora i suoi genitori e le sue compagne di squadra, rimaste ad Herat. "Mia madre non lavora più, perché non ne ha il diritto, mio padre, che aveva una piccola azienda di trasporti, non è riuscito a portarla avanti a causa delle tasse". Un impegno, quello dell'atleta afghana, che va oltre quello sportivo e che punta a "dare voce alle donne e alle ragazze afghane", sottolineando soprattutto il diritto all'istruzione, capace di "cambiare le generazioni".
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