A Roma la Crocifissione bianca di Chagall, simbolo di speranza
Maria Milvia Morciano - Città del Vaticano
I dipinti di Chagall sembrano stendersi su superfici aeree, con figure che prescindono da ogni legge naturale di prospettiva e di statica. Il suo è un mondo senza peso, onirico, malinconico anche quando è allegro e spesso carico di dolore. Un dolore, però, sempre aperto alla speranza. È il caso della "White Crucifixion", che da oggi sarà esposta a Roma.
Prosegue il viaggio e la meta è ormai vicina. A palazzo Cipolla, in via del Corso, si apre dal 27 novembre la mostra “Chagall a Roma. La Crocifissione Bianca”. Si tratta della quarta mostra della rassegna “Giubileo è cultura” a cura del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le Questioni fondamentali dell’Evangelizzazione nel mondo, in collaborazione con la Fondazione Roma che, a ingresso libero, durerà fino al 27 gennaio e offrirà l’occasione di poter contemplare la celebre opera dell’artista bielorusso, mai esposta in Italia, grazie al prestito dell’Art Institute of Chicago.
La croce, simbolo universale
Marc Chagall, pittore russo naturalizzato francese, d'origine ebraica chassidica, nato a Lëzna, città bielorussa, nel 1887 e morto a Saint-Paul-de-Vence nel 1985, dipinse la Crocifissione bianca subito dopo quella notte tra il 9 e il 10 novembre del 1938 chiamata “Notte dei cristalli”, episodio saliente e programmatico della escalation di terrore e violenza nazista antisemita. Questa non è l’unica crocifissione che l’artista dipinse e non è un controsenso che lui, ebreo, abbia scelto un emblema della religione cristiana: in Cristo l’artista vide l’uomo giusto in cui si rispecchiano tutte le persecuzioni subite dal popolo ebraico. Il dipinto è affollato da citazioni storiche e simboliche. Ed è un grido di ferma denuncia contro le violenze del mondo, al centro del quale si innalza la croce illuminata da una luce bianca, simbolo di purezza, dove il significato della vita e della morte si incontrano e diventano eternità.
Come per i trascorsi eventi giubilari, curatore della mostra è don Alessio Geretti, che è anche l'ideatore della mostra di Illegio, felice rassegna che anima da vent’anni il piccolo borgo friulano. Ai microfoni di Radio Vaticana- Vatican News ci accompagna a capire la complessità di un’opera così simbolica e le ragioni che hanno spinto a sceglierla in vista dell’Anno Santo.
Dopo la croce di Dalì, abbiamo in mostra la croce di Chagall ed è un filo rosso che ci porterà all'apertura del Giubileo: la croce come significato fondamentale anche del Giubileo…
Il Giubileo ci invita ad essere pellegrini di speranza - questo è il suo titolo - e la speranza è il presentimento certo della gloria che ci attende e il sentimento certo della provvidenza che ci accompagna. Ma questo presentimento e questo sentimento sarebbero impossibili se non avessimo l'esperienza di essere infinitamente amati da Dio. Se fossimo in un mondo dove non c'è altro che materia e la prospettiva squallida del niente, della morte, dovremmo vagare con una fatale tristezza nell'anima. La speranza è possibile proprio perché sulla croce Dio ha dichiarato il suo amore immenso e irrevocabile per ognuno di noi, dando la sua vita in nostro riscatto. Questo è il primo motivo per cui le crocifissioni hanno connotato il tempo di preparazione dell'apertura della Porta Santa. Nello stesso momento poi, in questo caso, la Crocifissione bianca è attraversata, nonostante il grigio dominante dei dintorni che raccontano gli orrori del Novecento, da un fascio di luce bianca. Luce che scende sulla figura di Gesù innocente e perfettamente pacifico ed è la prova che il dilagare dell'odio non riesce a conquistare tutti. In Lui non ha trovato spazio e questo ci rincuora. Vuol dire che l'essere umano, se vuole, può resistere e questo è motivo di speranza.
Chagall era ebreo e dipinse un simbolo cristiano, quindi è un incontro vero, possibile, della pace tra tutte le religioni...
Prima di tutto è la dimostrazione concreta, e non teorica, che le identità si possono sposare. Non necessariamente devono sopraffarsi o confliggere. Chagall è un ebreo, ma rimane russo per tutta la vita. È un pensatore forse dubbioso sull'ultimo orizzonte del mondo, ma fatalmente affascinato dallo splendore del cristianesimo; orientale fino al punto che dipinge con l'impostazione di un'icona il suo quadro. Ma è pienamente francese perché ha assorbito la lezione del fauves, del cubismo, dell'espressionismo che a Parigi conosce per diretto contatto. Lui è la prova che si possono conciliare ricchezze diverse, non necessariamente andare allo scontro, ma questo suppone la guarigione del cuore: noi siamo tutti una guerra irrisolta e questo è il motivo per cui la facciamo continuamente. Solo la pacificazione del cuore ci permette la pacificazione del mondo.
In futuro ci saranno anche altre mostre, ha già un'idea, un'altra crocifissione o cos’altro?
Ci sono delle mostre già in cantiere dove spazieremo dai secoli antichi fino al Novecento, con poche opere di altissimo pregio che ancora una volta ci permetteranno di consolidare la speranza attraverso la bellezza.
La scelta di Chagall, in questo momento, con questo dipinto e questa iconografia, parla di quello che stiamo vivendo in modo veramente netto e della speranza che possa cambiare il corso delle cose. Il bianco è simbolo la luce piena e nel quadro ci sono poche pennellate di colore, in effetti vince la luce. La crocifissione bianca è stata scelta anche per questo, per parlare di oggi e per spingerci a cambiare?
A ben guardare, l'arte non sempre è moderna ma è sempre attuale. Lo è in particolare in questo caso, dove anche per il soggetto e i racconti che l'opera contiene, potrebbe tranquillamente spostarsi in avanti di un secolo e anziché essere dipinta nel 1938, sembrar dipinta nel 2024. Ma anche per questo è un inizio provocatorio e interessante per il pellegrinaggio giubilare, per chi implora la pace dal Principe della pace che è Dio, in un mondo che in questo momento appare particolarmente tormentato dalla conflittualità dilagante e dalla imbarazzante incapacità umana di risolvere le controversie.
Un dono ai romani e un luogo aperto a tutti
Oltre a Palazzo Cipolla, un altro importante spazio è stato inaugurato e messo a disposizione del pubblico a partire da oggi: Il Museo del Corso nel Palazzo Sciarra Colonna, antico palazzo nobiliare e sede della Fondazione Roma. Custodisce una ricca collezione permanente di opere che abbracciano un arco temporale che parte dal XV secolo per arrivare ai giorni nostri. Opere di artisti come Pietro da Cortona, Piermatteo d’Amelia, Lucio Fontana, Giacomo Balla, Mario Schifano, Mimmo Paladino e Igor Mitoraj. E inoltre ci sono sculture e arazzi che raccontano la storia di Roma e di chi abitò nel palazzo. Di grande interesse è anche il medagliere in parte costituito da emissioni dei Pontefici. Seconda solo alla collezione vaticana, la raccolta numismatica del Museo del Corso si compone di oltre 2500 pezzi, alcuni dei quali unici o estremamente rari, come il medaglione di Pio IX, in oro, che al rovescio presenta la veduta della navata centrale della basilica di San Pietro. Infine completano questo polo museale l’Archivio storico della Fondazione Roma e gli appartamenti cardinalizi realizzati nel XVIII secolo da Luigi Vanvitelli, il Gabinetto degli Specchi e la Biblioteca del Cardinale Prospero Colonna, esempio prezioso di stile rococò e rocaille. Il presidente della Fondazione Roma, Franco Parasassi, durante l'inaugurazione ha voluto sottolineare con grande forza la vocazione di questi spazi, sempre gratuiti e senza alcun genere di barriera. Un luogo dove si uniscono inclusività, impegno per il territorio e promozione della cultura, che vuole essere luogo di incontro e di crescita culturale aperto a tutti, un vero esempio di spazio espositivo a vocazione solidale.
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