Il vescovo Lipke: anche in Siberia la Chiesa impegnata contro gli abusi
Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano
Si dicono arricchiti, rafforzati, incoraggiati in un lavoro che vuole assumere sempre più una rilevanza europea, gli oltre cento partecipanti alla conferenza Safeguarding in the Catholic Church in Europe, che, promossa dalla Pontificia Commissione Tutela Minorum, si conclude oggi, 15 novembre, a Roma. Vescovi, religiosi, laici, esperti di diocesi e Conferenze Episcopali hanno discusso e condiviso per tre giorni buone pratiche sui temi della tutela, della prevenzione, del contrasto agli abusi. Quelli che il cardinale presidente della Commissione, Sean O’Malley, ha definito un “flagello” per la Chiesa nel suo video-intervento di apertura, preceduto da un messaggio di Papa Francesco.
Empowerment per le piccole Chiese
Soprattutto è l’aspetto del “fare rete” quello che maggiormente è emerso nella tre giorni a Palazzo Maffei Marescotti, rinforzare, cioè, l’ECO Network avviato alla conferenza di Varsavia del 2021. Ma anche offrire spunti – attraverso la presentazione e condivisione di progetti diocesani e nazionali – ed un empowerment alla Chiese più “piccole” che si trovano a fronteggiare casi di abuso. Come la Diocesi della Trasfigurazione del Signore a Novosibirsk, nella Siberia Occidentale, un mondo sideralmente opposto a tanti altri che hanno partecipato alla conferenza: territori dalle distanze enormi, una Chiesa piccola con poco più di trent’anni di vita, uno scarso numero di fedeli, un’azione pastorale limitata. Anche questa Chiesa, tuttavia, è stata colpita da casi di abuso da parte del clero, a danno soprattutto di “donne adulte, vulnerabili perché povere o senzatetto, che hanno bussato alle porte delle parrocchie cattoliche e alcuni preti se ne sono approfittati o hanno fatto grooming. Quando sono stati trovati colpevoli, sono stati puniti. Se c’era una violazione anche della legge statale, abbiamo collaborato pure con la giustizia civile”. A raccontarlo ai media vaticani è il vescovo ausiliare Stephan Lipke, segretario della Conferenza dei vescovi cattolici della Federazione Russa. Classe 1975, gesuita tedesco di Essen, Lipke è dal 2011 in Russia dove ha iniziato l’attività pastorale proprio da Novosibirsk e vi è tornato dopo una esperienza a Tomsk e a Mosca.
Cultura del dialogo
Alla conferenza di Tutela Minorum a Roma il presule dice di essere venuto soprattutto ad “imparare”: “Siamo una chiesa molto piccola con poca esperienza, soli trent’anni di vita dopo il crollo del regime sovietico. Quindi, sì, siamo venuti a portare un piccolo contributo ma soprattutto ad apprendere come sviluppare anche noi una cultura che aiuti a dialogare, a parlare, a capire cosa alla gente succede, sta succedendo o è successo, a comprendere le ferite nella vita delle persone. Perché se riusciamo ad aprirci e se riusciamo a dialogare, questo può essere un contributo alla giustizia e riconciliazione”.
Lavoro on-line e in presenza
Il lavoro per la safeguarding va avanti, dunque, anche nelle fredde lande siberiane, assicura il vescovo. Molto viene fatto a livello virtuale considerando i problemi logistici: “La gente con la pandemia ha imparato che si possono scambiare informazioni anche on-line, lavoriamo soprattutto così. Ovviamente il contatto diretto è preferibile, facciamo ciò che possiamo fare”. In presenza o in video, in ogni caso l’azione principale è quella di garantire ascolto e accoglienza: “Proviamo davvero a parlare con le persone, ad andarle a trovare perché possano raccontare cosa è successo loro”.
Riconciliazione
Lipke condivide a tal proposito una storia: “Quando sono stato nominato vescovo ausiliare, alla messa nella cattedrale di Novosibirsk è venuta una ragazza che vive lì e che ha subito una forma di abuso da adulta. È venuta a parlarmi, successivamente è tornata alla Chiesa cattolica, perché – mi ha detto – ha capito che la gente nella Chiesa vuole parlare, vuole avere cura dell’altro”. Quindi la “riconciliazione”, oltre a “verità” e “giustizia”.
Azione pastorale limitata nelle prigioni
Sullo sfondo c’è anche il dramma della guerra, con tanti prigionieri - ucraini e non solo - condotti nelle carceri siberiane. Da parte della Chiesa cattolica non vi è un’azione pastorale specifica per queste persone: “La Chiesa cattolica come tale – spiega monsignor Lipke - sfortunatamente non può entrare nelle prigioni. Vorremmo farlo, volevamo farlo da anni, abbiamo chiesto il permesso ma tranne che a San Pietroburgo o a Kaliningrad non abbiamo questa possibilità, a meno che una persona non chieda individualmente: vorrei parlare con un prete cattolico”. Inoltre, racconta il vescovo, “può entrare praticamente solo un prete che è cittadino russo e ce ne sono pochissimi. Quindi è molto difficile contattare i prigionieri come Chiesa locale”.
Affrontare insieme i problemi
In questo non facile contesto, il vescovo gesuita dice tuttavia di tornare con un grande senso di incoraggiamento dopo l’evento della Commissione per la Tutela dei Minori: “Mi è piaciuto molto vedere volti, persone con cui dialogare e non solo nomi nell’e-mail. Poi mi ha colpito la coscienza delle varie realtà ecclesiali… Le risorse sono diverse, i problemi, però, sono gli stessi e finalmente c’è la voglia di affrontarli insieme”.
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