Semeraro: oggi un popolo di martiri, in Europa non persecuzioni ma indifferenza
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Sono tante le storie di martiri emerse durante le diverse sessioni del convegno organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi sul tema “Non c’è amore più grande. Martirio e offerta della vita”, che, iniziato lunedì scorso, 11 novembre, all’Istituto Patristico Augustinianum a Roma, si è concluso questo pomeriggio. A sintetizzare le giornate di lavoro il prefetto del Dicastero, il cardinale Marcello Semeraro, che nelle sue conclusioni ha evidenziato anzitutto che “i martiri non sono stati e non sono degli eroi insensibili alla paura, all’angoscia, al panico, al terrore, al dolore fisico e psichico”, tanto che il professor Andrea Riccardi, nella sua relazione “ha parlato di forza nella debolezza e di forza della debolezza”. Il porporato ha inoltre sottolineato che dalle diverse comunicazioni è emerso che “il numero dei martiri cristiani non corrisponde affatto a quelli beatificati o canonizzati” e “c’è, al contrario, un intero, grande popolo di martiri”, anche perché “dai martiri germogliano cristiani, ma dai cristiani sbocciano i martiri”.
Il problema della dimenticanza
Ma oggi c’è anche il problema della “dimenticanza” riguardo alla storia dei martiri, ha osservato il cardinale Semeraro, denunciato dall’intervento del professor Jan Mikrut, il quale ha detto che “una delle caratteristiche negative dell’epoca moderna risiede nel fatto che la memoria del passato viene spesso trascurata” e che “alcune società vivono secondo l’errato preconcetto che non vi sia nulla di straordinario che valga la pena di essere ricordato”. Per il porporato tutto ciò potrebbe derivare da “quell’appiattimento sul presente che caratterizza la nostra epoca, cancellando così non soltanto il passato, ma pure il futuro”. E allora come non riflettere sui primi cristiani descritti dall’Autore della Lettera a Diogneto come uomini che “non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale”, che si adeguano “ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale”, che “vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera”. “Proprio questa estraneità identificava il cristiano - ha rimarcato il prefetto del Dicastero delle Cause dei santi - ed era questo il motivo e la radice della sua ‘santità’”. E Romano Guardini, ha aggiunto il porporato, ci aiuta a capire che i santi non sono “austere figure” che stanno nelle nostre chiese, “grandi ‘isolati’ del cristianesimo”, ma “sono uomini, che vivono a Corinto, a Tessalonica, ad Efeso o dove che sia, che credono, sperano, lottano contro la loro fragilità e non hanno gran che di straordinario da ostentare nella loro vita religiosa”. Anche se, non bisogna dimenticare, che, nei primi secoli, chi sceglieva di essere cristiano, scrive Guardini, “diventava estraneo al suo ambiente” e affrontava, per amore di Dio, diffidenze e difficoltà. Era una scelta che “richiedeva rinuncia su rinuncia e spesso conduceva all’oppressione e alla morte”.
Dalla persecuzione all’indifferenza
Tra le figure esemplari citate durante il convegno, il cardinale Semeraro ha richiamato quella descritta da Paolo Affatato, responsabile Sezione Asia dell’Agenzia Vaticana Fides, e dalla professoressa Lodovica Maria Zanet: Akash Bashir, il giovane pakistano che, il 15 marzo 2015, mentre svolgeva servizio d’ordine, accortosi della presenza di un terrorista kamikaze che voleva entrare in chiesa, lo ha fermato abbracciandolo, saltando in aria insieme con lui. “Una immagine che ci dice molto sul martirio e sul dono della vita”, ha detto il porporato. E se “oggi, nella nostra parte d’Europa che include Roma, noi non abbiamo le persecuzioni e lo stesso Colosseo è il teatro per le nostre Via Crucis e celebrazioni giubilari per i ‘Nuovi Martiri’”, “abbiamo, però, l’indifferenza”, ha proseguito il prefetto, e qui, come spiega Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, si tratta “di scherni che tentano di sfigurare la nostra fede e di farci passare per persone ridicole”, cosa che rende la parola della beatitudine evangelica attuale: non c’è persecuzione, ma c’è indifferenza, o derisione. E per il Pontefice “accettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questo è santità”.
L’offerta della vita
Nella giornata di oggi hanno condiviso le loro riflessioni la professoressa Zanet sul tema dell’offerta della vita in relazione all’antropologia contemporanea, e il professor Maurizio Faggioni, della Accademia Alfonsiana, che ha analizzato alcuni aspetti teologici e procedurali dell’offerta della vita. Al banco dei relatori anche il segretario del Dicastero delle Cause dei Santi, monsignor Fabio Fabene: da lui un excursus storico e procedurale per una rilettura di alcune esperienze di santità alla luce dell’offerta della vita. Anzitutto Fabene ha ricordato il Motu Proprio di Papa Francesco dell’11 luglio 2018 Maiorem ac dilectionem sull’offerta della vita quale “nuova fattispecie dell’iter di beatificazione e canonizzazione, distinta dalla fattispecie sul martirio e sull’eroicità delle virtù”. Il prelato ha quindi ricordato i casi nel passato di persone “la cui morte oggi rientrerebbe nella fattispecie dell’offerta della vita, ma sono stati beatificati per la via delle virtù”. Tra questi San Luigi Gonzaga e San Damiano di Molokai.
Esempi che aiutano ad aprirsi agli altri
Lo sguardo si è allungato anche a cause riguardanti l’offerta della vita più recenti, come Albino Badinelli e Vincent Robert Capodanno o il missionario polacco morto Jan Czuba, ucciso dai ninja nella Repubblica Democratica del Congo dove operava, fino ad arrivare a Ignacio Echeverría De Imperial, giovane spagnolo ucciso a Londra il 3 giugno 2017 nell’attacco terroristico presso il London Bridge, la cui causa è “alle primissime battute”. “L’offerta della vita non può prescindere dalla perfezione della carità, che in questo caso però non è il risultato di una prolungata, pronta e gioiosa ripetizione di atti virtuosi, ma è un unico atto eroico che, per la sua radicalità, irrevocabilità e persistenza usque ad mortem, esprime pienamente l’opzione cristiana”, ha specificato monsignor Fabene. “Se l’atto eroico dell’offerta della vita si protrae negli anni, potrebbe alla fine rientrare nella fattispecie delle virtù eroiche”. Il segretario del Dicastero ha inoltre fatto cenno a una ricerca realizzata dal Censis sulla fede in Italia che rileva come “un’alta percentuale della popolazione fa ancora riferimento ai valori evangelici, ma in modo sempre più individualistico”. Ecco, ha sottolineato, “questi nostri fratelli e sorelle, che hanno fatto della loro vita un dono ci invitano a non concentrarci su noi stessi, ma ad aprirci agli altri”.
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