Pandemia, moltiplicatore di discriminazioni anticristiane
Debora Donnini – Città del Vaticano
Oggi ci sono più martiri che nei primi secoli. Lo ha rimarcato più volte Papa Francesco ricordando i tanti cristiani perseguitati e uccisi nel mondo. Il Primo Martire fu Santo Stefano che la Chiesa festeggia il 26 dicembre e il fenomeno della persecuzione nel corso della storia ha segnato il cristianesimo assumendo volti e forme diversi. Anche con “i guanti bianchi, lasciati da parte, emarginati”, ha detto il Papa.
Dell’aumento delle persecuzioni nel 2020 rispetto all’anno precedente parla nell’intervista Cristian Nani, direttore Porte Aperte -Open Doors in Italia - l'agenzia missionaria cristiana che aiuta i cristiani perseguitati a causa della loro fede in 60 Paesi del mondo - rammentando che le cifre dello scorso anno parlavano di almeno 260 milioni di cristiani perseguitati nel mondo e 2.983 cristiani uccisi per cause legate alla loro fede. Il prossimo 13 gennaio sarà reso noto il Rapporto sulla libertà religiosa dei cristiani del 2021 di Porte Aperte – Open Doors, che prende in esame il periodo che va dal 1 ottobre 2019 al 30 settembre 2020 e offrirà dati più precisi.
R. - La persecuzione aumenta ancora. Dati precisi sul 2020 saranno resi noti propriamente il 13 gennaio 2021 con il lancio internazionale della nuova World Watch List, la lista dei primi 50 Paesi dove più si perseguitano i cristiani nel mondo. Vedremo dunque un aumento nel numero di cristiani perseguitati globalmente e nella fattispecie, dato che interessa particolarmente alla nostra ricerca, nei primi 50 Paesi della lista. Riguardo il numero dei cristiani uccisi per cause legate alla fede, mi preme sottolineare che se la violenza risalta nella copertura mediatica per la tragicità dell’evento in sé, è altresì importante sottolineare il fattore discriminazione e pressione sui cristiani, capace di rendere la vita un vero e proprio “inferno”: difficoltà di accesso al mondo del lavoro, a cure sanitarie, al sistema educativo, in sostanza a diritti fondamentali. Questi sono solo esempi di ciò che i cristiani vivono in Paesi come la Corea del Nord, Afghanistan, Somalia, Pakistan, eccetera. Il nostro rapporto analizza sia il fattore violenza che il fattore pressione/discriminazione, analizzando come questi due fattori si materializzino nelle 5 sfere della vita dell’individuo che professa la fede cristiana: privata, familiare, comunitaria, nazionale, ecclesiale.
Questo 2020 è stato un anno segnato dalla pandemia che ha investito tutto il mondo e sicuramente ha influito anche sulle persecuzioni. In che modo?
R. - L’intera nostra campagna di sostegno ai perseguitati ha gravitato quest’anno attorno a un fatto: alla persecuzione si è aggiunto il Covid-19. La pandemia è stata un moltiplicatore delle discriminazioni contro i cristiani. Per citare un fatto concreto, la stragrande maggioranza dei cristiani in India e in Bangladesh raggiunti dai nostri partner locali - entro Natale avremo aiutato più di 120.000 persone in India e oltre 24.000 in Bangladesh – la stragrande maggioranza di queste persone non hanno avuto accesso agli aiuti forniti dallo Stato, anzi sono stati sistematicamente discriminati in quanto cristiani nelle distribuzioni di beni di prima necessità e di mascherine e ausili contro il Covid. In una nostra campagna di sostegno a questi emarginati, li abbiamo definiti “Gli ultimi della fila”, perché di fatto lo sono. A molti di loro è stato negato anche l’accesso a cure mediche per lo stesso motivo. Questo in Asia. Spostandoci in Africa, in Somalia i cristiani sono stati a volte additati come colpevoli della diffusione della pandemia in quanto infedeli, in un misto tra islam radicale e superstizioni animiste. Nell’Africa sub-sahariana, soprattutto in aree particolarmente radicalizzate come la Nigeria del Nord e dintorni, i lockdown sono stati occasioni per gruppi terroristici, bande criminali e allevatori Fulani per attaccare le comunità cristiane, razziare, uccidere e rapire, come abbiamo visto riportato dai media.
Quando c’è un inasprimento delle condizioni di vita a rimetterci per prime sono le minoranze e soprattutto donne e bambini, anche con abusi sessuali o stupri. Anche quest’anno è stata forte questa forma di violenza?
R. - Dove c’è persecuzione le donne cristiane, in Paesi per esempio come India e Pakistan, diventano bersagli facili di aggressioni sessuali e violenza. In contesti in cui i diritti delle donne sono già di per sé poco sviluppati, la persecuzione e discriminazione verso le donne sono attività a basso rischio per l’esecutore. Negli ultimi anni Porte Aperte sta affinando la ricerca in questo ambito producendo ogni anno a fine febbraio un report che prende in esame la persecuzione in base al sesso e stiamo lambendo solo la punta di un iceberg di questa violenza domestica.
Ma vorrei aggiungere un altro dettaglio importante: le donne convertite al cristianesimo sono ancor più vulnerabili. Immaginate una donna musulmana che in un Paese islamico si converte alla fede cristiana e che per questo patisce vessazioni dai propri familiari. Ora aggiungiamo il lockdown e pensate a questa povera donna rinchiusa in casa con, a volte, quelli che sono i suoi persecutori, frustrati magari dalla pandemia e dai relativi danni economici. Il cocktail di elementi è esplosivo. Ma questo vale anche per un giovane musulmano convertito alla fede cristiana: ci aspettiamo un aumento di questo tipo di violenze, consapevoli che il sommerso specie nel 2020 sarà incalcolabile.
Per dare una panoramica mondiale quali sono, fra i 100 Paesi che voi prendete in esame, quelli dove vi sono maggiori violenze? Quali le novità e eventualmente qualche segno di speranza?
R. - Il luogo dove finora si perseguitano di più i cristiani è la Corea del Nord. Ribadisco che la persecuzione non parla solo il linguaggio della violenza fisica, anzi usa molto di più quello della discriminazione, della vessazione continua, della negazione dei diritti fondamentali. Detto questo, i Paesi dove il Report dell’anno scorso registrava maggiori violenze sono Nigeria e le nazioni attorno come Camerun, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, ma anche Mali e Burkina Faso, come molti ricorderanno. Ma il Pakistan stesso ha un elevato livello di violenza anticristiana, così come l’India e purtroppo il vicino Egitto. Un segno di speranza sicuramente ci arriva dal Sudan, una nazione che ha vissuto un epocale cambiamento: un regime è caduto, la legge sull'apostasia è stata abolita e sono state abrogate anche altre leggi che limitavano la libertà di religione. Questo è un passo in avanti e un segno di speranza.
Il tema della fraternità è stato messo al centro, con forza, in questo tempo da Papa Francesco che vi ha dedicato l’Enciclica Fratelli tutti. Quanto è importante questa sensibilizzazione anche per contrastare le violenze che in realtà strumentalizzano la religione?
R. -Ogni esercizio che riscopra, esalti e rafforzi il concetto di amore per il prossimo credo sia di vitale importanza per la costruzione di un mondo migliore: siamo di fronte a un approccio alla vita che incontestabilmente migliora la società. Dal punto di vista dei cristiani, si tratta di “proporre una forma di vita dal sapore di Vangelo”, per usare le parole dell’Enciclica, e perché questo accada nel quotidiano del cristiano sono per me essenziali due azioni intenzionali: conoscere il Vangelo e conoscere il prossimo. Sono persuaso - perché l’ho provato nella mia vita - che più conoscerò intimamente il Dio raccontato nel Vangelo, più crescerà in me un amore per Lui, che troverà naturale sbocco nella vita del prossimo, e ciò inevitabilmente mi indurrà a conoscerlo meglio questo prossimo, per poterlo amare dell’amore che ho ricevuto dal Padre. È un ciclo di grazia divina, un ennesimo dono che Dio ci elargisce: se lo accettiamo, se lo viviamo, redimiamo il mondo attorno a noi!
E se c’è una meraviglia che ha strappato lacrime anche dagli occhi più glaciali in questo 2020, è come molti di fronte al Covid abbiano scelto di donarsi, penso per esempio a medici, infermieri, operatori sanitari nelle RSA, eccetera. Il donarsi come antidoto al Covid! L’uomo si stupisce ancora di fronte al bene: lo sa che al bene non c’è alternativa.
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