Intellettuale e pastore nel dialogo: alla Scuola della Parola con il cardinal Martini
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“Ho cercato sinceramente di ascoltare la storia, gli eventi, le persone, tutti voi che incrociavo nel mio cammino: ho desiderato incontrare almeno idealmente tutti, ma soprattutto gli ultimi…”. Nelle parole con le quali l’arcivescovo Carlo Maria Martini si congedava dai milanesi, l’8 settembre 2002, c’era soprattutto il pastore che ha sempre cercato il dialogo. Con i fedeli della più grande diocesi del mondo, guidata per 22 anni, ma anche con i tantissimi che vedevano in lui il primo riferimento morale della città. Un “padre-pastore”, attento alle vite che gli erano state affidate, ma nato come uomo di cultura, gesuita e brillante studioso di Sacra Scrittura, rettore del Pontificio Istituto Biblico prima e dell’Università Gregoriana poi.
Don Colmegna: un maestro e un amico che mi ha insegnato tanto
Maestro e amico. Così ricorda oggi Martini, a dieci anni dalla morte, e a 20 da quel commuovente congedo nel Duomo di Milano, don Virginio Colmegna, 77.enne “prete di comunità” milanese, che il nuovo arcivescovo nato a Torino ma arrivato da Roma, nel 1980 mandò subito in periferia, a Sesto San Giovanni, come parroco e “anima” della comunità per disabili Parpagliona. E che nel 1993 chiamò a dirigere la Caritas Ambrosiana, lasciata nel 2004 per fondare la Casa della Carità, il lascito dell’arcivescovo-gesuita a Milano. Don Colmegna considera il cardinale Martini “un maestro e un amico”, che, ci dice nella lunga intervista che ha concesso a Vatican News, “ha educato la mia coscienza, come tante coscienze di credenti”:
Gli anni della formazione e dell’impegno accademico
Con don Virginio ripercorriamo i temi forti degli anni dell’episcopato a Milano, dove Martini fu mandato, “cadendo dalle nuvole”, da Giovanni Paolo II quando era da due anni rettore della Pontificia Università Gregoriana. Ma anche degli ultimi dieci anni di vita, a Gerusalemme e Gallarate, dove, nella casa per gesuiti anziani e malati, il fisico dell’85.enne cardinale, minato dal morbo di Parkinson, cedette il 31 agosto 2012. Ma prima di essere ordinato vescovo da Papa Wojtyla, Carlo Maria entra nella Compagna di Gesù a soli 17 anni, viene ordinato sacerdote a 25 e si laurea in teologia alla Gregoriana a 31. Nel 1966 si laurea anche in Sacra Scrittura al Biblico e tre anni dopo, a 42 anni, ne diviene rettore, restandovi fino al 1978, quando viene chiamato a guidare la Gregoriana. In quegli anni pubblica numerosi studi sulla Parola di Dio, ma soprattutto cura, insieme ad altri specialisti di diverse confessioni cristiane, l’edizione critica del Nuovo Testamento Greco. Attivo nel dialogo ecumenico e in quello con l’ebraismo, nel 1978 viene chiamato da Paolo Via predicare gli esercizi spirituali quaresimali in Vaticano.
L’arrivo a Milano nel 1980 e l’invito in arcivescovado
Don Colmegna ricorda che negli anni “di piombo” del terrorismo e di grandi tensioni sociali, lui giovane “prete-operaio” viene invitato dal nuovo arcivescovo “a vivere con lui tre giorni”, in condivisione e preghiera, prima di essere inviato in periferia e tra i disabili. Così “ho scoperto che anche le scelte di solidarietà – ci dice – nascono dall’ascolto dello Spirito che illumina”. Martini lo spiega a tutta la diocesi nella prima lettera pastorale, dedicata alla dimensione contemplativa della vita.
Dalla Scuola della Parola alla Cattedra dei non credenti
Nel suo racconto appassionato e commosso, don Virginio rievoca le molte iniziative innovative dell’arcivescovo, a partire dalla Scuola della Parola, per aiutare i fedeli ad accostarsi alla Sacra Scrittura, attraverso la lectio divina. Poi le Scuole di formazione all’impegno sociale e politico e, dal 1987, la serie di incontri a due voci sulle “domande della fede”, che chiama Cattedra dei non credenti. Infine la grande Assemblea di Sichem, per invitare i giovani alla missione nella città. Con uno stile diverso da Papa Francesco, il confratello gesuita Martini esprimeva vicinanza concreta a fedeli e sacerdoti, sottolinea don Colmegna. “Veniva la sera, a sorpresa, nella nostra comunità per disabili, e si fermava a parlare con loro, dando credibilità al Vangelo”. Oppure telefonava più volte per informarsi del sacerdote, forse in crisi vocazionale, “che aveva mandato a lavorare con me”.
L’ultimo Martini, la sofferenza fisica e per la Chiesa
Dell’ultimo Martini, infine, quello della nuova ricerca biblica e la preghiera di intercessione della pace a Gerusalemme, e della sofferenza fisica e per le difficoltà della Chiesa a Gallarate, il presidente della Casa della Carità ricorda l’ultimo colloquio con Benedetto XVI, nel giugno 2012. “Il suo assistente don Damiano ricorda che le sue parole erano diventate poco comprensibili – ci dice don Virginio – eppure volle consegnare al Papa il suo amore per una Chiesa che aveva bisogno del cambiamento, e la sofferenza interiore che viveva. E credo che Papa Francesco ha accolto questo segno e ha dato continuità a questo suo desiderio”. Di seguito, tutta l’intervista a don Virginio Colmegna.
Qual è il suo ricordo più vivo di Carlo Maria Martini? Quale incontro, quali sue parole le risuonano ancora oggi nel cuore?
Sono tante le parole che risuonano, soprattutto dall'inizio, quando Martini arrivò a Milano (nel febbraio 1980, n.d.r.) e per la prima volta io gli scrissi. Erano momenti difficili, di grandi tensioni anche sociali, e io chiesi di parlare con lui. Lui addirittura mi propose di andare in episcopato a vivere con lui tre giorni, per scoprire poi insieme il mandato che aveva pensato per me. Dopo un momento di preghiera, mi disse: “Vai e collabora a Sesto San Giovanni con i disabili”. Da lì è nato tutto il senso della mia vita sacerdotale, l’aver scoperto che anche le scelte di impegno, di solidarietà, di prossimità, nascono da questo ascolto dello Spirito che illumina. Martini me l'ha insegnato così. Quando l’ho incontrato, per me è cambiato il concetto di autorità: lui non era autoritario ma autorevole, una persona che insegna, quindi è diventato davvero maestro, che ha educato anche la mia coscienza. Come tante altre coscienze di credenti, segnati dalla Parola ascoltata, vissuta, pregata.
Lei ha detto che non sarebbe un prete così gioioso se non avesse conosciuto il cardinale Martini, che le ha ridato il gusto di fare il prete. Perché l'ha segnata così tanto l’averlo incontrato?
Perché davvero mi ha dato il senso di una vocazione, che è capace di trovare le sue radici nella totalità della risposta, in un Vangelo che parla. In questo periodo, tra l'altro, nel quale la parola è parola con la “p” minuscola, nel quale tutti la usano, non gli danno il credito, il fascino, il coinvolgimento essenziale. Ecco, essere segnati dalla bellezza del Vangelo, che poi impegna la vita. Lo dicevo per la prima esperienza con lui, ma anche quando mi ha mandato a Sesto San Giovanni, nella Comunità per disabili Parpagliona, in una chiesa di periferia, mi ricordo che lo trovai lì, nella mia comunità: veniva alla sera, improvvisamente. E anche con gli ultimi, i fragili che erano lì, segnati dalla fatica, aveva parole capaci di aprire degli spazi di credibilità del Vangelo. Ecco allora la gioia di essere prete, anche giovane, che dava tutto, non era solo per un’operazione sociale di aiuto, era anche questo, ma soprattutto scoprire la vitalità del Vangelo, la bellezza di essere - uso questa parola forte - “consacrati al Vangelo”. Spesso mi hanno definito “prete degli ultimi”: no, siamo preti segnati dalla bellezza del Vangelo, da questo luogo teologico, che è la povertà, che sono i poveri, gli ultimi. Questa freschezza della Chiesa conciliare, credo di averla vissuta come grande dono.
Ha parlato del Vangelo, della Parola di Dio che era il centro del magistero del cardinal Martini. Per lui il dialogo era “fondamentale come parte costitutiva della ricerca della verità”. Questo insegnamento lo traeva sempre dalla Parola di Dio?
Sì, questa Parola di Dio che diventava poi parola vissuta in un dialogo. Lui preferiva sempre, alla distinzione “credenti e non credenti”, quella tra “pensanti e non pensanti”. La fecondità del Vangelo da annunciare, che in questo periodo di sofferenza Papa Francesco vive, e che Martini ha vissuto in profondità, è di una Chiesa che lascia spazi di profezia. Ma questa è la Parola vissuta, cantata, celebrata. In fondo la Lectio divina l'abbiamo imparata tutti da Martini: in quel Duomo pieno di giovani che leggevano, meditavano con lui. E poi questo impegno a ridisegnare le strategie. Io ho imparato molto dal Martini dell'ultima fase della vita, quello della debolezza, della fragilità. Qualche volta lo si dimentica. Mi ha insegnato il senso del limite: quando andavo a trovarlo a Gallarate, mi stringeva la mano affettuosamente. Don Damiano (Modena, n.d.r il segretario e assistente di Martini dal 2009 alla morte) mi ha insegnato proprio questo, lui che lo ha accompagnato negli ultimi tempi di vita: che in Martini vi era della tenerezza. Lui mi ha donato una grande amicizia… Mi ricordo quando i migranti occuparono per la prima volta una chiesa, Martini mi telefonò subito, dicendo: “Non chiamare la polizia, cerca di dialogare fino alla fine con loro, per convincerli a non forzare un confronto”. Sono stati giorni di dialogo, e alla fine siamo riusciti. E la sua felicità era di essere riusciti a svuotare la chiesa, come doveroso, ma di lasciarla avendo aumentato la capacità di dialogo. Un dialogo che attraversa anche le frontiere, che porta mitezza e capacità di risposta.
Riguardo al magistero sulla carità di Martini, lei ha già ricordato, in altre occasioni, che tutto per lui partiva da spiritualità e cultura. E’ quello che indicava anche nella sua prima lettera pastorale a Milano?
Quando mi mandò alla Casa della Carità, io andai a dirgli. “Ma la parola ‘carità’ non può essere ridotta ad ‘elemosina’ e vissuta solo così?”. Lui mi rispose: “C'è anche questo, ma soprattutto la carità inonda la giustizia, la solidarietà, la prossimità, la vicinanza e le spinge anche dove non c'è un’utilità sociale”. E il dono della gratuità nasce da questa esperienza straordinaria. Quando lui si fece il primo piano pastorale sulla dimensione contemplativa del vivere, che capisco oggi, in questo contesto ancora più attuale, molti preti ambrosiani, tra cui noi “praticoni”, commentammo: “Appena arrivato ci dice di pregare?”. Tra l’altro è paradossale che proprio il piano pastorale della Diocesi di Milano di quest'anno, di monsignor Delpini, è sulla preghiera. La dimensione contemplativa, diceva Martini, come capacità di essere annunciata dal carcere, sui luoghi dove si vive, dove ci si contraddice.
Carità che quindi si fonda anche nella spiritualità e nella ricerca culturale. Per questo Martini ha voluto che la vostra Casa della Carità, che è stato un po' il suo lascito alla Diocesi, fosse anche un centro di elaborazione culturale, formazione e studio, quindi un'Accademia della carità?
Certo! Disse: “La carità è sapiente”. Cioè la carità non è caritatevole nel senso debole della parola. È capace di ricercare. Tanto che nella Casa della carità c'è la Biblioteca di confine, l’abbiamo chiamata. Dove c’è questo lavoro culturale continuo, questo dialogo anche con i non credenti, che incrocia i luoghi culturali. Soprattutto calcolando che noi nella Casa della carità accogliamo gli ultimi degli ultimi. Però c'è bisogno di tanta competenza e conoscenza. Quindi è diventato luogo culturale che collabora con pazienza e con ostinazione, direi. Ma lo dico anche per me: la capacità di studio, di sapere, non è un buonismo, semplicemente. E’ la capacità culturalmente ricca di mettere poesia, cultura. Mi ricordo quando venne il Premio Nobel per la Letteratura Wole Soyinka dalla Nigeria… e noi continuiamo a chiamarli “poveretti”. Mentre ogni persona è portatrice di una cultura, quindi ognuno dev’essere oggetto della nostra cura e capacità di relazione affettiva. E’ questo che ci ha permesso di dialogare e di fare nostra la grande lezione di don Lorenzo Milani e della sua “scuola popolare”. Con un’accoglienza e un’ospitalità che diventa educazione popolare, quella che rischia di mancare oggi, fatta con i ritmi della quotidianità. Imparare a scavare nella coscienza, e portare dentro quella che Martini ha chiamato “l'inquietudine della carità”. “Fai parlare - mi diceva - il non credente che è in te. Dialoga profondamente, interiormente”. Questo è straordinariamente attuale in questo periodo. Penso alla meditazione stupenda che Papa Francesco sta facendo sull'anzianità, lui che ora è in carrozzella, e che porta tanta fecondità, nel rispetto dell’età ma nel dialogo continuo, a partire dalla condizione umana, per riscoprire la sapienza.
Lei ha appena parlato di Papa Francesco. E’ anche lei convinto, come molti, che il sogno del cardinal Martini, espresso ai Vescovi europei nel 1999 di una Chiesa povera, una Chiesa giovane, nella quale la donna è riconosciuta per il suo grande valore, si sta realizzando nel pontificato di Francesco?
Si sta annunciando, finalmente c’è questo spazio che si apre. Martini aveva uno stile diverso da quello di Papa Francesco. Il suo sembrava quasi un tono professionale, invece c'era dentro questa grande capacità di vedere la Chiesa come luogo teologico, che incontra la povertà e il limite, ma anche la ricchezza teologica, pastorale. Non è un’assistenzialismo cercare una maggior presenza delle donne. Ma è il fondamento ministeriale di una Chiesa dal volto giovane e amata. La grande Assemblea di Sichem (percorso diocesano per una missione dei giovani nella Chiesa dal 1988 al 1989, n.d.r) con i giovani al Palalido di Milano e la sua attenzione alla presenza femminile, è ancora una grande sfida, che va però interpretata. E il tema fondamentale della gioia, comune tra Martini e Francesco. La gioia di essere prete la devo a lui, e anche adesso, con i miei 77 anni e tutta fatica, la debolezza e la fragilità, cerco di esserne capace. Qualche volta poteva sembrare una persona distaccata, e invece curava le persone: la mattina alcune volte mi telefonava per sapere di quel prete che era in difficoltà, forse era in crisi vocazionale, e mi aveva chiesto di farlo lavorare con me, da padre-pastore. Ecco, Martini era un intellettuale, ma insisto, è stato un grande pastore, di una Chiesa che vive profondamente questa quotidianità, e anticipatore di processi di comunione. E veramente sinodale. La Chiesa sinodale l’ha anticipata lui, vivendola anche negli ultimi tempi, quando soffriva della debolezza, della fragilità della Chiesa, della sua distanza. E portava questa sofferenza nel cuore.
Sì, una gioia e un senso alla sofferenza che lui è riuscito a trovare anche negli ultimi difficili anni di malattia, dal 2008, come ricorda anche don Damiano…
Quando andavo a trovarlo a Gallarate, ma anche quando siamo andati a Gerusalemme, con due pullman della Casa della Carità, che era all’inizio, lui era molto segnato, ci fece una lezione straordinaria sull'eccedenza della carità, una carità che esce dai confini e che ti entra dentro con la gioia della gratuità. Che non ha età ma che rispetta le fragilità delle diverse stagioni della vita. Spesso dimentichiamo il Martini dell'ultimo tempo: non è il Martini della cronaca. E’ il cardinale che quando Papa Benedetto, il 2 giugno 2012 venne a Milano, volle andare ad incontrarlo, un ultima volta, con tanta fatica, e ormai le sue parole non si capivano più bene, come mi ha raccontato don Damiano. Eppure volle consegnare a Benedetto XVI, quasi in un’ottica profetica, questo amore per la Chiesa che aveva bisogno del cambiamento, e la sofferenza che viveva. E credo che Papa Francesco ha accolto questo segno e ha dato continuità a questo desiderio colto, quotidiano, faticoso e sofferto che Martini viveva dentro di sé. A me ha insegnato moltissimo.
Iniziative di ricordo della Chiesa ambrosiana
La Chiesa ambrosiana ricorda il cardinal Martini, in questo decimo anniversario della morte, insieme agli arcivescovi Schuster, Colombo e Tettamanzi, con una celebrazione eucaristica diocesana il 30 agosto alle 17.30 in Duomo. A presiedere il rito l’arcivescovo Mario Delpini, e tra i concelebranti, i padri gesuiti Carlo Casalone, presidente della Fondazione Carlo Maria Martini, e Iuri Sandrin, parroco di San Fedele. Mercoledì 31, alle 19, sempre in Duomo, presso la tomba del cardinale Martini, è previsto un incontro di ricordo e di testimonianza dedicato al cardinale del dialogo, dal titolo “Carlo Maria Martini, profeta di Milano”, promosso dall’arciprete del Duomo monsignor Gianantonio Borgonovo, con una scelta di scritti a cura di Massimiliano Finazzer Flory e gli interventi dello stesso monsignor Borgonovo, del direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, di don Damiano Modena e Armando Torno. La Fondazione Carlo Maria Martini pubblica per l’occasione, sul sito fondazionemartini.it, il percorso Dialogo nella sezione Educational. Il cardinale aveva infatti scelto il dialogo come atteggiamento fondamentale per incontrare gli altri.
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