Giornata dell’educazione 2023: investire nelle persone per farle uscire dalla povertà
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“Investire nelle persone, dare priorità all'istruzione”, è il tema della quinta Giornata Internazionale dell’Educazione, voluta dall’Onu nel 2019, che si celebra ogni 24 gennaio, per dare una speranza di futuro ai circa 262 milioni di bambini e giovani nel mondo che non hanno accesso all'istruzione primaria o secondaria. Sono dati dell’Unesco, che ricorda come “ripensare i sistemi educativi assicurando un’educazione di qualità inclusiva ed equa” sia anche uno degli obiettivi dell’Agenda Onu 2030. Lo scopo della Giornata del 24 gennaio è sensibilizzare i governi e i popoli riguardo al tema dell’accesso all’istruzione per i bambini, come strumento per uscire dalla povertà.
Nel mondo 781 milioni di adulti analfabeti
Sempre l’Unesco stima che al mondo il numero di analfabeti sia di 781 milioni di adulti, il 64 per cento dei quali sono donne. Più della metà della popolazione analfabeta si trova nell'Asia Occidentale e Meridionale, il 24 per cento nell'Africa subsahariana, il 12 in Asia Orientale, il 6,6 negli Stati Arabi e il 4,2 nell'America Latina. Inoltre, l'emergenza sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19 ha ulteriormente peggiorato la situazione, mettendo a rischio l'istruzione di milioni di giovani in tutto il mondo.
L'incontro del Papa con l'Opam, 50 anni per l'alfabetizzazione
Ancora ieri Papa Francesco, che sempre nel 2019 ha lanciato il Patto educativo globale, ha ricordato che l’istruzione è il vero motore dell’emancipazione e dell’autonomia dei Paesi del Sud del mondo. Lo ha fatto ricevendo i membri del consiglio direttivo e i volontari dell’Opera di Promozione dell’Alfabetizzazione nel Mondo (Opam) tra i quali tanti insegnanti, dirigenti scolastici e docenti universitari, in occasione dei 50 anni di fondazione. Francesco ha ricordato che in questi anni l’Opam ha realizzato “migliaia di progetti e adozioni a distanza in più di ottanta Paesi”, in primis l’Africa. Un impegno che ha avuto il merito in questi decenni di cambiare radicalmente il concetto di cooperazione allo sviluppo, mezzo secolo fa concepito solo come invio di aiuti materiali.
Don Kasereka, dal Congo all'Opera che lo ha fatto studiare
Nel suo saluto all’inizio dell’udienza, il presidente dell’Opera, don Robert Kasereka Ngongi, 57 anni a febbraio, congolese di Goma, nel nord martoriato della Repubblica Democratica del Congo, ha ricordato che l’Opam, nei Paesi del Sud avvia e sostiene “processi di alfabetizzazione primaria, sostegno all’istruzione per tutti e di formazione degli adulti, in particolar modo delle donne”. Operiamo, ha aggiunto “attraverso piccoli progetti in realtà emarginate, le cui necessità ci vengono di volta in volta segnalate grazie alla fitta rete di relazioni di amicizia e conoscenza che i sostenitori dell’Opam hanno intrecciato con persone che vivono in loco”. Nel Nord del mondo, invece, l’Opera agisce “sensibilizzando l’opinione pubblica al problema dell’analfabetismo, a come il potere conti sull’ignoranza per sostenersi e alla superficialità con cui diamo per scontati alcuni nostri privilegi, come acqua potabile, istruzione e sanità”. Per questo, “l’azione nelle scuole, come i gemellaggi tra classi dei diversi Paesi, sono strumento fondamentale”.
Il Papa e il valore di una testimonianza personale
La storia personale di don Robert è un esempio di come una buona istruzione possa cambiare la vita di un bambino che, come lui è nato la martoriata regione del Kivu, nel nord della RdC. E’ stato, come ha ricordato il Papa in udienza, uno dei tanti bambini di un piccolo villaggio della Repubblica Democratica del Congo, Lukanga, avviato agli studi grazie all’Opam. “È significativo il fatto che tu, don Robert – sono state le parole di Francesco - sia prima di tutto un testimone, perché quando eri bambino hai potuto studiare grazie anche all’aiuto dell’Opam. Non potevi immaginare che un giorno saresti stato a Roma a dirigere questa opera…”
"I miei coetanei, insegnanti e medici, che fanno crescere il Congo"
Arrivato in Italia nel 2011, grazie ad un gemellaggio tra la sua diocesi di Butembu-Beni e quella siciliana di Noto, dopo 5 anni è tornato in Congo e nel 2018 l’Opam lo ha chiamato per questo servizio. Non potrà seguire il Papa nel suo viaggio tra una settimana nel suo Paese, ma guarda sempre con trepidazione al conflitto che anche ieri, ci ricorda “ha causato la morte di 24 civili innocenti in un villaggio, dato alle fiamme” dai ribelli al governo di Kinshasa. Ecco come ha raccontato a Vatican News la sua storia di bambino che ha studiato grazie all’Opam:
Lei è un esempio concreto di come sia importante fare in modo che tutti i bambini ricevano un’istruzione, soprattutto se vivono nelle zone del mondo meno sviluppate economicamente. Può raccontare la sua storia personale?
Brevemente io sono un sacerdote, ho studiato da piccolo, dalla scuola materna fin poi tutta la formazione sacerdotale. E sono molto grato perché questa mia educazione è stata possibile grazie alla generosità, all'aiuto delle persone che non mi conoscevano. Nei primi passi sono stato aiutato dell’Opam, perché il mio parroco don Giovanni Piuma di Pinerolo, conosceva il fondatore dell'Opam e lui portava i bambini a scuola perché da noi, nel nostro villaggio, la scuola non era per tutti. Andavano a scuola solo quelli che avevano genitori che potevano pagare la retta della scuola, perché i maestri vengono pagati proprio con i soldi dei genitori. Molti purtroppo non si potevano permettere di mandare i bambini a scuola, perché non avevano lavoro o lavorano nei campi e quello che producevano non era sufficiente per tutti i bisogni della famiglia e per fare studiare i figli. Quegli studi mi sono serviti molto, perché i nostri insegnanti dicevano sempre che uno che studia, che ha la possibilità di sviluppare la conoscenza, potrà poi organizzare e prendere in mano il nostro villaggio e permetterne lo sviluppo. Per questo io avevo l'ambizione di fare il medico, ma a sei anni ho incontrato un sacerdote belga che era molto buono, ci aiutava veramente e ci sentivamo davvero molto bene con lui. Lui mi ha dato questa idea ispirazione di fare come lui il prete. Mia madre si stupì che avessi cambiato idea, ma io le dissi: “Vorrei essere prete e devo studiare per esserlo”
Parliamo del villaggio di Lukanga, nella Repubblica Democratica del Congo, dove adesso la situazione è un pò migliorata, rispetto a quando lei era bambino, o ancora c'è povertà?
C'è ancora povertà, ma non come all'epoca, perché ormai ci sono tanti che erano bambini con me o dopo di me, che sono ormai insegnanti, infermieri, anche medici o sacerdoti e che sono riusciti un po’ a dare un nuovo sviluppo al villaggio, dove ormai c'è l’elettricità, l'acqua, ci sono ospedali, scuole. Quindi nel giro di 30 anni è cambiata e migliorata la situazione.
Quindi lei riesce adesso, da presidente dell'Opam, a restituire quello che ha ricevuto? Voi fate molti progetti, non solo in Africa, ma anche in Asia, America Latina, anche Oceania?
E sì, appunto. L'Opera che mi ha aiutato a studiare io l'ho scoperta dopo, e l’Opam non mi conosceva. Così, per grazia, mi sono ritrovato nell’Opera e mi hanno scelto come presidente e solo dopo ho scoperto che è l'Opam che mi ha aiutato. Oggi come presidente dell’Opam provo a portare avanti l'operato dell’Opera, che ha compiuto 50 anni e ha portato avanti più di 4500 progetti attraverso quattro continenti, anche in Oceania abbiamo fatto qualcosa, però soprattutto in Africa e poi anche in America Latina e in Asia.
Riguardo all’udienza di ieri col Papa, cosa l’ha più colpita delle sue parole e del suo anche ricordare l'enciclica Populorum Progressio e l'impegno che la Chiesa da lì ha rafforzato per dare educazione e istruzione come strumento per liberarsi dallo sfruttamento, dalla sopraffazione, e dalla dipendenza dagli aiuti esterni?
Ieri ho visto che Papa Francesco è stato molto colpito di quello che facciamo perché diceva che l'alfabetizzazione è una cosa che la gente non riesce a capire quanto sia basilare perché ancora adesso è una sfida. La nostra è un'associazione che si impegna ad andare alla radice per poter veramente avviare l'educazione. Quindi, noi siamo stati confortati in questo impegno, per continuare a sensibilizzare tutti sia nel Nord sia nel Sud del mondo, perché l’educazione sia messa alla base di tutto. Con queste radici si può allora portare frutti.
Voi lavorate soprattutto grazie ai contatti che avete con i vescovi, missionari, preti ma anche laici cristiani e non cristiani. Dal vostro osservatorio, come auspica anche l'Unesco con questa Giornata internazionale per l'educazione, i Governi locali e i popoli si stanno sensibilizzando al tema dell'accesso all'istruzione per i più piccoli? Oppure ancora ci sarebbe da fare di più?
La sensibilità è cresciuta, però non abbastanza come si dovrebbe e noi siamo ancora molto impegnati a sensibilizzare. Siamo contenti di collaborare con i vescovi, i sacerdoti e i nostri progetti hanno sempre l’approvazione e la collaborazione dei vescovi. Perché noi non mandiamo nostri cooperanti per seguirli in loco, per risparmiare sulle spese, ma sono i vescovi locali che garantiscono la realizzazione fino alla fine del progetto e abbiamo veramente dei risultati meravigliosi. Quindi la sensibilizzazione continua e continuerà.
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