Il Papa: ancora oggi tanti perseguitati per il Vangelo fino alla morte
Edoardo Giribaldi - Città del Vaticano
Stefano, il primo martire, che trascorse gli ultimi attimi della sua vita pregando per coloro che lo stavano lapidando. Una figura apparentemente debole, "impotente" di fronte alla violenza subita. In realtà, testimonianza di "uomo veramente libero", che non si lascia uccidere a difesa di "un'ideologia", ma a sostegno di un "dono di salvezza" che non deve lasciare nessuno escluso. Un solco tracciato oltre duemila anni fa, seguito ancora oggi da tanti uomini e donne perseguitati, "a volte fino alla morte", difendendo il Vangelo.
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Nell'Angelus di Santo Stefano, dopo l'apertura della Porta Santa nel carcere di Rebibbia, Papa Francesco incentra il suo messaggio sulle vicende del primo martire della Chiesa. Le Scritture, ricorda, lo presentano mentre lapidato a morte "prega per i suoi uccisori". Un gesto da cui può trasparire l'accettazione passiva della violenza, ma che trasmette, in realtà, la piena libertà del santo nell'amore verso i suoi persecutori, offrendo "la sua vita per loro, come Gesù".
Il "solo grande desiderio" di Dio
Sperando nel pentimento e redenzione dei suoi uccisori, Stefano diventa fautore del "solo grande desiderio" di Dio: "che tutti gli uomini siano salvati - questo è il desiderio del cuore di Dio - e che nessuno vada perduto". Testimone, dice ancora Francesco, "di quel Padre - il nostro Padre - che vuole il bene e solo il bene per ciascuno dei suoi figli, e sempre". Quel Padre "che non esclude nessuno", che "non si stanca mai di cercarli e di riaccoglierli quando, dopo essersi allontanati, ritornano pentiti a Lui".
Desiderare la salvezza dei propri persecutori
La figura del santo si riflette nei tanti martiri dei nostri giorni. Anche le loro morti non devono fare pensare alla "debolezza", ma all'ardente desiderio di "rendere tutti partecipi del dono di salvezza". Un ardore declinato in primo luogo proprio ai persecutori: "Pregano per loro", nota Francesco.
Un assassino "amico dell'ultimo minuto"
Tra i martiri "del nostro tempo", Francesco cita il beato Christian de Chergé, uno dei sette monaci trappisti martirizzati a Tibihrine (Algeria), e il suo testamento spirituale: in punto di morte, chiamò "amico dell'ultimo minuto" il suo uccisore. Il Papa conclude poi la sua riflessione ponendo alcune domande: "Chiediamoci allora, ognuno di noi: sento il desiderio che tutti conoscano Dio e tutti si salvino? So volere il bene anche di chi mi fa soffrire? Mi interesso e prego per tanti fratelli e sorelle perseguitati a causa della fede?". A Maria, "regina dei martiri", la preghiera per "essere testimoni coraggiosi del Vangelo per la salvezza del mondo".
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