Parolin: torni la pace in terra congolese, afflitta da violenze e sfruttamento
Salvatore Cernuzio – Inviato a Kinshasa
“L’avidità di materie prime, la sete di denaro e di potere chiudono le porte alla pace e rappresentano un attacco al diritto alla vita e alla serenità delle persone… Pace a questa casa! Pace alla terra congolese: torni ad essere casa di fraternità!”.
Un applauso corale e la zaghroutah, l’urlo tipico delle donne del luogo, si sollevano dalla folla di oltre 100 mila fedeli presenti sulla esplanade del Parlamento di Kinshasa, mentre il cardinale Pietro Parolin scandisce un vigoroso appello per la Repubblica Democratica del Congo, minacciata da anni “da gruppi armati” e da “sfruttamento e interessi predatori”. Nello stesso luogo in cui Giovanni Paolo II celebrò la Messa nel 1980 e nel 1985, il segretario di Stato presiede la “Celebrazione Eucaristica per la pace e la riconciliazione della RD Congo”, come ricorda un enorme telo blu che sovrasta il palco. Al suo secondo giorno di viaggio in Africa, il porporato abbraccia idealmente l’intero popolo a nome del Papa - impossibilitato a venire - che questa mattina ha celebrato la Messa nella Basilica di San Pietro con la comunità congolese di Roma.
L'accoglienza di vescovi e bambini
Accolto da vescovi e sacerdoti di Kinshasa e delle diocesi vicine, da canti con batterie, chitarra elettrica e tamburi, e dalla danza travolgente di gruppi di bambine vestite di bianco per la Prima Comunione, il cardinale Parolin è giunto al Palais du Peuple poco prima delle 10. Ad attenderlo fuori dall’edificio il cardinale di Kinshasa, Fredolin Ambongo Besungu, e due bambini, Fred e Trésora, che leggono una lettera: “Benvenuto tra noi, Sua Eminenza”. Poi consegnano un mazzo di fiori che, per l’emozione, cade a terra e che il cardinale raccoglie ripetendo per due volte: “Merci”.
Canti, danze, processioni
Nell’aria, poco calda in questa stagione, è forte l’odore di incenso che sovrasta quello di cenere che permea tutta Kinshasa. Il cielo intanto è plumbeo e, dietro la spianata, dove si intravedono due palazzoni in costruzione e dove continua a scorrere lento il traffico tipico della città fatto di camionette gialle e motociclette con quattro persone in sella, si alza una coltre data da umidità e inquinamento. L’atmosfera è ravvivata però dai fedeli, come sempre durante le cerimonie religiose in questi luoghi. “Accogliamo il cardinale. Cantiamo al nostro Signore!”, urla un sacerdote dal palco, mentre un coro in tunica bianca e gialla intona canti in francese e lingua bantu, muovendo fianchi e braccia.
Parolin entra al termine di una lunga processione, salutando con una mano la folla e reggendo con l’altra un pastorale artigianale in legno. Si ferma con alcune donne in sedia a rotelle che sollevano le mani al cielo; poi, superando le due ali di bimbe impegnate in una danza ininterrotta, sale lungo la scalinata. Una sosta dinanzi alla statua della Vergine Maria, quindi l’inizio della Messa.
Il sogno della pace
“Pace, fratellanza, gioia”, sono le prime parole che il cardinale pronuncia nell’omelia, tutta in francese. “Sono sogni – dice - che desideriamo abbracciare”, ma che “purtroppo sperimentiamo in maniera molto marginale in questi tempi di instabilità e conflitto”. “Sono per lo più le promesse del Regno di Dio che si sta compiendo, promesse che aneliamo internamente. Sì, ci sentiamo dentro noi che siamo stati creati e che siamo venuti al mondo per una pace che non sia solo un breve intervallo tra guerre, per una fraternità non ideale ma efficace, per una gioia che è piena e traboccante”.
"Non arrendersi alla rassegnazione"
Dinanzi a un popolo ferito da problematiche come la totale assenza di lavoro, l’inquinamento e, nella parte orientale, da feroci violenze, il cardinale esorta a non cedere alla “desolazione” e allo “scoraggiamento”. “La tentazione è oggi quella di arrendersi di fronte alla realtà, chiudersi in una rassegnazione fatalistica e forse senza rendersene conto, scappare dalle proprie responsabilità, cadendo in una sorta di vittimizzazione, lasciando ad altri l’onere di rimboccarsi le maniche e la fatica di ricostruire”.
No, bisogna agire e farlo nella certezza che “Dio è all’opera”. “Sì, Dio è all’opera”, ripete il segretario di Stato. Vanno messe da parte, allora, solitudine, tristezza, incertezze e delusioni: “Dio ci chiama a guardare al futuro: insieme, uniti, superando qualsiasi spirito di parzialità, ogni divisione di gruppo, di etnia, di appartenenza”. Con Lui, che “è padre e madre”, afferma ancora il porporato, possiamo “affrontare qualsiasi prova, perché non è distante, ma cammina con noi. I suoi passi non fanno rumore, ma aprono sentieri. Dio, ogni giorno che passa non rappresenta l’ennesima delusione, ma il riavvicinamento della sua promessa di pace”.
La pace minacciata a Est del Paese
“Paix. Pace”, scandisce ancora il cardinale, volgendo lo sguardo all’Est del Paese dove “la pace è continuamente minacciata dai gruppi armati e dallo sfruttamento e da interessi predatori, di cui il Paese è da tempo vittima. La brama di materie prime, la sete di denaro e di potere chiude le porte della pace, e rappresentano un attacco al diritto alla vita e serenità delle persone. Ma Gesù continua a mandare noi, suoi discepoli, affinché possiamo ripetere le stesse parole: Pace a questa casa! Pace alla terra congolese: torni ad essere casa di fraternità!”. L’invito del cardinale è per i cristiani – “stragrande maggioranza della popolazione” – e per tutti i leader a lavorare per la pace “in questo grande Paese, benedetto dalla bellezza del creato, ma soprattutto dalla ricchezza delle anime che la popolano”.
L'abbraccio a nome del Papa
A nome del Papa - il cui videomessaggio di ieri per le popolazioni di RD Congo e Sud Sudan è stato proiettato sui maxi schermi prima della celebrazione - il cardinale segretario di Stato lascia un messaggio di speranza: “Non scoraggiatevi”, anche “se le aspettative di bene vi sembrano lettera morta”. “I nostri nomi – conclude - sono già registrati nei cieli, siamo figli della risurrezione, testimoni di speranza!”
Appello del cardinale Ambongo
Al termine della celebrazione, le parole del primo ministro Jean-Michel Sama Lukonde e il saluto del cardinale Fridolin Ambongo, il quale ha chiesto aiuto a Papa Francesco e alla Santa Sede nel ripristino della pace nell'est della Repubblica Democratica del Congo. "Se non si riesce a tenere sotto controllo tutti i gruppi armati, la Repubblica Democratica del Congo si avvia verso la più grande catastrofe umanitaria del nostro tempo. Per questo - ha detto l'arcivescovo di Kinshasa - chiediamo il coinvolgimento del Santo Padre Francesco per la pace in Congo attraverso il sostegno della diplomazia di buon vicinato guidata dal capo di Stato Félix Tshisekedi".
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