Le voci dei nuovi cardinali: dalle sfide di Asia e Amazzonia alla riforma della Curia
Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano
Poche ore prima di ricevere berretta rossa e anello, alcuni dei neo cardinali che tra poche ore Francesco crea nell’ottavo Concistoro del suo pontificato incontrano i media internazionali nella Sala Stampa vaticana che ha organizzato in mattinata un meeting point per far conoscere i nuovi membri del Collegio cardinalizio. Chi in clergyman, chi in zucchetto e talare, chi in salotto o nei corridoi, assediato da microfoni e telecamere per anche due ore di fila, raccontano la loro esperienza di servizio negli uffici della Curia romana o nelle Chiese degli angoli più disparati del globo, dove, in alcuni casi, la presenza dei cattolici è pari al 2%.
Il caso Mongolia
È il caso della Mongolia, per la prima volta rappresentata nel Sacro Collegio con la nomina di monsignor Giorgio Marengo, italiano di Cuneo, da decenni in missione nel Paese asiatico, dove è Prefetto apostolico di Ulaanbaatar. Dal giovane pastore – il più giovane con i suoi 48 anni – la folla più numerosa di giornalisti, curiosi di conoscere la realtà esotica in cui opera e cosa cambierà con il riconoscimento di oggi. Tono pacato e sorriso conciliante di chi è abituato a vivere in una dimensione di dialogo costante, Marengo definisce la scelta del Papa un “segno di apertura e fedeltà al Vangelo da parte del Successore di Pietro che si rivolge alle realtà piccole che hanno bisogno di essere sostenute nel cammino della fede”. “Grande”, dice, è l’importanza per la piccola comunità di circa 1.450 fedeli mongoli che da oggi possono “contare sull’appoggio della Chiesa universale, come è sempre stato finora ma con una maggiore intensità e visibilità”.
L'importanza dell'Asia
Non dimentica il prelato, sollecitato dai giornalisti, anche la dimensione geopolitica del suo Paese di missione, territorio cerniera vicino alla Russia e alla Cina. “L’importanza è evidente, vuol dire che il Papa ha una attenzione particolare a quest’area del mondo e crede molto nella capacità dei popoli dell’Asia di convivere pacificamente, di trovare soluzioni non violente e sagge anche ai conflitti”. “L’ Asia - aggiunge - ha una storia antichissima di fede cristiana che però si è diffusa e radicata in modalità diversa rispetto ad altre parti del mondo, rimanendo sempre una minoranza. L'Asia poi è la culla delle grandi religioni del mondo, perciò il tema del dialogo interreligioso, della convivenza pacifica, dell’aiuto reciproco tra esponenti di varie fedi è una realtà di tutti i giorni. È prima una realtà che una teoria, e quindi questo può dire molto alla Chiesa e al mondo”.
Nella "stradetta" del dialogo con la Corea
Di Asia parla anche il coreano Lazzaro You Heung-Sik, prefetto dal giugno 2021 del Dicastero per il Clero, che, poggiandosi una mano sul petto, dice di “non essere degno” di questa nomina del Papa e di “credere, pregare e sperare” che essa possa essere “uno strumento per amare di più il Papa, la Chiesa, i sacerdoti, i poveri”. Proprio ieri il prelato è stato citato dal Papa nell’intervista con l’emittente televisiva coreana KBS, in cui Francesco ha espresso il desiderio di recarsi in Corea del Nord appena riceverà l’invito. “Ero presente all’intervista – confida You ai nostri microfoni - e mi sono commosso nel sentire il Santo Padre aver espresso la volontà di recarsi nel Paese. Ha detto: invitatemi, l’unico motivo è la fratellanza. Questo crea una fiducia, perché, secondo me, il problema di questo viaggio e di altri è la sfiducia, che non permette dialogo… Il Papa ha aperto uno spiraglio per iniziare un rapporto, una ‘stradetta’ e lui dice camminiamo e la allarghiamo di più”. “Io – afferma il neo porporato – sono al suo fianco. Il Papa ha detto di volere un cardinale coreano accanto a lui, per la pace in Corea, nel mondo, ovunque... Se posso fare qualcosa, lo farò. Spero, prego, desidero”.
Le ferite dell'Amazzonia
La presenza dell’Asia è forte in questa tornata di nuove porpore. Sono tre i Paesi asiatici dei quattro che, con il Concistoro di oggi, entrano per la prima volta nel Collegio cardinalizio: Mongolia, Singapore, Timor Est. Insieme a loro il Paraguay. Il criterio di universalità del Papa abbraccia tuttavia i cinque continenti, dando voce alle periferie e alle loro ferite. In primis l’Amazzonia, come spiega Leonardo Steiner, metropolita di Manaus, in Brasile, che definisce la sua porpora come “un simbolo del desiderio di Papa Francesco che l’Amazzonia sia più presente come preoccupazione ma anche come responsabilità della Chiesa”.
“La questione – precisa Steiner a Vatican News - è anche il modo in cui la Chiesa è presente in Amazzonia: una Chiesa dei poveri, dei laici, una Chiesa bisognosa di tanto aiuto, missionario e finanziario. Il Papa volgendo il suo volto a questa porzione del mondo vuole che la nostra Chiesa sia sempre più samaritana, dinamica, sinodale (anche se già lo è, come si nota dalle riunioni tra vescovi, preti, laici, indigeni) e anche una Chiesa che si assume la responsabilità davanti alla distruzione dell'Amazzonia, piagata da una terribile povertà e dove cresce tanto la violenza”.
Ascoltare e imparare nella Curia e con la Curia
Steiner si dice curioso di partecipare all’incontro sulla Praedicate Evangelium in programma lunedì 29 e martedì 30 agosto in Vaticano, il quale, sottolinea, non riguarda solo la Curia ma tutte le Chiese del mondo. “Tra le diverse Chiese e la Curia adesso c’è uno spazio di ascolto e dialogo".
Conoscersi meglio
“La maggiore conoscenza tra i cardinali” è un altro dei frutti di queste giornate, rimarca monsignor Jorge Enrique Jiménez Carvajal, arcivescovo emerito di Cartagena (Colombia). “Il Concistoro aiuta a conoscerci un po’ tutti e a prepararci in vista di un voto come quello per l’elezione del futuro Papa. Francesco – aggiunge – insiste su una ricezione più vicina della Costituzione apostolica. Lui sogna che la Chiesa possa servire meglio. E in questo Concistoro ci viene insegnato a predicare meglio il Vangelo in un mondo cosi complesso”.
Praedicate Evangelium, missione e conversione
L’incontro del 29 e 30 agosto non è dunque solo un’illustrazione pratica di quello che cambia e quello che non cambia all’interno della Curia romana. Il senso della due giorni ha radici più profonde che affondano nella “missione della Chiesa” e nella “conversione della Chiesa”, spiega il prefetto del Dicastero per il Culto divino, l’inglese Arthur Roche, che alla domanda sul motivo per cui il Papa abbia sentito l’esigenza di riunire l’intero Collegio cardinalizio per approfondire significato e modalità di questa riforma, invita ad ampliare lo sguardo. “La Praedicate Evangelium non è solo qualcosa per la riforma della Curia, è anche per le relazioni tra tutte le Conferenze episcopali e la Santa Sede". L’incontro che vedrà 197 porporati e patriarchi riuniti a porte chiuse sarà anche occasione per solidificare quella unità che a volte, per vari motivi, sembra venir meno nel tessuto ecclesiale. “Il Papa – dice Roche, che in passato ha denunciato “battaglie” sommerse nella Chiesa - ha la responsabilità per l’unità. È molto importante che si ascolti bene ciò che il Papa dice in questo momento. Lui dà una direzione che per la Chiesa è la direzione del Concilio Vaticano II, la più alta legge della Chiesa”.
L'Italia e il voto
Fa un passo indietro, invece, monsignor Arrigo Miglio, vescovo emerito di Cagliari: “Per me il 29 sarà il primo giorno di scuola”, si schermisce. Riconosce però l’importanza di questa riunione globale che può “contribuire ad un avvio più armonioso e utile della macchina complessa della Curia”. “C’è un ordine del giorno – spiega Miglio, uno dei cinque neo porporati italiani – non credo che potremo improvvisare i temi, anche se non mancherà il momento dei liberi interventi, in un clima familiare come quelli a cui ci ha abituati il Papa. Ad esempio, negli incontri con la Cei”.
Di temi specifici, relativi alla sua Italia che tra un mese si riunirà alle urne, Miglio parla con i giornalisti. “Lottare contro l’astensionismo” è l’invito e “il passo concreto” che il nuovo cardinale invita a compiere in questo periodo pre-elettorale. “Dobbiamo motivare le persone ad andare a votare, aiutarle a vincere la tentazione del menefreghismo”, afferma, spiegando che la Chiesa non ha il compito di intervenire direttamente nella campagna elettorale, ma di “evidenziare le motivazioni per cui la gente sia convinta a partecipare al voto”. “Dobbiamo soffermarci sui temi di fondo che permettono di costruire un’agenda politica e motivare la partecipazione”, dice, precisando che si tratta di “fare chiarezza su cosa si intenda per bene comune: tutti ne parlano, ed è già qualcosa, ma bisogna vedere i contenuti, le scelte concrete si fanno. L’accoglienza degli immigrati, ad esempio, è bene comune? Direi che ci sono buoni motivi per rispondere di sì”.
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