Grech: in India una “Chiesa viva”, anche indù e musulmani coinvolti nel Sinodo
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Una Chiesa “viva” e con “molti colori” che nonostante le distanze – quelle fisiche ma anche quelle di vedute – si è lanciata nel percorso sinodale, voluto e avviato dal Papa, coinvolgendo in alcuni casi anche fedeli di altre religioni. Dice di essere tornato “arricchito”, il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo, dal recente viaggio in India del 6-9 novembre, dove ha incontrato la Conferenza episcopale riunita nella 35.ma Assemblea plenaria a Bangalore e le comunità locali, incluse quelle islamiche che lo hanno accolto nella Moschea Jamia Masjid.
“Non sono andato da turista ma volevo conoscere bene la Chiesa locale. Sono tornato più ricco ecclesialmente di quando ero partito perché ho incontrato una Chiesa con molti colori, sia per il fatto che in India abbiamo tre riti, sia perché è una Chiesa che vive in un contesto multireligioso. Ci sono cristiani, indù, musulmani e altre denominazioni cristiane”, dice il porporato, a colloquio con i media vaticani. “Sì, è una Chiesa viva, piena di entusiasmo, nonostante sia minoritaria (i cattolici sono circa il 2%) ma ha una visione”.
Quale visione?
Una visione evangelizzatrice. Quella in India è una Chiesa frutto della missionarietà, è una delle cose che più mi ha emozionato perché io, provenendo da Malta, non sapevo di trovarmi accanto a parecchi vescovi - non uno, non due, ma parecchi - che mi hanno detto di essere sacerdoti o vescovi perché hanno trovato un sostegno proprio dalla mia diocesi. Non me l’aspettavo.
In mezzo a questi tanti “colori”, come è stato recepito l’invito alla sinodalità e come è stato vissuto il percorso sinodale? Tenendo conto delle tante differenze e diversità di vedute che magari possono rappresentare un ostacolo ad un cammino insieme…
Prima dell’incontro con la Conferenza episcopale, ho trascorso due giorni con l’arcivescovo di Bangalore. Accanto a questo vescovo c’era un altro pastore che mi diceva di essere riuscito a coinvolgere tante, tante persone, inclusi musulmani e induisti. Questo mi rallegra perché uno degli orientamenti del percorso sinodale era di ascoltare non soltanto il loro popolo, ma di aprire un po’ delle vie per coinvolgere altri. Ci sono sicuramente delle sfide, ma vedendo come i vescovi si sono impegnati e si stanno impegnando, significa che stanno cercando di creare dei ponti, in modo che la comunione possa essere più ampia. Mentre rispettiamo ciascuno la propria identità, saremo in grado di camminare insieme e trovare le vie per compiere l’obiettivo comune a tutti: annunziare Cristo al mondo di oggi.
Da parte di questi fedeli musulmani e induisti, quali esperienze sono emerse?
Ad esempio, quando ho visitato la Moschea a Bangalore sono rimasto colpito di come i musulmani ci hanno accolti e di come erano interessati a capire cosa vuol dire questo processo sinodale nella Chiesa cattolica. Mi auguro infatti che la visita possa aiutare la Chiesa locale a sostenere il dialogo con i fratelli musulmani. Inoltre, il mio viaggio è coinciso con quello del Santo Padre in Bahrein e loro hanno espresso ammirazione e apprezzamento per la vicinanza del Papa all’islam per creare dei ponti. Una delle domande che mi hanno fatto era come le religioni possono aiutare l’uomo a superare guerre, conflitti, violenze. Quando mi è stato chiesto di firmare il Libro delle visite, ho provato a rispondere scrivendo che chi crede in un Dio non può non mettersi in cammino per un mondo più rispettoso della dignità umana, un mondo che vuole veramente la pace e che sarà capace quindi di superare ingiustizie, violenza, conflitti.
Nella prima fase del percorso sinodale, la tappa consultiva, che risposta c’era stata da parte dell’India?
La Chiesa latina ha 132 diocesi; di queste, 129 hanno risposto. Quasi il 100% delle Chiese particolari ha partecipato, ma pure le altre Chiese ed eparchie. So che hanno lavorato molto bene, hanno creato gruppi per programmare le consultazioni o addirittura proposto programmi di formazione per la gente e gli operatori pastorali, nonostante le difficoltà del Covid e le enormi distanze. Le consultazioni infatti sono arrivate non solo nelle città ma anche nei villaggi.
E a livello di temi, quali urgenze, istanze, richieste, sono state presentate?
Tante, in particolare il coinvolgimento dei laici. Per questo nei miei interventi durante il viaggio ho parlato del Battesimo che è ciò che ci dà “cittadinanza” nella Chiesa. La Chiesa indiana si sta molto impegnando a coinvolgere un numero sempre più alto di laici nella missione e nelle attività.
Sulla questione delle donne, invece. In India è presente il sistema sociale delle caste, un ampio strato di popolazione femminile continua a vivere in condizioni di discriminazione e inferiorità, e giungono notizie drammatiche anche all’interno della Chiesa circa la situazione delle suore. In che modo il tema è stato affrontato?
Io stesso ho fatto questa domanda ai vescovi sul coinvolgimento delle donne e quali sono le loro proposte. Mi hanno detto che sono state soprattutto le religiose ad aver contribuito nel chiedere un ruolo della donna più emancipato. La gente in genere non mi è sembrata molto preoccupata su tale questione, non è uno dei temi al centro del dibattito sociale. Nella Chiesa sì. E le religiose hanno formulato riflessioni per aiutare la Chiesa a riconoscere la presenza delle donne, le loro abilità, il loro contributo nella profezia della Chiesa.
Quindi, a quanto dice, laddove non c’è una spinta da parte della società per una maggiore valorizzazione delle donne, la si trova invece nella Chiesa?
Sì, è molto interessante. Mi ha fatto molto riflettere… Le religiose in India hanno trovato il coraggio di esprimersi. Nel Paese sono tante, hanno tante vocazioni.
Quali sono le proposte dei vescovi? Perché si parla di dare maggiore spazio e valore alle donne, ma nella pratica cosa si è pensato di fare?
I vescovi hanno registrato e sottolineato queste voci, al momento non c’è stata alcuna decisione. Ma il fatto che anche la Conferenza episcopale nelle relazioni inviate abbia sottolineato questo, vuol dire che c’è una ricerca sul tipo di risposta da dare. La ricerca anche di una luce su come andare avanti con la partecipazione e collaborazione delle donne.
Questa esperienza cosa aggiunge al lavoro svolto dalla Segreteria generale del Sinodo?
La consapevolezza che il mondo asiatico ha molto da insegnare. Non aspettano solo un contributo da parte della Chiesa, ma hanno loro tanti contributi da offrire, conoscendo anche le tradizioni e i contesti dove alcuni devono combattere per la fede. In particolare l’India che è quasi un continente. Una cosa che mi è rimasta impressa tra quelle che mi ha detto un vescovo è l’importanza delle comunità ecclesiali di base che già lavorano in un contesto sinodale. Il futuro della Chiesa, mi diceva, è in queste piccole comunità che potranno essere come il sale nel cibo e dare un gusto alla vita. Ecco, questa potrebbe essere una via per l’evangelizzazione: non grandi gruppi, ma piccole comunità. Come diceva Benedetto XVI, una “minoranza creatività”. Questo cambia un po’ i nostri schemi.
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