Cassioli: lo sport, un pezzo di strada tra noi e la felicità
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
C’è solo da ascoltare quando Daniele Cassioli parla. Rapisce il suo modo tranquillo, stupisce – ma non più di tanto – la sua profondità e la delicatezza di mettere sempre in primo piano i bambini che frequentano la “Real Eyes Sport”, l’associazione sportiva che si occupa di piccoli ciechi o ipovedenti.
Tra un bambino sereno, che sta bene, che si muove bene e un bambino che non lo fa, c’è di mezzo l’agire degli adulti, il dialogo tra famiglie, le opportunità, il destino.
Si legge questa frase sul sito di Daniele, cieco dalla nascita per una retinite pigmentosa, pluripremiato campione mondiale ed europeo di sci nautico e membro del Consiglio Nazionale del Comitato Italiano Paralimpico. E’ in questa attenzione costante all’altro che si avverte la sua straordinarietà, che si ritrova l’eco di lui bambino, che già a 3 anni incontra lo sport e non lo lascia più.
Il vento contro
Ma in Daniele c’è anche l’amore per la penna e la capacità di tradurre le parole in vibrazioni, senza retorica, senza pietismo. “Il vento contro” è il suo libro, nel quale spiega che le avversità ti fanno “venire la voglia di volare”. A We Run Together, l’asta promossa da Papa Francesco per gli ospedali di Brescia e Bergamo, ha donato un pezzo di sé. Confessa a microfoni spenti un desiderio importante: portare i suoi bambini a visitare i Musei Vaticani, perché lì anche lui ha trovato che, per i non vedenti, è stato messo a punto un progetto di accessibilità “fatto con competenza e con il cuore”:
R. - La mia adesione nasce anche dalla vicinanza al Comitato Paralimpico, che mi ha coinvolto in questa cosa. Io ovviamente con piacere ho accettato e ho messo in palio il bilancino, faccio sci nautico, cioè la maniglia che ci consente di stare attaccati tramite la corda al motoscafo. Ho messo in palio un bilancino con cui ho vinto i miei primi campionati del mondo nel 2003 in Florida, che è stato nella mia camera per 17 anni e però mi sembrava giusto, in questo momento così particolare, dare un oggetto particolare.
Quindi una parte della tua storia agonistica…
R. - Sicuramente sì poi, ahimè, lo sci nautico non ha la visibilità di altri sport, però per me è un pezzo importante che ha significato una svolta che mi auguro vivremo noi nel breve periodo.
Come hai vissuto questo periodo di emergenza coronavirus anche per quanto riguarda la tua preparazione sportiva, ma anche nel resto della tua vita, perché tu non fai solo questo: scrivi, ti dedichi agli eventi, ti dedichi ai bambini…
R. – Certo! L'ho vissuto con spensieratezza, perché non c'era altro modo. Ho attinto molto proprio come ispirazione dal film “La vita è bella”, dove, di fronte a un atto così devastante, così impattante sulla vita di tutti noi, si sceglie di vivere con ironia. Secondo me è una chiave intelligente e utile. Questo non vuol dire che non ho vissuto difficoltà, perché tanti appuntamenti li ho dovuti rimandare, sospendere, addirittura annullare e per un'associazione come la mia, con cui mi muovo per fare sport con i bambini non vedenti, è sicuramente un periodo complesso, perché le associazioni fanno molta più fatica a raccogliere fondi. Noi ci alimentiamo con le donazioni private delle persone che ci aiutano e quindi, se non puoi fare eventi, si fa molta più fatica. Poi anche personalmente da sportivo chiaramente il fatto che non ci saranno gare per un bel po' di tempo, non aver potuto praticare sport, è stato sicuramente impegnativo. Devo dire che però l’arte del sacrificio, che uno sportivo conosce molto bene, la capacità di rinunciare che lo sport mi ha insegnato, in questa fase mi è venuta in soccorso, perché ho rinunciato ad uscire, a fare sport. L’abitudine al sacrificio ha reso meno pesante la gestione di questo momento.
Lo sport – hai scritto – è un pezzo di strada tra noi e la felicità.
R. – Nel mio libro c’è una lettera d'amore finale per lo sport. Purtroppo di sport troppe volte si parla, ma poi ci si dimentica e penso alle palestre delle nostre scuole in Italia, penso a quanto poco viene usato come elemento educativo per i ragazzi. Un po' sono rammaricato di quanto poco lo usiamo rispetto a quanto dovremmo usarlo e quindi io cerco di trasmettere, attraverso quello che scrivo, l'importanza dello sport che non è per vincere il mondiale, ma per uscire di casa, per mettersi alla prova con noi stessi, per alimentare l'agonismo che non è l'antagonismo. Io sono cresciuto in oratorio e sono convinto che l’oratorio abbia proprio tante doti al suo interno, che sono quelle di far muovere i ragazzi, di sperimentare loro l’arte del servizio, perché i più grandi si occupano dei più piccoli. E’ un po' una Polisportiva di cui c'è un gran bisogno in Italia.
Il tuo libro si intitola “Il vento contro” è l'espressione che racchiude la tua vita?
R. – Si, ma credo racchiuda la vita di tutti. Ognuno ha il suo vento contro, perché anche accettarsi, superare magari la perdita di un genitore piuttosto che gestire dei momenti complicati. E’ la mia vita, ma anche la vita di ognuno di noi. Nel caso della disabilità è più facile riconoscere in noi coloro che hanno superato delle difficoltà. Questo non vuol dire che chi ci vede, o chi è un normodotato, non abbia il diritto di avere difficoltà. Ognuno ha la propria difficoltà e quindi ognuno ha il proprio vento contro. Proprio per questo non ho voluto nel titolo parlare di buio o di cecità, perché ognuno ha la sua difficoltà. E’ necessario guardare oltre, come si legge nel sottopancia della copertina, perché è come noi affrontiamo questo vento contro che fa la differenza. Per me è stato un passaggio fondamentale; ero oggettivamente più sfortunato dei miei amici, perché loro ci vedevano e io no, però la mia vita ha cambiato direzione quando ho capito che ero io a scegliere come affrontare questa difficoltà, ero io a scegliere con quale atteggiamento gestire questo vento contro. Questo vale per chi ha una disabilità, ma anche per tutti.
Come sei riuscito a razionalizzare questo cambiamento? Spesso le persone non si accorgono della possibilità che hanno di cambiare verso alla propria vita.
R. - Ci sono arrivato attraverso il dolore, passando attraverso la frustrazione e a un certo punto ho capito che non ne potevo più, che non mi andava di vivere in questo buio emotivo più che il buio fisico e sensoriale. Poi ci sono anche passato attraverso l'apertura nei confronti dell'altro, del diverso, apertura nei confronti di altri mondi e quindi nella conoscenza di altre persone e ti rendi conto che, ad esempio, una stessa disabilità c'è chi l’accetta in maniera quasi scherzosa, baldanzosa, e c’è chi non si rialza più. Io giro tanto nelle scuole, negli oratori e questo vale per tutti, perché ci sono ragazzi che non accettano mai e non riescono a gestire la separazione dei genitori, mentre ci sono altri ragazzi che vivono sereni anche con genitori separati.
Hai mai incontrato Papa Francesco? Hai desiderio di incontrarlo?
R. - Non l'ho mai incontrato, ci stavo lavorando, perché è molto difficile e avevo anche un buon contatto, ma poi con questa emergenza la cosa è svanita. A me piacerebbe incontrarlo con i bambini dell'associazione per toccarlo, perché per noi Francesco è una voce. Quindi per un bambino che non lo vede, ma che ascolterà la sua voce, mi auguro per tanto tempo ancora, il fatto di associare questa voce a un corpo secondo me è una cosa molto significativa. Sapere come è vestito… me lo raccontano, ma io non lo so. Questo è un primo tema e l'altro tema è anche un tema di soddisfazione personale, cioè il fatto di incontrare una persona che comunque ha avuto e avrà un impatto su tutti noi in base a quello che pensa, a quello che ti dice, a come si muove su tematiche che comunque riguardano tutti.
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